3.
Ire e polemiche (novembre 1871 - marzo
1872)
Il 5 novembre si chiude il Congresso
antinternazionalista convocato da Mazzini. Il 7 novembre si riunisce
a Londra il Consiglio generale dell'Internazionale. Esso dichiara che
«la classica lettera di Garibaldi [quella a Petroni, del 21
ottobre], venendo dopo diverse altre nelle quali egli aveva già
espresso le sue simpatie per l'Internazionale, ha avuto un
grandissimo effetto in Italia, e porterà certamente non poche
reclute a stringersi intorno alla nostra bandiera»655.
Il 9 novembre Giorgio Pallavicino
rimprovera a Garibaldi l'atteggiamento che, con molta leggerezza,
egli ha assunto di fronte all'Internazionale: tu aderisci a
un'Internazionale, che ti sei foggiato «a imagine e
similitudine tua», gli scrive656. Pallavicino conosce
molto bene Garibaldi. Ma Garibaldi non si rende conto del
disorientamento che il suo contegno provoca nel campo democratico.
Non gl'importa nulla dell'ira di Mazzini: «Credo Mazzini
nell'impossibilità di scendere a conciliazione»,
dichiara il 9 novembre. «Se esistono oggi alcuni dissapori fra
due canuti ostinati ciò non deve influire sul buon andamento
del diritto»657.
E prosegue la sua via. Il 14 novembre,
rispondendo a Pallavicino, esce nella famosa frase «L'Internazionale
è il sole dell'avvenire»658.
Garibaldi è però l'unico
che non si avveda della portata del suo atteggiamento. Le espressioni
del Consiglio generale dell'Internazionale che attribuiscono a lui il
maggior merito per la diffusione del socialismo in Italia sono
infatti abbastanza eloquenti. «Le notizie d'Italia –
continua il resoconto della seduta del 7 novembre – erano di un
particolare interesse, secondo le lettere ricevute da diverse città
importanti fra le quali Torino, Milano, Ravenna
e Girgenti. Il tutto confermava il grande estendersi
dell'associazione in Italia. Le classi operaie, nelle città
almeno, andavano rapidamente abbandonando Mazzini i cui attacchi
contro l'Internazionale non avevano alcun effetto sulle masse. Mentre
per lo contrario avevano spinto Garibaldi non solamente a
pronunciarsi favorevolmente all'Internazionale, ma a romperla
apertamente con Mazzini, proprio su questa questione». E il 9
novembre Marx scrive all'amico Sorge, annunciandogli: «In
Italia noi facciamo progressi vertiginosi. Grande trionfo sul partito
di Mazzini»659.
Grazie all'atteggiamento di Garibaldi,
insomma, la propaganda socialista, invece di urtare contro la
prevedibile resistenza della democrazia borghese in genere, urta solo
contro quella disperatamente opposta dalla frazione mazziniana. Del
quale stato si avvantaggia anche Bakunin, che in Isvizzera sta ora
dirigendo la lotta contro il Consiglio generale
dell'Internazionale660.
Anche a molti nuclei operai e
democratici non sfuggono l'importanza dell'atteggiamento di Garibaldi
e le possibili gravi conseguenze del suo dissidio con Mazzini. La
Consociazione faentina delle società operaie di mutuo soccorso
il 18 novembre invia al generale un vibratissimo indirizzo: «I
vostri dissidi personali che rivelano non differenza di principî,
ma rancori di individui, che al bene della patria si sarebbero dovuti
sacrificare, schierano in due campi avversi coloro che non seguono
l'idea per l'idea, ma l'idea per l'uomo che la manifesta. E par
vogliate dar vita novella a un dualismo funesto, pare si tenti
propagare due contrari programmi con l'autorità di due uomini
contrari»661.
È il segno d'una pioggia di
indirizzi e proteste che raccomandano, implorano, impongono un
accordo662.
Ma il 19 dicembre Garibaldi ribadisce
ancora il suo internazionalismo. Scrive infatti alla direzione della
«Favilla»: «Sí! noi saremo coi soffrenti
sino alla fine, dovessimo affrontare la sorte degli Arnaldi e dei
Savonarola». «Circa a Silvio663 ed al Consiglio
generale, noi li seguiremo in ciò che consiste nella
fratellanza umana. Circa poi a certe idee lontane dall'assentimento
dei piú, noi ci manterremo nell'autonomia nostra. In poche
parole, noi siamo un ramo dell'Internazionale»664.
I mazziniani perdono la pazienza. «Ma
perdio! – impreca Giuseppe Petroni sulla "Roma del
Popolo", il 18 gennaio 1872, rivolgendosi agli internazionalisti
sul tipo Garibaldi – dite una volta quel che pensate e quel che
volete! Uscite dall'equivoco, che, se mai nol sapete, mantiene il
popolo in una perenne anarchia intellettuale e morale, ed è di
tutti i sistemi il piú iniquo, il piú corruttore, il
piú reazionario»665.
Quelli rispondono, il 24 gennaio,
riproponendo sui giornali la convocazione del Congresso democratico.
«Perché non stringeremo in un fascio Massoni,
Fratellanza artigiana, società operaie, società
democratiche, razionaliste, ecc. che tutti hanno la loro tendenza al
bene?... E perché marciare divisi?» Il congresso
dovrebbe occuparsi «delle questioni: razionale e sociale –
le di cui soluzioni sono praticabili»666.
Mazzini non ne può piú.
«Garibaldi – scrive il 26 gennaio 1872 – colla
ragione, l'Internazionale, il prete, ogni cosa che fa, dica o non
dica, ha giurato, per antagonismo non provocato da me, di dissolvere
il Partito e sviare dal segno la gioventú»667.
Il 1° febbraio tenta dimostrare sulla «Roma del Popolo»
tutta l'assurdità del congresso proposto. «Fondare su
qualche frase di fratellanza, strappata da un momento d'entusiasmo e
dimenticata il dí dopo, un ordinamento, è lo
stesso… che ordinare, non la forza, ma la
debolezza...»668. Fa un ultimo tentativo di
accordo sottoponendo a Garibaldi alcune domande precise in merito al
problema politico e sociale e invitandolo a rispondere a tono e con
chiarezza. Non continui a proclamare: ci vuole un programma; prenda
in esame quello repubblicano e lo critichi, se crede; ma si ricordi
che un programma c'è. Garibaldi, a ricevere le basi d'accordo,
va fuori di sé. «Il Fascio operaio» di Bologna il
10 febbraio stampa questa sua dichiarazione: «1) dichiarare
apertamente che sono repubblicano; 2) disdire che appartengo
all'Internazionale; 3) trattare con rispetto filosofico la
questione religiosa; cioè la teologia. Queste parole di
Mazzini, i mazziniani le chiamano concilianti. Io ho pensato di
occupare il mio tempo in cose utili»669.
«Non so s'io faccia o scriva
molte cose inutili; – ribatte Mazzini – ma non
farei certo la piú inutile di tutte, quella di dar consigli al
generale Garibaldi»670. E Garibaldi: «Mazzini non
può conciliarsi perché ha torto, e avrei io una massa
di torti da imputargli, se volessi occuparmene»671.
Per tutto il gennaio e il febbraio
alla dolorosa polemica fanno eco liti e recriminazioni fra i
democratici672.
Ognuno vuol dire la sua: «A
momenti si prendono per il collo Mazzini e Garibaldi e si inchiodano
per il piacere di vederli uniti! Ma – o gente soave! –
non ve lo han detto e cantato che dinanzi all'azione si uniranno?
Tocca a voi mettervi d'accordo. Perché volete obbligare due
cervelli a pensare in un modo solo, or che l'inazione vostra li
lascia liberi?», scrive un tal Bresca sull'«Alleanza»
di Bologna, il 28 gennaio. Altri è d'avviso che ormai tra i
democratici «vi sono ire e rancori personali che forza umana
piú non varrebbe a fare sparire... Noi siamo gli eterni figli
dei Guelfi e dei Ghibellini»673.
La fatalità aveva voluto a capo
d'uno stesso partito due intelligenze intimamente diverse, che non
potevano né volevano comprendersi, che conoscevano e non
sapevano perdonarsi le rispettive debolezze.
Tutto ciò, s'è detto,
giovava enormemente all'Internazionale. I giornaletti
internazionalisti, vecchi e nuovi, ne approfittavano per riprendere
con rinnovato fervore la campagna contro le teoriche
mazziniane.
Ecco un brano interessante di una
lunga lettera diretta da un anonimo operaio al «Monitore di
Bologna», 7 novembre 1871: «... vedendosi vecchio e
temendo di non poter arrivare a raccorre il frutto dei suoi studi e
dei suoi sacrifici, [Mazzini] ha cominciato a far la corte alla
borghesia... Mazzini restringe le sue gesta, le sue idee alla nazione
italiana, geloso di tutto ciò che gli viene di fuori. Errore!
in questo modo saremo sempre schiacciati! Noi siamo italiani, siamo
del mondo, tutti operai, tutti sofferenti, e tutti bisognosi di
soccorso, di emancipazione, di pane, di lavoro».
«Il Motto d'Ordine»674,
Napoli, 22 novembre 1871, accennato al principio d'autorità
come al cardine fondamentale della dottrina mazziniana, dichiara
solennemente che gli internazionalisti non ne vogliono sapere. Ed
ecco perché Mazzini è isolato, è finito: «Le
cannonate che sfondavano Porta Pia, hanno esaurito G. M., il grande
morituro che ancora si dibatte e vuole afferrare per la criniera il
cavallo indomito della rivoluzione che gli sfugge dalle mani».
«Voi chiamate pane – conclude "Il Motto d'Ordine",
rivolgendosi agli operai, – ed egli vi ammonisce che avete
bisogno d'educazione» (4 dicembre).
«La Campana»675 di
Napoli esamina nel suo numero del 7 gennaio 1872 il partito
mazziniano; il quale gli sembra un partito «essenzialmente
borghese, senza radici nel popolo, con un capo che è rimasto
stazionario, incatenato a un misticismo religioso, dichiarato oggi
ridicolo dalla scienza... Il paese si dice che il programma
mazziniano non muta il sistema, ma il nome dell'autorità
preposta allo Stato. Fino a che fè parte dell'organismo
mazziniano il militarismo rivoluzionario capitanato da Garibaldi, si
ebbe ancora da Mazzini un simulacro di vita e di potenza; oggi lo
scisma è dichiarato e, tranne pochi fedeli, la cosí
detta democrazia italiana si è fusa nelle diverse gradazioni
del partito socialista».
In una lettera al direttore della
repubblicana «Alleanza» di Bologna, 12 gennaio 1872, un
anonimo C. (forse Celso Cerretti) chiarisce perché
gl'internazionalisti ex mazziniani non devono esser considerati dei
voltafaccia. Mazzini «diede un indirizzo alla democrazia
italiana in un momento in cui le tenebre del dispotismo erano
ostacolo allo sviluppo delle idee»; coloro che amavano la
patria lo seguirono; ma «può dirsi per questo che essi
accettarono completamente il programma politico-sociale-religioso di
Mazzini? No! Molti di essi, e voi ne conoscete, materialisti per
convinzione profonda, non potevano ammettere religione di sorta»;
«conoscevano forse che il progresso indefinito avrebbe varcato
il limite segnato dal progresso di Mazzini». «Se questi
giovani oggi simpatizzano od anche si fanno membri di una
Associazione che secondo loro si adatta meglio al programma
politico-sociale che essi hanno, sono per questo meritevoli di
rimprovero? No certo». «Come voi, o mazziniani,
l'Internazionale vuole l'abolizione dei privilegi, come voi, inalzare
tutti gli uomini allo stesso livello, come voi, abbattere la
monarchia causa di vergogna all'Italia»676. Soltanto
che voi «nell'immenso cammino che deve correre la società
avete segnato un punto al di là del quale non volete che si
muova; essa dice: No! piú avanti! Voi sdegnate ascoltarla,
volete essere infallibili ed è per questo che il piú
delle volte peccate d'intolleranza»677.
Il 28 gennaio «La Campana»,
esaminando il contegno di Mazzini di fronte alla Comune di Parigi,
afferma che «è umiliante vederlo far causa comune con
tutti i reazionari d'Europa, egli che fu un tempo ribelle e demagogo
(e fu suo vanto!)... È doloroso che questa grande
individualità si rimpicciolisca tanto e ogni dí piú
ne costringa a deplorare la sua esistenza». Qualche giorno piú
tardi mette in guardia gli operai contro gli scritti del Mazzini:
«Mazzini, il propugnatore del primo nemico del popolo, di colui
che condannò il lavoro: Dio! Mazzini che predica da
quarant'anni alla gente affamata dal privilegio, ai diseredati la
religione del dovere... osa ancora parlare alle classi operaie, tenta
mistificarle, cullarle in un misticismo religioso che sostituisca al
paradiso dei preti la grande felicità d'esser cittadini...
d'una potenza di prim'ordine!» (11 febbraio)678.
«L'Anticristo»679
di Torino è indiavolato contro i preti, contro Mazzini e
contro il governo. Respinge financo la possibilità di un
accordo tra mazziniani, garibaldini e internazionalisti680.
«Caprera ha steso la mano a Lugano – scrive l'11 febbraio
1872 –. Un po' di Stefanoni, un po' di Campanella, un po' di
Cerretti, un po' di Mazzini; e Garibaldi è il primo cuor
contento d'Italia... Conciliazione. Ma, corpo di mille bombe, chi è
che osa legare un cadavere a un rigoglio di forza viva? che cosa
volete conciliare voi? i principî?... Il vostro Dio ha un D di
troppo e il vero, il grande Io è una moltitudine annoiata
mortalmente dalla vostra teologia politica e dal vostro spiritualismo
sociale! Le vostre utopie repubblicane non trovano piú un cane
che le prenda sul serio! Il popolo d'Italia è un popolo che
conoscete meno delle tribú australiane. È un popolo che
ha fame, che non sa leggere, che ha imparato a odiare: è un
popolo di proletari. Che cosa volete che ne faccia della vostra
repubblica?»
Ecco cosa pensa del mazzinianismo un
operaio che scrive sulla «Lega rossa»681 di
Milano, 18 febbraio 1872: «A me sembra che anche a essere
repubblicani, si debba pensare un pocolino altresí allo
stomaco. La scuola mazziniana è, per noi operai, un complesso
d'idee e di concetti tali, che... non ci raccapezziamo facilmente una
probabilità di sicura riuscita. Questa scuola appare come in
una nube. Tutto si ravvolge nel misticismo. Ma santo Dio, adesso...
v'è bisogno di farina e non di cose ipotetiche. A questi lumi
di luna abbiamo d'uopo farla comprendere agli operai, bisogna far
conoscer loro che quattro e quattro fanno otto. Bisogna dir loro:
Questi sono i vostri doveri. Questi sono i vostri diritti. Bisogna
far vedere all'operaio che lavorando come lavora ha diritto a mettere
nello stomaco almeno un po' di carne alla domenica. Frumento,
frumento, frumento altro che parole, parole, parole».
«Il Fascio operaio» di
Bologna682, pur essendo decisamente antimazziniano e
contrario alla conciliazione, serba un linguaggio assai piú
misurato. Dimostra che solo i fasci operai (ossia
l'Internazionale) hanno svegliato Bologna e le Romagne dall'apatia.
«Le utopie mazziniane – scrive il 2 marzo – le
cullavano in un sonno che sembrava morte»; e, a proposito dei
dissensi nel campo democratico, cosí si esprime: «Chi ha
scisso il partito repubblicano fu lo stesso Mazzini quando richiese
la fede religiosa per accordar patente di patriottismo ai
repubblicani; quando asserí, e disse il vero, che un abisso
separava lui, che vuole il Dio vero e noi che siamo indifferenti per
tutti; lui che vuole l'autorità e noi l'assoluta eguaglianza»;
ma non è giusto che i mazziniani riversino «su noi le
responsabilità di una scissione che in fin dei conti sarà
la salute della causa degli oppressi di tutto il mondo, che
l'Internazionale propugna» (2 marzo 1872). E il 10 marzo,
giudicando abbastanza... sinteticamente il mazzinianismo: «I
mazziniani vi gridano: Popolo, pensa prima di tutto ed esclusivamente
alla politica. L'Internazionale vi raccomanda di rinnovar l'uomo
coll'istruzione, colla morale, colla conoscenza di se stesso, prima
di rinnovar lo Stato»683.
Come reagiscono i mazziniani di fronte
a questa seconda ondata d'internazionalismo?
Ancora una volta, il loro contegno
contrasta singolarmente con quello degli internazionalisti. Piú
questi sono aggressivi, esuberanti, risoluti, piú quelli si
dimostrano – ad eccezione dello stesso Mazzini e di pochissimi
d'intorno a lui – remissivi, conciliativi, pronti a dimenticare
accuse e calunnie, sempre disposti a tentativi di pacificazione; ora
che l'atteggiamento intransigente di Mazzini si è rivelato
inefficace per trattenere l'ala estrema del partito, che anzi è
parso dare una conferma agli appunti mossi contro di lui d'essere
autoritario e geloso d'ogni discussione sul suo programma, ora che la
crisi ha preso proporzioni inaspettate, i mazziniani si sentono come
disorientati: oggi tentano un accordo, domani – respinti –
si stringono irritati nelle loro posizioni, per gettare poi, passato
qualche tempo, un nuovo ponte verso l'opposta riva. Soprattutto li
esaspera la soddisfazione non dissimulata dei moderati di fronte al
loro indebolimento. «Gli operai italiani sono repubblicani –
dichiara l'"Unità italiana e Dovere" –; e
vogliono l'unità, ora e sempre; epperò sono male
avveduti coloro i quali ridono ora dei nostri dissensi in quistioni
secondarie. Riderà bene chi riderà l'ultimo e i
monarchici vedranno se il giorno, in cui si tratti di andare alle...
per la...684 vi sarà dissenso tra mazziniani e
garibaldini, tra deisti e materialisti, tra repubblicani e
internazionalisti».
È interessante seguire il
contegno del foglio mazziniano «L'Alleanza» di Bologna
(fondato il 3 dicembre 1871), diretto da Francesco Pais, un
democratico che cerca di conciliare Garibaldi e Mazzini e le due
tendenze che loro fanno capo. «L'Alleanza» si trova nel
centro stesso del nuovo movimento internazionalista ed è
perciò piena di calore nel difendere le dottrine mazziniane,
da ogni parte svisate e vilipese: i dissapori che dividono la
democrazia sono piú apparenti che sostanziali; fra socialisti
e Mazzini non corre gran divario, dappoiché Garibaldi, come
internazionalista, ha sconfessato le grottesche negazioni dei
comunisti. «Ci sentiamo socialisti – scrive "L'Alleanza"
il 2 gennaio 1872 – quanto ogni internazionalista alla
Garibaldi; e delle questioni religiose e filosofiche non ce ne
occupiamo in omaggio al principio di libertà di coscienza,
perocché atei e deisti, materialisti e spiritualisti, tutti
possiamo unirci e convenire al raggiungimento dello scopo principale
comune». E il 4 gennaio: «In Italia non vi sono né
possono essere né mazziniani, né internazionalisti, ma
solamente dei repubblicani socialisti perché
gl'internazionalisti italiani non hanno nulla di comune colle
selvagge teorie d'oltremonte e d'oltremare»; anzi non sanno
neppure che sia l'Internazionale per la quale è cominciata
«una nuova fase che ci piace chiamare della confusione
babelica. E per vero noi vediamo che in alcune città italiane
nascono società che si dicono affigliate piú o meno
direttamente all'Internazionale e che ne abbracciano il programma. Ma
quel primitivo programma non è ormai che una lettera morta...
L'Internazionale in Italia non esiste»685 (4 febbraio
1872).
Questo atteggiamento estremamente
conciliativo – Mazzini non lo avrebbe potuto approvare –
coincide con la direzione del Pais. Ma «L'Alleanza»
doveva difendere in Emilia – assieme con organi minori, quale
«La Rivoluzione» di Forlí diretta da Antonio
Fratti – i colori mazziniani; e la parola d'ordine, secondo
l'esempio rigidissimo di Mazzini stesso – era di non
transigere, di non cercare accomodamenti impossibili tra materialisti
e spiritualisti. Cosicché, mentre la campagna antimazziniana
si intensifica e i progressi dell'Internazionale si fanno sempre piú
evidenti, «L'Alleanza», non badando al suo titolo –
che assai probabilmente era stato scelto appunto in vista dei dissidi
nel campo democratico, – vira di bordo. Al Pais vien sostituito
nella direzione un mazziniano puro, Luigi Rangoni (14 febbraio 1872)
e il giornale, che diventa organo delle Società repubblicane
consociate delle Romagne – si fa intransigente. «Il
nostro appello alla concordia fu respinto – scrive il 7 marzo.
– Constatiamo questo fatto, a ciò che ciascuno abbia
quella parte di responsabilità che gli appartiene... Ebbene, a
questo punto, "L'Alleanza" è lieta di separarsi
irreconciliabilmente da avversari di tal fatta e preferisce di averli
nel novero dei nemici».
Dietro tutta questa agitazione di
stampa, era lo spettro dell'Internazionale, la quale effettivamente
andava realizzando progressi molto seri. «Il Monitore di
Bologna», 8 novembre, scriveva che gli risultavan «partiti
per Firenze, Torino, Napoli e Roma degli emissari dell'Internazionale
per effettuare coi loro aderenti d'Italia un'organizzazione generale
della politica e dell'amministrazione della lega»686.
A Napoli, mercè gli sforzi di
un gruppo di giovani disinteressati ed entusiasti, con a capo il
Cafiero, gli elementi internazionalisti andavano ripigliando i
contatti interrotti fin dall'agosto. Col 10 novembre il giornale «Il
Motto d'Ordine», fondato nel settembre dello stesso anno,
cominciava a parteggiare apertamente per l'Internazionale,
trasformandosi in quotidiano687. Verso la fine del mese
sorgeva la Federazione operaia napoletana, dichiaratamente
internazionalista688.
A Milano un fervente bakunista, il
Pezza, e un tedesco seguace di Marx, il Cuno, stavano lavorando per
fondare una sezione689.
A Torino si andava svolgendo
un'accanitissima lotta in seno alla Federazione operaia tra
mazziniani e internazionalisti. Nelle elezioni delle cariche che
vennero fatte sulla fine di novembre, riuscí presidente un ex
internazionalista, convertitosi a mazziniano690;
vicepresidente e segretario due internazionalisti691. La
federazione contava allora settecentocinquanta soci.
Il 27 novembre 1871 si costituiva a
Bologna il primo Fascio operaio, sotto il consolato di Erminio
Pescatori; i suoi principî vennero esposti nel 1° numero
del giornale omonimo692, che esso pubblicò –
sotto la direzione dello stesso Pescatori e con la collaborazione di
Andrea Costa – dal 27 dicembre 1871 al 6 giugno 1872. «Non
vogliamo atterrare un nemico per occuparne il posto: dobbiamo invece
rendere impossibile il privilegio della nascita e del monopolio, per
sostituirvi l'universale diritto di vivere per lavorare, di lavorare
per esser liberi, di esser liberi per divenir tutti
uguali»693. Il Fascio operaio non era che una sezione
dell'Internazionale, con nome diverso; suo primo socio, naturalmente,
Garibaldi694. Alla fine dell'anno contava già in
Bologna cinquecento soci mentre, costituitisi altri fasci consimili
in tutta l'Emilia e specialmente in Romagna695, si tendeva a
una federazione regionale: il 19 dicembre 1871 si riuní
infatti a Bologna un primo comizio dei delegati delle sezioni di
Bologna, Imola, Ravenna, Forlí, Faenza, Rimini696.
Altrettanto avveniva in Firenze dove, per opera di Piccioli-Poggiali,
Natta, Grassi, Lovari, sorgeva un fascio operaio che raccolse subito
un duecento operai697.
Questa propaganda si svolgeva
principalmente sotto la diretta influenza di Bakunin che, dalla
Svizzera, cercava di mantenere attivissime relazioni. Voleva che
l'Internazionale italiana fosse la sua roccaforte, pronta a
sostenerlo nella imminente definitiva battaglia contro il Consiglio
generale di Londra.
«Posso dire di avere inondata
l'Italia della nostra circolare... – scriveva il 18 dicembre
1871, alludendo a una circolare spedita dalla Federazione
antimarxista del Giura. – Ho dovuto scrivere una quantità
di lettere in tutte le parti d'Italia per spiegare agli amici il vero
senso della nostra lotta contro Londra e per disporre a favor nostro
gli amici e i quarti di amici»698. Molti giornali
internazionalisti italiani riprodussero infatti tale circolare,
vivamente elogiandola: tra i quali, nel dicembre '71, «L'Uguaglianza»
di Girgenti, «La Campana» di Napoli, «Il
Proletario» di Torino699 e il «Fascio operaio»
di Bologna. Esitò prima di pubblicarla – in quanto
significava adesione a Bakunin – «Il Gazzettino rosa»,
milanese, che subiva allora qualche influenza del Consiglio generale
di Londra, intermediario Carlo Cafiero – suo collaboratore –
cui Federico Engels cercava di appoggiare il movimento antibakunista
in Italia. Ma ben presto, convertitosi il Cafiero alle idee di
Bakunin700, anche il «Gazzettino» prese posizione
contro il Consiglio generale, dichiarando di aderire alla circolare
di Sonvillier e pubblicando una lettera di un gruppo
d'internazionali, sostenitori a spada tratta del pensiero e dei
metodi di Bakunin701.
Il nome dell'Internazionale e dei suoi
fondatori si diffondeva sempre piú. Il 22 dicembre 1871
l'Associazione democratica di mutuo soccorso di Macerata spediva un
indirizzo a Carlo Marx, informandolo d'averlo nominato triumviro
onorario della società, in compagnia di Garibaldi e di...
Mazzini, in omaggio al principio «la nostra patria è il
mondo»702.
Il 24 dicembre trenta membri
dimissionari della Società operaia di Milano fondavano una
sezione internazionale sotto il nome di Circolo operaio di
emancipazione del proletariato703; in venti giorni i soci
salivano al centinaio704.
Il 1° gennaio usciva a Torino il
settimanale satirico internazionalista «L'Anticristo». Lo
stesso giorno si costituiva la sezione di Ravenna
dell'Internazionale, mercè la fusione di cinque società
operaie, con un totale di 478 membri705.
Il 5 gennaio la Federazione operaia di
Torino si scindeva: una importante minoranza che aderiva apertamente
all'Internazionale ne usciva per formare la società
L'emancipazione del proletario, che si organizzò in corpi di
mestiere e costituí subito una cassa di resistenza. E anche la
maggioranza, pur aderendo al mazziniano Patto di Fratellanza,
deliberava di inviare le quote regolamentari al Consiglio generale
dell'Internazionale706.
A Napoli, 7 gennaio, veniva fondato il
settimanale «La Campana»; e a Milano, il 28, «La
Lega rossa».
Altre sezioni dell'Internazionale si
fondavano a Ferrara, a Milano, a Rimini, sulla fine di gennaio. Le
sezioni già esistenti intensificavano la loro attività:
tale quella di Napoli che, nel febbraio 1872, invitava i tipografi a
una riunione da tenersi il 18 del mese, onde fondare un'unione
tipografica basata sui principî dell'Internazionale707.
Verso la metà di febbraio
Engels mandava in Italia un internazionalista italiano, il Regis, che
aveva già fatto parte del Consiglio generale, perché si
rendesse conto personalmente della situazione e studiasse il modo di
controbattere la tenace influenza esercitata da Bakunin708.
Il Regis, che si celava sotto il nome di Péchard, visitò
le sezioni di Milano e di Torino, indicendo riunioni nelle quali
illustrò i principî e giustificò l'azione del
Consiglio generale. Scrisse poi all'Engels (1° marzo) che i
risultati del suo viaggio «non sono negativi», pur
costretto a riconoscere che tutti gli elementi piú attivi
dell'internazionalismo italiano pencolavano irrimediabilmente verso
il dissidentismo bakunista. Annunciò inoltre che si andavano
costituendo nuove sezioni a Biella, a Pinerolo, ad Alba, a
Sampierdarena709.
Vincenzo Pezza fondava a Milano, il 16
febbraio, un giornaletto internazionalista d'estrema sinistra, «Il
Martello»710. Il 18 febbraio si riuniva a Villa
Gambellara (Ravenna) un comizio internazionalista, presenti 11
sezioni e gruppi della Romagna711. Il 26 febbraio i membri
della Associazione democratica di Macerata scrivevano al giornale
«L'Anticristo», in questi termini: «Abolizionisti
d'ogni principio autoritario, siamo per l'Internazionale, ed
internazionali puri non ci piegheremo a qualunque accenni di assorbir
comando e direzione»712.
Nello stesso mese di febbraio altre
sezioni si costituivano a Siena, a Fano, a Mantova, a
Palermo713.
Mentre si occupava della
organizzazione dell'Internazionale in Italia, Bakunin714 non
trascurava di proseguire, sul terreno teorico, la sua campagna
antimazziniana715.
Sulla fine del 1871 stampò
infatti un opuscolo in francese su La théologie politique
de Mazzini et l'Internationale, che qui, poiché non influí
affatto sulle sorti della battaglia tra Mazzini e i socialisti, non
essendo stato tradotto in italiano né allora né –
per quanto mi consta – piú tardi716, basterà
riassumere brevemente. Tra gli scritti di Bakunin è dei piú
fiacchi: ripete cose già dette nella Risposta e nella
Circolare agli amici, non segue un rigoroso filo logico, è
poco equilibrato nelle sue varie parti.
Come promette il titolo, la parte
sostanziale dell'opuscolo è quella che riguarda la concezione
religiosa di Mazzini e l'antitetica visione materialistica della
vita. Ma dell'una e dell'altra noi abbiam già visto i motivi
fondamentali. Punti efficaci e arguti di questo pur sempre
interessante pamphlet son quelli nei quali Bakunin, definita
la fede in Dio come la piú esclusivista e intransigente di
tutte le fedi, tale da schiacciare addirittura lo spirito dei suoi
seguaci717, tenta di provare come anche il Dio di Mazzini,
per quanto modernizzato e umanizzato, sia tuttavia incompatibile con
l'incessante sviluppo del mondo naturale e, quel che piú
conta, del mondo umano.
Scendendo a ragionare di cose
concrete, Bakunin ricorda le recenti persecuzioni subite
dall'Internazionale in Italia e le pone senz'altro in relazione con
le clamorose invettive mazziniane; gettata cosí un'ombra di
sospetto su Mazzini, fa notare che tanto egli quanto le rigorose
autorità italiane non potevano rendere miglior servizio
all'associazione la quale, nella sua povertà, non era davvero
in grado di farsi una propaganda tanto intensa ed efficace. «Appena
un anno fa eccetto due o tre punti isolati e sperduti nello spazio,
in Italia non si dubitava neppure dell'esistenza dell'Internazionale.
Ora, grazie alla stampa governativa e grazie soprattutto a
Mazzini718 nessuno la ignora» (p. 23).
Bakunin si diffonde quindi ad esporre
a uno a uno i principî programmatici dell'Internazionale. È
tempo che in Italia si conosca la verità su
quest'associazione, nota finora per le diffamazioni di interessati
denigratori. Egli confida che, informati finalmente degli scopi
dell'Internazionale, gli operai italiani si accorgeranno di quanto
fuor di luogo e irragionevoli sian gli attacchi che Mazzini ha
rivolti contro di essa, travestendola in modo grottesco, al fine di
spaventare la borghesia e trattenere il proletariato.
L'antinternazionalismo di Mazzini, del resto, non può
maravigliare chi appena conosca la concezione che egli ha di popolo e
di iniziativa popolare. Egli vuole l'emancipazione delle masse, ma le
considera come assolutamente incapaci di dirigersi e di governarsi da
sé: saranno felici e in grado di compiere la missione loro
affidata da Dio solo se abbracceranno il suo programma e si
lascieranno permeare dal suo sistema di educazione; considera sí
necessità essenziale la loro unione: non comprende però
che, ai fini dell'emancipazione morale e materiale del proletariato,
essa è preziosa e feconda se spontanea, non ha invece alcun
valore se forzata, o anche se troppo rigidamente la si voglia
dall'alto controllare e guidare alle sue mete.
L'opuscolo, s'è detto, ha
valore assai modesto. Ciò non pertanto la lettura ne è
ancor oggi piacevole, grazie all'agilità stilistica,
all'arguzia e alla vivacità dello scrittore, a volta a volta
irruente e leggero, fine nella critica e poderoso nell'attacco,
sempre ricco d'imagini e felice nell'espressione.
Fu l'ultima stoccata del duello
Mazzini-Bakunin.
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