Lorenzo Magalotti
Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia

DIARIO DI FRANCIA

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DIARIO DI FRANCIA

dell'anno 1668

 

 

<26-28 aprile>

 

Arrivai in Parigi la sera de' 23 e trovai la corte a Versaglia, dov'era andata il giorno avanti. La mattina seguente de' 24 non uscii di casa; il dopo desinare fui a trovar l'abate Séguin, decano di S. Germano, non per motivo di usar finezza con esso seco, ma per servire all'abate Falconieri per la stampa d'un certo libro commessa alla sua diligenza ed applicazione. Di quest'uomo non dirò nulla, prima perché il discorso fu breve e tutto di negozio, e poi perché V.S. l'ha già trattato e conosciuto intrinsicamente, e per le cose messe alle stampe e per l'occasioni di trattar seco nel suo passaggio per Firenze, quando per ordine del re si portò a Roma e a Loreto per sodisfare al voto della regina madre. Io non avevo seco alcuna amicizia, ma nondimeno posso dire d'averlo trovato un uomo cortese e obbligante.

Fui dopo dallo Spanheim e lo trovai in procinto di partire tra pochi giorni per Eidelberga: aveva due o tre giorni avanti aùto congedo dal re insieme con gli altri inviati elettorali stati qui per la negoziazione di pace, la quale si danno ad intendere d'aver conclusa. Mi disse che aspettava un'altra audienza particolare dal re e che poi sarebbe partito, credo per pigliar la strada di Ginevra sua patria. Mi segnò con maniere molto espressive la gran passione aùta dal suo signore per non aver mai potuto nutrir la speranza di servir V.S. nel suo passaggio per l'Alemagna, dal qual discorso proccurai d'uscire assai presto. Anche questo soggetto è benissimo conosciuto da V.S., per lo che tralascerò di parlarne.

Fui di poi a casa un mio vecchio amico, le di cui lettere V.S. ha veduto continuamente. Da lui intesi che Soual è presentemente in Parigi ed in buonissimo stato per far accoglienza ai Toscani, essendo stato ripigliato mirabilmente da una lettera del sig. cardinale de' Medici, accompagnata da un esemplare del libro dell'Esperienze, di che ha fatto grandissima ostentazione tra i letterati di Parigi; mi disse poi gran male del fatto suo e della difficultà che s'incontra in saper andare ai versi del suo umore, il quale non sa soffrire le seconde repliche senza alterarsi. Io per me gliele merrò tutte buone.

Il giorno de' 25 stetti a vedere Menagio, che appunto per esser mercoledì aveva in casa l'assemblea. Di questa discorrerò quando vi sarò stato, poiché questa volta vi fui di buonissim'ora e per brevissimo tempo, avendo molte cose a fare, e appunto quando partii cominciavano a comparire i cicaloni. Il Menagio è un uomo ben fatto, che non ha mina di franzese, porta parruca bruna, ha le spalle un po' grosse, e all'aspetto non mostra più di 45 anni, benché n'abbia 55, avendo nel resto apparenza d'uomo savio e robusto. Ancorché sia l'oracolo della lingua toscana in Francia parla sempre franzese, nel che mi dicono che fa molto bene poiché, per quel che tocca l'accento e la pronunzia italiana, la debbe aver dolorosa. Può esser ch'io gli faccia gran torto nel dir di lui quel che sono per dirne, ma io non intendo di darne giudizio perché, facendo professione di tener ragguagliata V.S. di tutto quello ch'io veggo e che osservo alla giornata, non è possibile il dar sempre di tutto sentenza definitiva, non potendosi al primo abbordo conoscere un uomo o arrivare a toccare il fondo di cosa; per lo che in queste mie relazioni occorreranno spesso molte contradizioni, secondo che le mie prime opinioni e i miei primi inganni verranno successivamente corretti dalla più lunga pratica e dalla cognizione più intrinseca degli uomini e degli affari. Dico pertanto che se il Menagio mi riuscirà uomo di tratto gentile m'ingannerà, essendomi parso così alla prima uomo assai naturale, per non dir rozzo, benché ciò sia senza veruna lega di maniera alta o disprezzante. Non dico così dove si tratta della stima di se medesimo o dell'altrui in materia di sapere e d'erudizione, come V.S. s'accorgerà da quel che sono per dirle. Messi che fummo a sedere, mi disse che il sig. cardinale de' Medici gli aveva fatto grazia del libro dell'Esperienze, il che gli era costato il far ritirar un foglio della sua opera dell'origini della lingua toscana per aggiugnervi quella «di Cimento» (nome della nostra accademia), la qual fa venir da sagiamentum. Con tal pretesto si fece portare la parte stampata della suddetta opera, della quale mi fece scartabellare in diversi luoghi per farmi vedere alcune origini da lui stimate le più ingegnose ed astruse. Gli dissi che il Dati e il Redi travagliavano di lungo tempo a quest'opera, secondo ch'egli doveva molto ben sapere: mi rispose di sì e che del Dati aveva veduto tutto, ma che né egli né il Redi avrebbero mai concluso di darla fuora, e tutto disse con una certa maniera disprezzante, che per conoscere l'animo suo non mi fu bisogno di lunga speculazione. Nell'origine della voce «Crusca» avendo incontrato un breve elogio dell'accademia, fui così dolce che, senza aver mandato di procura, mi messi a ringraziare e far complimenti per lei, e quand'ebbi finito mi replicò con la maggior flemma del mondo: «Signore, bisogna che io sia molto attento a non lasciarmi scappare alcuna occasione di dir bene dell'accademia, perché son tante quelle che m'occorre il parlarne altrimenti; ed a dire il vero non saprei lasciarne pur una, ché se alle volte non ne parlassi con rispetto correrei gran risico di passar per appassionato, quando mi convien proporre le mie opinioni tanto contrarie a' suoi insegnamenti». Discorrendosi della lingua greca, disse che in Italia non v'è chi n'intenda straccio, e rimase trasecolato quando vedde l'abate Falconieri pigliare un libro greco in mano e leggerlo. Gli dissi che in materia d'origini l'accademia aveva fatto grande acquisto con la persona di m.r d'Erbelot, il quale ne aveva già fornito molto ingegnosissime cavate dalle radici della lingua arabica e della persiana, mostrandone la derivazione appoggiata a buonissimi fondamenti. Se ne rise asserendo che da questi fonti la nostra lingua non ha attinto pur una gocciola, e tutto questo con una magistralità come s'egli fosse il Bembo, il Casa o il cavalier Salviati, quando le sue, almeno quelle ch'egli stima tanto, sono una spezie d'indovinelli fatti a capriccio, i quali al più mostrano la possibilità della derivazione ma non n'adducono alcun riscontro. Con questo finii la visita, ed io me ne andai al corso della regina.

Oggi sono stato da m.r Chapelain, il quale ho trovato travagliando d'una sua invecchiata indisposizione che lo sottopone agli incomodi della pietra, benché i cerusici non credino ch'ella vi sia. È però penoso il suo male e di gran suggezione, impedendogli egualmente il muoversi e il farsi portare, non senza un notabil debilitamento della facultà ritenitiva, per cui viene spesso obbligato a ritirarsi per breve tempo dalla conversazione. Quanto ha di buono è che il suo male fa seco di lunghe tregue, nel qual tempo riman così sano quanto si può pretendere da un'età grave e da un temperamento per se stesso non vigoroso ed al presente fuor di modo infiacchito. Questo veramente è un di quegli uomini che bisognerebbe poter rimpastare, e certo una conversazione di due ore aùta seco a me è stata d'avanzo per farmene innamorare. Egli ha la più infelice presenza del mondo, ma non si può sentire complimenti più cortesiespressioni più tenere d'amicizia e di cordialità di quelle ond'egli ci accolse; discreto, modesto, affettuoso, obbligante e insomma pieno di quelle maniere che bastano ad accreditare un uomo al primo congresso. Cominciò il discorso dal rammemorare tutti gli amici suoi di Firenze, e con qual tenerezza, con quale stima, con qual rispetto! Del conte Bardi disse maraviglie e recitò a mente alcuni brandelli di sue poesie.

Passò poi a discorrere dell'incumbenza datagli dal re e da m.r Colbert di far la scelta dei letterati che dovevano divenir oggetto della beneficenza del re. Mi ha detto in questo proposito, per cosa assai notabile, come avendo egli fatto diligenza in Spagna per via d'un suo confidente che si trovava a Madrid appresso il vescovo d'Ambrun per informazione degli uomini più insigni della corte e del Regno, ricevé una lista di sei o sette persone stimate i più galanti spiriti della corte, dei quali -- vatti veggendo! -- né pur uno intendeva la lingua latina. Rimase sorpreso il re di questa inaudita barbarie di quel Regno, né parendogli giusto il contentarsi di versar le sue grazie sopra medici o giuristi o teologi scolastici o commedianti, che son le quattro professioni dov'ha il suo forte la letteratura spagnuola, incaricò m.r Chapelain di trovare in ogni maniera un suddito del re Cattolico che potesse ricever con qualche giustizia le gratificazioni di S.M. Trovò egli dunque in Fiandra il Gevarzio, uomo di consumata erudizione ed esercitato per 40 anni, con fama di grandissimi talenti ed integrità, la carica di segretario d'Anversa, stimatissima in quella provincia, e della quale aveva ottenuto di fresco facuità di sgravarsi nella persona d'un suo figliuolo. Ricevè egli per due anni questa pensione, ma il terzo con bellissima maniera la ricusò dicendo che abbastanza aveva il re colla sua generosità obbligato la sua eterna gratitudine, ma che conoscendosi egli inabile a corrisponder degnamente, supplicava la M.S. a dispensarlo nell'avvenire dal ricever grazie di tanta confusione per lui. La sustanza era che quest'uomo aveva ricevuto una solenne intemerata da Castel Rodrigo, il quale, interpretando il tutto politicamente questo negozio, gli fece un'intemerata così indiscreta che quel pover uomo, abbattuto dal vedersi sottoposto in quell'età a incorrer sospetti di mancamento di fede verso il suo principe, se ne morì tre mesi dopo.

Si passò poi a discorrer delle cose del mondo e particolarmente dello stato presente delle cose tra le due corone, e in questo veramente lo conobbi un poco appassionato per le cose del suo paese, benché nel resto discorresse con molta aggiustatezza e maturità, dando universalmente assai buon giudizio anche sopra quelle cose che, venendogli da me referte della condotta dell'Inghilterra in questi affari, gli arrivavano affatto nuove. Non credo di fargli torto dichiarandolo appassionato per la Francia, perché, sebbene considero che con un forestiero qual ero io gli conveniva il regolarsi con qualche riguardo nell'aprir l'animo suo, ho nondimeno saputo esser questo piccolo difetto notato in lui dai Franzesi stessi, i quali essendo universalmente sottoposti all'istessa cosa, e con tutto ciò tacciandola in lui, bisogna credere ch'ei vi pecchi più degli altri. Per dare un saggio di questa sua appassionata parzialità, dirò a V.S. com'egli pretese di far passare per un esempio di rara moderazione del re tutta la condotta de' presenti negoziati, e per un contrassegno infallibile dell'intenzione di S.M. per la sussistenza della pace presente il vedere come egli restituisce la Franca Contea: «poiché», dic'egli, «se voi mi dite che il re fa la pace forzato dalla Lega, l'istessa Lega che promette la garanzia di questa pace gli sarà sempre contro quand'ei vorrà romper la guerra. Ora qual vantaggio troverebb'egli, poiché adesso o poi ha da aver tutto contro, nel render quello che ha di già nelle mani, per averlo a recuperare quando i difensori averanno aùto tempo, addottrinati da questa nuova esperienza, di mettersi in migliore stato?». Ma accanto accanto gli veniva dicendo che la condizione degli Spagnuoli era infelicissima, poiché il rilasciare al re le sue conquiste a titolo delle sue pretensioni era un avvalorarle con un atto autentico per tutto il resto delle province che si pretendono devolute, se non per lui, per il Delfino; e il domandar un atto di renunzia e di cessione per sicurezza del presente trattato era un pregiudicarsi in qualche modo, mentre di ciò che si chiede renunzia viene implicitamente a confessarsi qualche giusto titolo di pretensione. «Or vedete», diceva egli, «come questa pace, benché apparisca inpropria, non lascia d'esser onesta, mentre per essa il re acquista un paese considerabile, non ad altro titolo apparentemente che per dare una pace desiderata dall'Europa e implorata dai principi mediatori, senza che perciò si leghi le mani a proseguire un'altra volta i suoi disegni quando gli sia riuscito di separar la Lega; senza che mai in un'altra pace se gli abbia a computare ciò ch'egli ottiene in questa in parte di sodisfazione di quello ch'ei pretenderà allora, mentre adesso gli vien ceduto non ad altro titolo che a prezzo di questa pace».

Si passò poi a discorrere di Colbert, del quale non intendo starmene alle sue relazioni avendonelo riconosciuto parzialissimo. Mi disse, fra quelle cose che gli si posson credere perché se ne vede i riscontri, che il temperamento di questo ministro si rifà dell'applicazione e della fatica; che il concetto d'esser gran faticante è la più efficace intercessione che possa aver chi che sia appresso di lui; che la sua massima nelle cose dell'azienda è di veder tutto da sé, e tener la scrittura con tal chiarezza che al re non metta paura il riconoscere lo stato delle cose sue: il che gli è riuscito così bene, che al presente non è inferiore la notizia che ha il re degli avvenimenti che maturano alla giornata, a quella che ne ha lo stesso Colbert. Nelle cose di stato professa non aver altra mira che di fare a rovescio di quello che hanno fatto e fanno gli altri, come l'uomo che considera tutti guidati dal proprio interesse e sé solo idolatra dell'ambizione di ben servire il suo principe, il quale pensa tanto a lui che non l'obbliga a pensar punto a se stesso. Che sopra di lui si riposano quattro grandissime applicazioni: le finanze, le fabbriche, le manifatture e la flotta, per tutto quel che risguarda la fabbrica de' vascelli e le provvisioni per armarli. Che per ciascuna di queste ha ore determinate nelle quali tien la portiera aperta e sente tutti e retta a tutti, a ogni replica che gli fanno dopo essere stati licenziati, senza mai annoiarsi o alterarsi, purché senta parlare a proposito, e, alla prima proposizione irragionevole, volta le spalle ed attacca un altro. A quelli che vengono con nuove proposizioni di negozio assegna giorni e ore particolari. Dorme cinque ore sole, ed interrogato qual sia il gusto ch'ei si riservi per sé, non altro risponde che: «il faticar tanto il giorno da poter dir la sera, in quel mezzo quarto d'ora ch'io mi spoglio, con giustizia e senza adularmi, quante cose ho io fatto oggi». Mi disse finalmente che il re l'ama, perché veramente è persuaso che niuno più di Colbert ama la sua persona e meno la sua fortuna.

 

29 aprile.

 

Dopo la messa, che ho sentita aux grands Augustins, chiesa grande ma sconcertata e male intesa d'architettura, sono stato a visitare il marchese Duglas, colonnello del reggimento scozzese che servo in Francia. Questo cavaliere l'avevo conosciuto a Londra, e avendolo incontrato a Calais ero venuto seco per tre giornate fino ad Abbeville. La sua famiglia è delle migliori di Scozia, stata sempre cattolica per l'addietro, essendo egli il primo protestante della sua casa. È uomo di 40 anni, de' quali la parruca e la gala gliene dissimulano una decina; è cadetto e non è ammogliato; ha reputazione di bravo e uomo cortese e ragionevole, avendo addomesticato in Francia il temperamento freddo e brutale del suo paese. La mina è di cavaliere e può dirsi uomo ben fatto; ha qualche impedimento nella lingua, che alle volte gli mala grazia nel parlare.

Dopo desinare è stato da me m.r di S. Laurens, notissimo a V.S. e che ha fama d'essere il franzese più sodo e il più serio della corte, e l'uomo che s'è approfittato meglio d'ogni altro de' suoi lunghi e replicati viaggi. La visita fu di complimento: mi disse solo di particolare che mademoiselle de Fienne, disingannata finalmente delle speranze del matrimonio promessole dal cavaliere di Lorena, s'era otto giorni sono ritirata in un monastero, non per farsi monaca ma per pigliar quivi altre misure per la sua condotta, e intanto o uscir dell'impegno o azzardar qualche fortuna.

Sono stato a Luxembourg per far riverenza a Madama. Il palazzo è un pezzo che va per le stampe: ma perché queste sanno sempre formare un concetto avvantaggioso al vero, non lascerò di dir così di passaggio a V.S. intorno a quella sua tanto decantata somiglianza col palazzo de' Pitti, che egli n'ha veramente qualche poca, nella parte che risguarda il giardino e nel cortile; nella facciata punto, essendo più presto un muro che chiude la parte di fuori del suddetto cortile -- secondo lo stile di Francia, ove, per sottrarsi dall'incomodo del romore delle carrozze, usa fabbricare gli appartamenti più lontani che sia possibile dalla strada -- che una facciata di palazzo. Il cortile apparisce maggiore di quel de' Pitti, non so se perché egli sia veramente più grande o perché inganni l'occhio la bassezza della fabbrica, la quale sebbene è di tre ordini, cioè toscano, dorico e ionico, egli rimane assai più basso di quello de' Pitti, e le bugne di pochissimo rilievo; le scale non sono belle e malissimo situate, non solo perché bisogna passare tutto il cortile per trovarle, ma anche impediscono una prospettiva bellissima che farebbe il giardino nell'ingresso del palazzo se dove sono le scale potesse l'occhio passare a vedere tutto il piano d'un bellissimo perterra che v'è congiunto. Da questo poi si scompartiscono diversi viali che vanno a rinselvarsi in un bosco piantato regolarmente di alberi, che a luogo a luogo lasciano diversi spazi a uso di prateria, altri palesi altri nascosti, non meno comodi al diletto del passeggio e delle merende, che all'opportunità di più segrete conferenze tra uomini e donne, de' quali la quaresima, per la vicinanza della fiera di S. Germano e, di questi tempi, per la verdura delle piante, è mai sempre ripieno. Madama, come data a una spezie di vita piuttosto religiosa che ritirata, apprendendo vivamente gli effetti che possono risultare da una sì pronta occasione, ha posto qualche ordine all'entrar per escludere la gente più bassa, in cui ella crede meno di virtù per resistere agli inviti del peccato, dove Mademoisella, come più disinvolta o meno intendente (come più giovane) della malizia del mondo, permette più libero ingresso dalla sua parte. Più vicino al palazzo vi è una serrata dove sono alcuni bellissimi spartimenti di fiori e, in spezie, di tulipani, che sono quanta delizia e quanto diletto si è riservata Madama nelle cose del mondo.

Salito ad alto trovai che appunto vi era partito monsignor Nunzio, onde v'era moltissima gente e fra l'altre dame mademoisella di Guisa, la quale partita entrai da Madama che se ne stava sur una sedia a bracci di velluto nero, bassissima, intorniata da un cerchio di dame. Uscito da Madama fui dal conte S. Mesme, che ha l'appartamento nel Luxembourg sopra gli spartimenti de' tulipani, che essendo ora tutti fioriti rendono meraviglioso l'aspetto delle sue finestre. Le stanze sono assai buone, ma quella dove dorme è accomodata con lindura e con lusso all'usanza di Francia, per la galanteria degli studioli, de' quadri e dei lustri di cristallo e d'argento disposti in gran quantità d'attorno le mura. Da lui intesi quello che V.S. sentirà con questo ordinario da cento bande, dell'attentato fatto inutilmente a Evreux in casa di Buillon contro il cancelliere d'Inghilterra da alcuni marinari inglesi che venivano a servire in Francia.

Di me n'andai al corso e vi veddi per la prima volta il principe di Condé in compagnia del duca d'Enghien: non ho ancor veduto in Parigi uomo più negletto di lui nel vestire e ne' capelli; aveva una barba a dir poco d'otto giorni, e mi dicono che questo sia il suo ordinario; non saprei a chi meglio rassomigliarlo che al Malegonelli che sposò la figliuola del marchese del Borro.

Ho imparato a conoscere un tal cavaliere de l'Isle, che da poco in qua passa per gentiluomo di trattenimento alla corte. Questo è un povero compagno, che ha nondimeno l'onore di essere il più sfacciato franzese che vada attorno; fu cominciato a conoscere l'anno passato a un ballo, dove tanto fece con la sua importunità che obbligò madama di Brancas, che vi comparve in mascherata in compagnia di Madama, a cavarsi la maschera. Sodisfatto ch'ei fu, ella lo pregò a dirle il suo nome: e, come s'ei fosse monsieur il principe, maravigliato ch'ella non lo conoscesse, le disse un poco alterato: «Come, madama: voi non conoscete il conte de l'Isle?». «Ah ah», rispose madama, «sì sì, ora mi rinvengo: monsieur le conte de l'Isle!». «Ebbene», diss'egli, «allora non mi direte voi chi sia la vostra compagna?». «Potete», diss'ella, «accostarvi a lei e domandarlene avendole dato parola di non scoprirla». Accostatosi per tanto a Madama con la solita impertinenza, ella per liberarsene gli disse che quivi era persona da cui non voleva in alcun modo esser riconosciuta, però che venisse la sera dopo al ballo in casa Madama, che l'averebbe sodisfatto. Così fece, ed entrato -- poiché alla porta v'era ordine che venendo un tale fosse subito ammesso -- , per tutto dove passava la gente indettata cominciò a salutarlo ad alta voce, lacchè, paggi, figlie, dame e cavalieri: «Servitor monsieur il cavalier de l'Isle!»; onde il pover uomo, non sapendo dove nascondersi, se ne usci fuori, e da quel tempo è sempre rimasto personaggio redicolo, benché per la sua sfacciataggine, fatto il callo alla vergogna, se la trovi in oggi utile e ne faccia bottega.

Dopo il corso andai da monsignor Nunzio, dal quale fui accolto con grandissima cortesia e larghe esibizioni. Per l'innanzi non lo conoscevo se non di vista, ma nel discorso mi parve di riconoscerci talenti molto mediocri, non senza qualche lega di vanità. Tale mi parve quella di dare ad intendere a sé o di pretender di far creder ad altri per opra de' suoi negoziati la sospensione delle armi accordata dal re per tutto maggio. Mi disse ancora con espressione di gran compiacenza come, per indurre questi ministri a qualche soccorso per Candia e vedendoci poco assegnamento, gli aveva messi al punto con dire che la Francia potrebbe risentire qualche gran pregiudizio per la gelosia de' principi vicini quando, dopo la pace, vedessero il re renitente a smembrare una parte benché minima delle sue forze, nonostante il giustissimo motivo d'assister in sì gran necessità la Repubblica. Entrati a discorrere dell'Inghilterra, uscì con supposti debolissimi dello stato di quegli affari, e discorse con massime più da semplice religioso che da ben informato ministro. Entrai, non so come, a dirli della gelosia de' Genovesi per le forme ambigue tenute con essi da questa corte: intorno a che gli domandai come pizzicasser le mani al duca di Savoia in queste congiunture per intraprendere <qualcosa> contro quella Repubblica. Mi disse che l'animo giovanile del duca fa gran violenza nello stare a segno, ma che è troppo chiaro il disinganno d'ogni speranza di vantaggio ch'ei potesse considerare nel far per suo conto passar i monti alle truppe del re, ed annidarsele un'altra volta nelle viscere de' suoi stati. Gli domandai che figura faccia al presente il marchese di Pianezza; mi rispose: «Di certosino che vive al secolo, avendo lasciato il collare della Nunziata, tutti i titoli e tutte le cariche con gli emolumenti di esse, vivendo in povere celle vestito miseramente e non venendo se non chiamato ai consigli». Lo pregai a dirmi il suo parere sopra il vero motivo di questa resoluzione del marchese. «Vedete», rispose «non è tanta devozione che escluda la politica affatto, né tanta politica che escluda affatto la devozione. La corte di Turino è stata sempre divisa in due partiti: quello del marchese suddetto e quello del marchese Villa, il quale per via di qualche creatura intrinseca fece apprendere al duca, che il ministerio così assoluto di Pianezza incominciava a far ombra al suo credito e a snervare la sua autorità, attribuendosi a lui tutto ciò che di buono e di plausibile usciva da quel consiglio. Su questo il duca cominciò a vedere men volentieri il marchese, e fu questa la prima volta che egli, accorgendosi che la sua ruota cominciava a girare, pensò alla ritirata coll'asserto voto di religione, dal quale avendolo il papa, fatto dispensare, moderò la severità della sua prima resoluzione col suddetto temperamento. E fu allora che implicitamente ottenne per condizione del suo ritorno il perdono del marchese di Fleury. Il marchese scelse questo tempo per la sua onorevole ritirata come il più proprio, secondo che <per> l'assenza del suo competitore si conosceva più necessario, onde per conseguenza appariva più libera la sua elezione. Di Roma travagliarono a moderarla, perché perduto lui era perduto l'unico braccio che avevano a quella corte». Del resto, mi assicurò monsignore che per la corte di Turino egli sia un ministro di troppo garbo, e che il giorno avanti Teglier gli aveva detto che alla morte del re Luigi furono in pensiero di richiamarlo per governatore del vivente re. Egli è soldato d'esperienza e di coraggio, egli è ministro, egli è teologo, egli è filosofo, egli è matematico, egli è leggista, egli è tutto, ed ha così in contanti tutto il suo sapere che ne adorna tutti i suoi discorsi, ai quali non va mai se non preparato, o siano materie di stato in consiglio o co' ministri de' principi, o siano ragionamenti familiari in visite d'amici o di forestieri. Tutte queste cose mi disse monsignore, forse con sì poc'ordine e con sì poco buon modo come le scrivo io a V.S., essendo il carattere del suo discorso basso, disordinato e senza scelta di nobiltà di parole.

 

 

30 aprile.

 

Stamani è stato da me il fratello di m.r d'Erbelot, il quale bisogna confessare che gli sia fratello minore in ogni cosa. Non per questo merita disistima, essendo un giovane di buona presenza e di maniere cortesi, che costituisce il suo maggior divertimento nella conversazione de' galantuomini e de' letterati. Fui con esso seco alla visita d'un gentiluomo ugonotto amico mio, dove, essendo sopraggiunta altra gente, si frondò forte sulla resoluzione della pace, dichiarandola effetto di un furor panico ed ultimo sterminio della nobiltà esausta nel preparamento degli equipaggi.

Di son andato a visitar madama di Villesavin. Questa è una donna di 60 e più anni, parente stretta di m.r d'Erbelot, che nei tempi del cardinale di Richelieu ha fatto grandissima figura alla corte per l'alianze fatte co' matrimoni di tre sue figliuole, ed in specie per quello con m.r di Chavigny, ancor che gli altri due col marescial di Clerembault e col figliuolo del conte di Brienne non lasciassero di tirarle della considerazione e degli avvantaggi. Ell'è della casa di m.r de la Vrillère, che è Blondeau: è donna alla quale né gli anni né il gesuitismo le hanno punto ammortito lo spirito né la gentilezza; si diletta di nuove, e in casa sua una volta la settimana si ragunano molti virtuosi e persone di garbo a discorrere. Ell'ha in casa una camera ch'io non veddi, tutta, piena dei ritratti delle dame più belle del suo tempo, i quali non le costaron nulla chiedendogli ella a tutte, e tutte facendo finezza e gloria dell'appagamela. La sua camera è assai galante per la quantità dei quadri e quadretti ond'è la moda d'adornare i gabinetti in Francia, usando d'attaccar confusamente su parati ritratti e specchietti, orioli, reliquari, e quante bazzecole son capaci di star per aria attaccate. Ma di questi, per darne un più minuto ragguaglio, aspetto di aver veduto qualche casa di singolare. Da questa dama, con tutta la sua garbatezza, v'andrò pochissimo, essendomi stato detto che chiede a tutti e che ogni cosa le attaglia.

Dopo desinare sono stato dall'abate Charles. Questo è un uomo che averà 60 anni in circa, grosso e mal fatto di vita, e altrettanto brutto di viso quanto amorevole, cordiale, onorato e sincero. In altri tempi è stato uomo d'affari ed ha servito il cardinale Mazzarrino e il cardinale Antonio nell'amministrazione delle loro entrate ecclesiastiche, dopo il qual impiego è restato così povero come prima, benché non sia bisognoso, tanto è stata grande la nettezza della sua mano. In oggi vive a se stesso ed alla sola conversazione degli amici suoi, verso i quali ha una costanza e una tenerezza senza pari. Sta quasi sempre in casa e sempre ha compagnia di galantuomini, dove si discorre di nuove e di scienze. Il suo maggior diletto è nell'ottica, ma non ha cose di maraviglia: e che sia il vero, mi fece vedere l'introduzione delle specie per un foro della finestra e la lanterna di quel danese, con questa sola novità, che in cambio della lucerna si serve del lume del sole con ugual felicità. Mi fece vedere un occhiale del Campani che è del cardinale Antonio, d'un braccio e mezzo incirca, che supera di lunga mano a proporzione della sua lunghezza quanti se ne son fatti qui e ne sono venuti d'Inghilterra. Il mio camerata ed io non lo giudicammo de' migliori del Campani, ma sapendo che egli l'ha dato per squisito, bisogna confessare che l'aria d'Italia sia più pura e sia più favorevole all'osservazioni. Ci mostrò qualche bagattella di cose naturali che non val la pena di raccontarla, e finalmente una lucerna collo specchio parabolico, che tenendola dietro le spalle riverbera in gran lontananza il lume chiarissimo e sempre uniforme, onde per la comodità del leggere tutti questi letterati se ne sono provvisti, e i curatori della compagnia orientale ne hanno mandate quattro all'Indie, e l'ottonaio è arricchito. Tra diversi ritratti ch'egli ha in camera d'amici suoi v'è quello del conte di Guiche, il quale non potevo indurmi a credere che fosse d'esso tanto mi parve inferiore al concetto che la fama pubblica e le sue fortune m'avevano insinuato delle sue bellezze. La prima cosa: io lo credevo biondo ed egli è nero; credevo una mina gioviale e la trovo egualmente odiosa e funesta. Il colorito però delle carni è bello e gentile, gli occhi son la più bella, e la bocca la più brutta cosa che gli abbia, particolarmente il labbro di sotto, che sale tant'alto che vi riman dentro come incassato quello di sopra, di sottigliezza molto sproporzionata alla grossezza di quel di sotto.

Son poi stato alla commedia italiana, dove que' nostri sciaurati si son fatti con poco grandissim'onore, avendo regalato di confetture d'arance di Portogallo e di limonata tutte le dame del teatro. Hanno dunque, a proposito della commedia, introdotto sulla scena Arlechino giocolator di mano, il quale ha fatto comparire giocando su una tavola, prima, diverse scatole di confetture adornate galantemente di nastri, le quali, regalate a Isabella ed a Pularia, sono state da queste presentate ai primi palchetti di qua e di dal teatro, i quali provvedutisene discretamente l'hanno fatte girare per tutti gli altri. Il simile hanno fatto d'alcuni panieri tutti ricoperti di fiori e pieni d'arance di Portogallo, mentre le caraffine di limonata, che fingevano d'empierle a una fontana fatta scappar dal giocolator in mezzo alla tavola, eran portate attorno per gli stanzini da persone benissimo all'ordine. Nel primo, più vicino al palco, v'erano il marescial di Gramont, che tra la simiglianza del viso e un occhiale che s'applicava a ogni tanto a un occhio rende grand'aria al cavalier Marsili, Louvigny suo figliuolo, ancor più brutto del fratello, e il principe di Condé, le di cui grandissime risa sono state il mio maggior divertimento per tutta la commedia. Ho trovato Pularia bruttissima, e Cinzio, che s'era messo sull'aria di virtuoso onorato, ritornato al vomito; Cola comincia ad aver grandissimo applauso, e non dubito che svaporato che sarà un poco il fervido amor del teatro verso Scaramuccia, non sia per uguagliarlo nella stima.

Nell'uscire incontrai m.r Auzout, celebratissimo astronomo, che non saprei a chi meglio rassomigliarmelo, e per i lineamenti del viso e per la taglia, che ad Andrea Brini raffazzonato. Lo trovai cortesissimo e disinvolto, e, messolo in carrozza, mi fece condurre a casa m.r Justel, uomo di varia letteratura e amorevolissimo verso i forestieri. In casa sua si tien conversazione il martedì, che sarebbe oggi, se non fosse che gli ha da condurre quest'inviato d'Inghilterra, che ha portato le ratificazioni del trattato, a veder la libreria del re. Credo che ancora io sarò della partita: se sarà vero, doman da sera lo scriverò.

 

 

1 maggio.

 

Stamane sono stato alla messa a Nostre Dame, chiesa grande, ma per metropolitana d'un Parigi non si può dir grandissima. Di lunghezza l'ho per minore di Santa Maria del Fiore, ma non di larghezza, anzi l'ho per più larga, perché sebbene la nave di mezzo è più stretta, a metter insieme le prime due laterali e le seconde dove son le cappelle, credo indubitatamente che occupino spazio maggiore del nostro duomo. L'architettura è gotica, ma tutta la fabbrica è di pietra di taglio. Davanti al primo pilastro della nave di mezzo, all'entrare a man dritta v'è com'una montagna irrigata da un fiume, éntrovi un San Cristoforo di statura gigantesca, il tutto di pietra, ma d'una scultura che par dello stesso maestro che fece in Firenze il famoso San Paolino fuor della chiesa de' Carmelitani Scalzi.

Dopo desinare sono stato alla conversazione di m.r Justel, essendosi trasferito a domattina l'andare alla libreria: v'erano sei o sette persone, tra le quali un certo m.r Vaumal, grande amico e corrispondente di m.r Erbelot. Quando parlerò di questa assemblea, alla quale ho dato ordine al mio fratello d'introdurmi, lo farò in termini molto diversi da quelli onde son per scriverne a V.S. Io non so ancora come siano l'altre: so ben che questa è un crocchio effettivo sull'andar di quello del Rontino libraio, o di quello de' Capi nello speziale di piazza Madonna. I discorsi sono stati di nuove, ma discorsi sull'aria de' nostri pancaccini di Firenze; gran conti si son fatti sull'aver di questo e di quello: ed ho fatto una riflessione, che molti che non avevano aperta mai bocca, quando s'è messo in campo il discorso delle buone tavole di Parigi, hanno subito messo il becco in molle, tanto può nel genio della nazione la leccornia del mangiare e il far buona cena. Ho anche osservato un carattere particolare franzese nella persona del suddetto m.r Vaumal, il quale, avendo ragguagliato l'assemblea della liberazione d'un certo franzese sonator di liuto, per quindici settimane al Sant'uffizio di Roma inquisito fra l'altre cose di sodomia, ha preso a ristabilire la sua riputazione in questo genere con un zelo veramente da amico; ed essendogli riuscito molto bene, ha cominciato subito a dire che veramente per il passato aveva aùto qualch'inclinazione a' giovani, che in materia di religione ne ha poca o nulla, che è grand'ingannatore al gioco, e che, dove potesse, ci farebbe star chi che sia. Così per sottrarlo dal nome di sodomita discreto l'ha fatto passare, senz'avvedersene, per truffatore e per ateista.

Ha detto il medesimo m.r Vaumal -- che mi dicono essere l'uomo meglio informato di Parigi per quel che risguarda certe minute notizie -- che la tavola del re importa dodicimila franchi il mese, e quarantamila franchi l'anno il vestire, compreso abiti, biancheria di dosso, punti di Venezia e di Francia, scarpe, guanti, cappelli, guarniture e pennacchi; questo sì, che dicono m.r de Vitry essercisi rovinato, quantunque le spoglie vecchie sieno date a lui. Che la tavola di mademoisella de Montpensier è molto più abbondante di quella del re, ma meno delicata, e costale sopra 100.000 mila franchi l'anno. Che per le frutte della regina sono assegnate sei marche per piatto, che vengono a essere da <...> de' nostri soldi, e s'intende piatti grandi e accatastati: che perciò le peggiori frutte che vengono a Parigi vanno in tavola sua, siccome i più magri capponi vanno in quella del re, la di cui squisitezza consiste nelle lische e nei pasticci e nella pottaggeria.

Venne poi m.r Boulliauld, che è un vecchietto tutto pepe, veste di lungo ed ha buoni benefizi: rende un po' d'aria al Magiotti, ma è vispo che non gli fiderei una fante se fosse niente bella. Parla un po' italiano, avendo altre volte girato tutta l'Italia da Roma in fuori, dove non s'arrisicò a andare per l'opinione del moto della terra promossa nella sua Astronomia filolaica. È insomma un vecchietto tutto garbato e gran novellista.

Al corso della regina veddi il duca di Créqui ed imparai il suo nome di corte, che è D. C. B. Mi fu insegnata ancora madama di Nemours, non la madre della regina di Portogallo e della duchessa di Savoia, ma la cognata sorella (non mi ricordo <di> chi fu moglie) dell'arcivescovo di Reims, fratello minore del padre della suddetta principessa. Ha un poco d'aria della moglie del conte Ferdinando Bardi, e mi dicono che sia una donna che non ha tutti i suoi mesi. È insopportabile con le serve e co' servitori, gridando per ogni cosa e maltrattando tutti. Con la principessa di Carignano ha aùto che dire assai per lo scompartimento del palazzo che abitano a mezzo: ora però stanno d'accordo. Mi fu poi mostrato un certo m.r d'Aullei. La sera fui dal cardinale di Retz a una brevissima visita e tutta di complimento.

 

 

3 maggio.

 

Stamani sono stato alle Tuillerie insieme con m.r d'Erbelot, m.r Auzout, m.r Justel e l'inviato d'Inghilterra per la ratificazione del trattato, di cui non saprei dare altra informazione a V.S. se non ch'egli non ha detto mai nulla se non in cucina, asseverando che quella del collegio d'Oxford è molto più grande e più bella di questa. Per la strada mi ha detto m.r Auzout che il re ha mandato sulla flotta due orioli col pendolo fatti per la longitudine, i quali per sottrarre dal ricevere l'impressioni del comun movimento della nave, sono appesi ad una forte snodatura di metallo, nel muover la quale s'estingue una gran parte dell'impeto; e son collocati in una pesante custodia di ferro, se non mi sbaglio, per farli ancora più retinenti al moto. Ancora non se ne sa la riuscita. Mi ha detto inoltre che un oriolaio, dal quale mi condusse, ha fatto un oriolo col pendolo che si muove per la circonferenza d'un ovato. L'invenzione è dell'Huygens, o almeno egli la pretende; e tra gli altri avvantaggi, che son molti, uno è che in tal forma si correggono meglio le insensibili irregolarità degli archi verticali descritti dal pendolo ordinario; che, carico, l'oriolo concepisce il moto da sé, e che trasportandolo da un luogo a un altro non occorre fermarlo, seguitando tuttavia a muoversi senza alterarsi.

La nuova fabbrica delle Tuillerie, come V.S. sa, è un casino fatto in vicinanza del Louvre per ritiro del re e per comodo del giardino; fu poi unita, con una lunga galleria che vien lungo il fiume, al suddetto palazzo. Questo medesimo casino, benché abbia un lunghissimo tratto di facciata, non conseguisce nulladimeno la maestà dell'edifizio, non solo perché egli è basso a proporzione della sua grandezza, ma perché paiono diverse case unite insieme, non essendo tutta l'istessa facciata e non corrispondendo i cornicioni dell'una e quei dell'altra. Il ricetto, a considerarlo per l'ingresso principale d'un palazzo regio, non è che angusto; lo rende però vaghissimo la prospettiva del giardino. Le scale non son né comodenobili, benché fatte con grande spesa per la ricchezza de' balaustri, e che non è nemmeno tanto considerabile in riguardo della facilità di lavorar la pietra, che è assai tenera. La sala è quadra e grande ma non grandissima. La volta riusciva tropp'alta, onde al presente la sbassano. Le camere e tutte l'altre parti del palazzo son ragionevoli ma non abbondanti. Presentemente il re le fa tutte ornar d'oro e di pitture, e secondo che non son finite si veggono tutte piene di palchi. Recentemente finisce l'appartamento del re in una buona galleria, in testa della quale, e a un altro piano, v'è un vasto stanzone riquadrato che fa canto e si congiugne con la gran galleria d'Arrigo quarto, fatta per unire il Louvre alle Tuillerie. In questo stanzone adunque darà il re audienza agli ambasciatori finita che sarà la fabbrica, e per arrivarvi passeranno per la sala delle guardie del Louvre, per l'anticamera e la camera del re e una galleria: di quivi in un'altra, dalla quale volteranno a man dritta <e> passeranno in quella d'Arrigo lunga 1.000 passi, di cui per coprir in tali occasioni tutto il pavimento si fabbrica adesso, in cinque pezzi di dugento e più passi l'uno, un gran tappeto alla foggia di Persia, alla Savonerie.

Per tornare adesso alla nuova fabbrica del Louvre, consiste tutta in aver raddoppiato l'appartamento.

 

 

5 maggio.

 

Quand'io comincio la confessione dal dopo desinare, supplico V.S. umilmente a non credere che ciò sia per tacerle i peccati della mattina, perché già le ho detto che glieli dirò tutti purché gli giudichi capaci di divertirla. Creda piuttosto, e non s'ingannerà, che quel tal giorno mi sia riuscito di perderlo inutilmente, giusto com'è seguito stamani, che andato per vedere uno studio di medaglie moderne mi sono trattenuto in casa un amico fino a mezzogiorno.

Oggi sono stato all'Accademia de' pittori, che si raguna il sabato dopo desinare in una casa vicino al Palais Royal, ed ha quivi tre stanze: una per il modello, dove vanno i giovani a disegnare, una per il consiglio e un'altra per le pubbliche adunanze. Questa è piuttosto una sala che una gran camera, di cui nella facciata dirimpetto alla porta v'è un grandissimo quadro col ritratto del re assiso nel soglio e vestito degli abiti reali, a' piedi del quale, per dinotare la protezione dell'Accademia che si chiama «della pittura e della scoltura», v'è una massa di busti di gesso, di carte di disegni, di piante e di strumenti di architetto. La pittura è di m.r Le Brun, pittore trattenuto da S.M. con una provvisione di 10.000 scudi l'anno: questo solo doverebbe bastare ad accreditarlo senza saper più oltre, ma v'è di vantaggio ch'egli ha le stanze aux Gobelins, che è il luogo dove travagliano tutti i mestieri delle manifatture, alle quali (parlo di quelle che hanno alcuna correlazione col suo mestiere) soprintende a tutte: disegni di studioli e d'oriuoli, cartoni d'arazzi, modelli di vasi, di torcieri, di filigrane, grottesche, arabeschi, pitture per adornamento delle case del re, scene, macchine e ogn'altro adornamento del teatro, e tutto è regolato dalla pretesa squisitezza del suo buon gusto e dall'istruzione del suo disegno. Mi dicono ch'egli non abbia gran cosa più di 30 anni, che abbia studiato un poco a Roma, e che senza un simil trasporto del genio del re e della sua stima vi sarebbe in Parigi taluno che non gli riuscirebbe inferiore. Quanto al quadro che n'ho veduto oggi, ardisco dire liberamente ch'ei non intende punto la prospettiva, tanto sono apparenti gli errori che in quest'arte ha fatto nella veduta del soglio dove siede il re, e in molte parti d'una nobile e ricca architettura sotto la quale è collocato. Ciò lo dico tanto più risolutamente quanto che, avendo io comunicato a qualcuno il mio sentimento, mi ha detto che questo della prospettiva è il suo maggior debole. Quanto alla pittura, considerando la figura del re ritratto, non ne posso dir nulla non avendo ancor veduto l'originale; ma pigliandolo per una testa non ci trovo quello che in termine di pittori si dice «impastato», che è quel rilievo, quell'unione ed accordatura di colori onde un viso par carne ed esce fuori della tela. Questo rimane piatto e appiastrato, quantunque io non arrivi a riconoscere errori nel disegno. Conosco bene che il dar giudizio d'un pittore da una sola testa è cosa redicolosa, ma io mi difenderò con dire che non pretendo dar giudizio del maestro ma solo di questa opera che n'ho veduto. Di qua e di dal ritratto del re sono in due quadri distinti quelli del cancelliere e di m.r Colbert, ascritto ultimamente tra gli accademici. Il resto della sala è pieno di quadri, che sono la maggior parte copie d'opere insigni di pittori eccellenti, e dalla parte opposta al quadro grande di m.r Le Brun v'è sur un gran piedistallo l'Ercole di Farnese, formato sull'originale.

Ora, in testa alla sala, che viene a esser sotto il ritratto del re, v'era sul cavalletto la lapidazione di Santo Stefano del Caracci, di cui un pittore che n'aveva aùto l'assunto ha fatto considerare tutte le perfezioni, tutte le finezze dell'arte e tutti gli avvedimenti che verisimilmente ebbe il maestro nel condur quella opera a tanta maraviglia. Questo discorso, che era in carta disteso e letto dall'autore, è durato in circa a tre quarti d'ora, fermandosi ad ogni tanto nella lettura per dar campo a tutti i pittori, che riempievano la prima e la seconda fila dell'auditorio, di dir anche essi il lor parere, talora contrario e talora favorevole alle cose dette e osservate da chi leggeva; e questo è l'esercizio ordinario del sabato, mutandosi ogni settimana il quadro e dandosi or all'uno or all'altro l'incumbenza di discorrere. Io proccurerò d'aver copia d'una di queste lezioni acciocché V.S. vegga appresso a poco e riconosca la maniera di fare.

Quivi ho trovato m.r Soual, il quale m'ha condotto a veder i quadri del re. Per ora dirò a V.S. che stanno tutti in un casino dietro alla nuova fabbrica del Louvre ripartiti in tre piccole stanze, di dove m'immagino che debbano esser trasportati in luogo più proprio e quivi collocati con miglior ordine. Non mi diffonderò già a dar relazione di essi: prima, perché l'ora essendo assai tarda e il numero molto grande, non ho dato loro se non una vista superficiale, che piuttosto ha servito a confondermi la mente che ad appagarmi la curiosità; l'altra, perché ho già messo in sicuro d'aver l'inventario di tutti, co' giudizi di m.r Le Brun, di quali sieno, di ciascun maestro, i pezzi più raguardevoli. Un altro inventario averò ancora di tutte le antichità, di tutte le stanze d'arazzi e di tutte le gioie, sì che spero per questo conto di poter servir V.S. con relazioni molto distinte e accertate. Dei quadri dirò solo che la maggior parte (che stanno nella camera di mezzo) son disposti in un armadio, che è come un libro, essendo composto di sette, e sette che son quattordici sportelli di legno, che arrivano da alto a basso della camera, l'uno dietro all'altro, e s'aprono a due a due come una porta, e questi sono pieni di quadri sopra tutt'a due le facce. Nella terza camera, che è molto ricca d'arabeschi e fregi luminati d'oro, vi sono i pezzi più rari d'Andrea del Sarto e di Raffaello, e questi sono in adornamenti assai ricchi, serrati da sportelli per di dentro soppannati di velluto verde, e di fuori arabescati con oro. In questa medesima stanza è un altro grandissimo ritratto del re a cavallo fatto dal Brun, ancor egli della maniera del primo: fu fatto in occasione della presa di Dunkerke, che si vede in lontananza con l'entrata del re e delle sue truppe; dico la seconda presa, o per meglio dire la compra: onde, per esprimere la forza dell'oro aggiunta a quella dell'armi, davanti al cavallo del re v'è per aria una fiamma volante che versa sopra la piazza gran copia di danaro e di gioie da una cornucopia.

Son poi stato a vedere il cortile del Louvre, con quel pezzo che ora gli aggiungono per riquadrarlo, con disegno affatto diverso da quel del Bernino. Di questo non dico nulla, perché il primo disegno so che V.S. l'ha veduto dal Bernino stesso e di questo nuovo le manderò presto una pianta in istampa. Dirò solo in passando, che una fabbrica così vasta bisogna che per forza abbia in sé qualche cosa di grande: ma questa grandezza risulterà sempre dal tutto e non mai da alcuna nobile proporzione delle parti, le quali considerate in loro stesse hanno tutte il gretto e il meschino, essendo certo che le nuove logge che chiudono il cortile, ridotte in più angusto giro, non sarebbero punto improprie alla casa d'un privato cavaliere.

 

 

6 maggio.

 

 

Subito dopo desinare sono stato a Luxembourg dalla parte di Mademoisella, la quale era ancora a tavola e godeva d'un assai buon concerto di violoni. Entrata in camera m'ha fatto chiamare e introdottomi fin nell'ultimo gabinetto, dov'erano molte dame e in specie la contessa di Bellois, divenuta straordinariamente vecchia e brutta. Dopo i primi discorsi del tempo della mia partenza di Firenze e del mio viaggio, m'ha domandato se avevo avviso del ritorno di V.S. Le ho risposto di no, ma ch'ella era aspettata a Firenze intorno alla metà di questo mese. «Ben poteva», ha replicato ella, «il signore, poiché era arrivato sulle porte di Parigi, venirci a vedere». «Bisogna vedere», ho soggiunto, «se nell'indulto concedutogli da madama per far questo viaggio, v'era la facultà di prorogar tanto il suo ritorno». «Oh, oui! prometto», m'ha replicato, «che per venire in Francia mia sorella non se ne sarebbe adirata». «Orsù», le ho risposto io, «giacché V.S. promette per madama, prometterebb'ella per tutte le dame della corte che non avessero subito cominciato a dire: -- Quelle fierté de monsieur que de pouvoir vivre si longtemps loin de sa femme! -- ?». «No no», ha soggiunto, «voi me la volete far passare una finezza con mia sorella, e non è vero: finezza sarebbe stata se egli se ne fusse tornato addirittura a Firenze; ma in ogni modo, da che è partito di Brusselles, ha fatto un così gran giro che poteva bene prolungarlo col venire a Parigi, o commutarlo lasciando quello e facendo questo. Ma sapete quel ch'io disegno di fare? Ora che è fatta la pace, si discorre d'un viaggio del re e della regina con tutta la corte in Provenza per andar a vedere il taglio che si fa per l'unione de' due mari. Io dunque di me n'andrò a Firenze a far una visita alla mia sorella; ma, sapete, voglio andar per mare con una galera. In quanto ci si va?». Le ho detto che col vento favorevole, credo da Marsiglia o da Tolone, si venga assai comodamente in tre giorni; al che ha replicato la contessa di Bellois che quando venne la signora principessa, se non fosse convenuto, non so per qual cagione, aspettare e perder una dirittura di vento, facevano conto che ci si sarebbe stati in ventiquattro ore. Il che sentito da Mademoisella, l'ha tutta rincuorata e ha detto che sarebbe venuta sicuro.

Queste sono state le particolarità di tutto il discorso. Di sono andato da madama d'Angoulesme, che m'ha ricevuto alla grata in abito nero vedovile rigorosissimo. La sua abitazione, dico quella che si vede, è affatto da religiosa, consistendo in un piccolo camerino, ch'è il parlatorio, dove stanno le sue figlie di camera e d'onore, e in un'altra stanzetta dov'ella viene alla grata. È divenuta molto grassa e nella bellezza ha dato un gran tuffo; l'altre sue belle parti son le medesime.

 

 

7 <maggio.>

 

Stamani sono stato con m.r d'Erbelot a vedere il gabinetto e la libreria del re. L'un'e l'altro stanno per modo di provvisione in una casetta di S.M. vicino a m.r Colbert, nella quale m.r Carcavì bibliotecario ha la sua abitazione. Il gabinetto consiste in una piccola camera bislunga, dove sono l'infrascritte cose: dieci studioli di medaglie, tutti dell'istessa grandezza e fattura, cioè di tarsia di due colori fatta a rabeschi, alti incirca a due terzi, e lunghi un braccio o poco più. I medaglioni di bronzo, senza i crotoniati che saran da cinquanta, sono duecentosessanta, tutti rarissimi; il numero delle medaglie mezzane e piccole, dico sempre di quelle di bronzo, ancora non lo so; so bene che le medaglie d'oro sono sopra mille, e che quelle d'argento, benché molte e rare, son nondimeno finora le meno assortite. Quelle d'oro compongono una serie che senza dubbio, mi dice lo Spanheim, è la più intera e la più stimabile che sia in Europa; quella di bronzo ancora è rarissima e non ha paura se non forse di quella della regina di Svezia; quelle d'argento, come ho detto, non possono entrare in questa riga. Asserisce bene il suddetto m.r Spanheim che alla morte dell'abate Séguin, se il re, come farà senza dubbio, incorporerà il di lui studio al suo, lo renderà il più perfetto, il più ricco e il più numeroso e il più raro che sia, avendo l'abate di tutto e tutto rarissimo. In materia delle medaglie è egli che ne ha la principal direzione, essendo Carcavì semplice custode, e ora ultimamente ha portato di Roma cose molto singolari, essendo in sustanza l'uomo più intelligente e più accreditato in questa professione. Gli ultimi due studioli son di medaglie moderne d'oro e d'argento, delle quali, immaginandomi che si possa averne qualche particolar curiosità, m'ingegnerò averne l'inventario distinto. Di queste ve n'è poi una grandissima quantità in un armadio, che aspettano gli studioli che si stanno attualmente lavorando.

La miglior raccolta delle medaglie ò stata fatta dal duca di Orléans, come ancora dei cammei e dell'intagli, de' quali ne ho vedute 22 custodie, simili a quelle dove si tengon le gioie, cioè dentro di velluto e fuora <di> cuoio dorato, tutte dell'istessa grandezza, che giudico minore d'un palmo quadro. Me ne sono state aperte solamente quattro, e in tutte v'è un cammeo grande legato in oro nel mezzo, ornato all'intorno d'altri o cammei o intagli minori, tutti legati o in anelli o in cerchietti d'oro, o liscio o smaltato, e il numero per ciascuna custodia è maggiore o minore secondo la loro grandezza. Il simile mi hanno detto essere in tutte l'altre, e se a me non hanno fatto veder l'inferiori (che non lo credo, tanto più che Carcavì è stato a Firenze dove ha veduto tutto), mi par di poter dir sicuramente che in questa materia non solamente ci passino, ma non ci arrivino ancora, poiché, supposto che le custodie siano tutte piene, avrebbono da 22 pezzi rari, de' quali non so se alcuno sia superiore a quei di Firenze, lasciando sempre a parte il Niccolò grande, confessato anche da Carcavì per una maraviglia. So che il re ha un'agata di straordinaria grandezza, ma questa credo assolutamente che si mostri nel tesoro della Santa Cappella; almeno nel gabinetto non l'ho veduta.

C'è poi il sepolcro di Childerico. Di questo V.S. ne averà udito parlare, e forse averà veduto un libretto stampato in Fiandra, se non erro, intitolato Childerici Anastasii, dove si pieno ragguaglio di questo ritrovamento. La sustanza si è che nel 740 (se non erro) fu trovato a Tournay in un sepolcro tutto quello che qui si vede, manifestato per spoglie di Childerico da un grosso anello d'oro in cui d'intorno a un ritratto intagliatovi si legge Childerici Regis. V'è dunque una testa di bue circondata d'una quantità di pecchie d'oro, secondo che si dicon nascere dalla testa d'un vitello, che forse dov'essere l'impresa di quel principe; due anelli, de' quali uno è il suddetto, e un altro un semplice cerchio d'oro; una quantità di medaglie d'oro, o per dir meglio, di monete improntate dell'effigie di diversi principi vissuti in vicinanza del tempo di Childerico: e queste, imperocché tutto è disposto sul fondo d'una cassetta soppannata di velluto nero per poterle fermare, son incastrate in cerchietti d'avorio e attaccate ordinatamente intorno alle pecchie; tre o quattro pezzi di piastra d'oro sottilissima, che apparisce essere stata adornamento della sua veste militare. Di sopra in un'altra cassetta v'è il ferro dell'accetta, tutto roso dalla ruggine, la spada o, per dir meglio, l'impugnatura e le guardie d'oro e gli adornamenti del fodero anch'essi d'oro, poiché tanto questo, che è di velluto nero, quanto la lama è rifatta di nuovo, essendo affatto distrutti e mangiati dal tempo quei che v'erano. V'è poi un'altra scatoletta con un sol dente del re e diversi pezzetti d'oro, ne' quali, per esser rosumi d'altri adornamenti, non si può discernere alcuna figura. Il tutto sta in una custodia fatta a foggia d'urna e retta sur un galante piedistallo coperto, com'essa custodia, ancora di vernice all'indiana, fatta però in Parigi con assai felice imitazione. Dicono che questa antichità, ritrovata in Fiandra al tempo dell'arciduca Leopoldo, alla sua morte passasse nelle mani dell'imperatore; da queste in quelle dell'elettor di Magonza, e da quelle dell'elettore in quelle del re. Tutto può essere: assicuro ben V.S. che l'istesse cose vedd'io co' miei occhi otto o nove mesi sono a Vienna nel gabinetto dell'arciduca; quando l'ho detto a Carcavì egli s'è stretto nelle spalle e non ha saputo che dire. Ho poi veduto le nicchie, ancor esse in un grande studiolo simile a quelli delle medaglie, rammassate ancor esse dal duca d'Orléans, ma per numero non arrivano a un gran pezzo quelle del granduca, né per rarità hanno che fare eziandio con le raccolte di molti particolari che V.S. ha vedute in Amsterdam, dove ci sono de' pezzi nuovi e singolari che tra quelle di S.A. non sono, secondo che da lungo tempo in qua non è mai stato rifornito.

Tre cose veramente dopo le medaglie fanno riconoscere questo gabinetto per quello d'un gran re. Quattrocento e più libri di grandezza smisurata, contenenti la raccolta, si può dire, di quante stampe d'uomini insigni o per disegno o per arte d'intaglio son uscite al mondo, da che l'arte dell'intagliare ebbe il suo cominciamento. La raccolta ne fu fatta da un particolare, chiamato m.r <...>, anni sono: i libri son tutti compagni nella legatura, che è molto ricca, e il prezzo, che l'ha pagate il re, sono state 250.000 lire; intorno a due mila pezzi di libri manoscritti, tutti superbamente adornati di miniature antiche lumeggiate d'oro, ma gran parte usciti di Firenze e venuti con la regina madre. Tra i più riguardevoli v'è una cronaca dei re di Francia, cominciata nei tempi di Francesco primo, dove davanti alla vita di ciascun re v'è il suo ritratto miniato, ma di fattura maravigliosa, non tanto per la squisita diligenza onde son fatti i volti, quanto per la mirabil finezza ed amore onde son condotti gli abiti e gli ornamenti militari, e il buonissimo gusto col quale son disegnate le cartelle e i finimenti che richiudono i suddetti ritratti; e finalmente la vivezza de' colori e la lucentezza dell'oro e dell'argento sono inarrivabili. Stimabilissime son le carte geografiche d'un Tolomeo, anch'esse tutte miniate e lumeggiate d'oro; raro per la curiosità e per l'erudizione è un manoscritto antichissimo d'un famoso torneo, di cui vanno attorno per le librerie più illustri d'Europa moltissime copie, tutte cavate da questo originale. Quivi si vede la disposizione del campo, del teatro, l'abbigliamento de' cavalli, l'armi de' cavalieri, le comparse, il modo del combattere, insomma tutto quello che può istruire per l'intelligenza di questo celebre costume della più bassa antichità: il tutto (benché di cattivo disegno) espresso distintissimamente con diverse carte miniate e spiegato con sufficienti dichiarazioni.

Il terzo pezzo è un corpo d'istoria naturale in 22 volumi in foglio messi insieme dal duca d'Orléans, e ora fatti proseguire dal re nella parte che rimane per mano dell'istesso pittore chiamato m.r Robert, che da trent'anni in qua non <ha> fatto mai altro. Questi contengono fogli di carta bianca tramezzati con gran pezzi di cartepecore, tutti tagliati sur una misura, ma lasciati quivi sciolti e senz'attaccare. In essi vi sono miniati uccelli, piante, fiori ed erbe nostrali e straniere co' nomi latini e franzesi scritti in oro, il tutto finito con una maravigliosa imitazione. Non per questo gli giudico superiori a quelli che ha il granduca5, fatti (se non piglio equivoco) dal Ligozzi: anzi, che in quelli v'è più del pittoresco e la maniera è più franca. Un altro grandissimo libro v'è in cartapecora, con una infinità di pesci miniati e lumeggiati così discretamente d'oro e d'argento, che il naturale credo che vi perderebbe. Questo fu donato dagli Stati Generali al cardinale Mazzarrino, ed ora il re l'ha comprato o, per dir meglio, preso dalla sua libreria, lasciata per uso ed utilità pubblica al nuovo collegio (non ancora finito di fabbricare) delle Quattro Nazioni. A questo proposito dirò a V.S. come S.M. ha sfiorato la suddetta libreria di tutti i manoscritti, tra' quali una Bibbia sammaritana stimata unica o almeno rarissima, e di tutti i libri più rari, rendendo per essi tutti i libri doppi della sua libreria; i quali perché non son giusta ricompensa, anderà sodisfacendo di man in mano con tutti i corpi raddoppiati che si troveranno in essa per l'aggiunta delle librerie che s'anderanno comprando, non potendosi far conto di perfezionare quella del re con compre di pochi pezzi alla volta. Così giudica il re di far servizio a sé e al collegio, al quale mette più conto l'aver libri classici, o sia in iure o in filosofia o in teologia scolastica per uso degli studenti, che codici orientali o cose il di cui pregio consista nella rarità.

Dal gabinetto son passato nella libreria dei libri stampati: consiste questa al presente in sei o sette piccole camere, piene però d'alto a basso, ma con tutto questo per ancora non è punto da re. È ben da re il corpo de' codici orientali comprati dopo la morte di m.r Gaulmin, che aggiunti ai manuscritti venuti di Firenze e ai suddetti della biblioteca Mazzarrina fanno un numero grandissimo. Per l'istoria d'Italia pretendono d'aver il corpo più completo che possa trovarsi, avendo nella compra della libreria di m.r du Fresne aùto la storia particolare, o manoscritta o stampata, d'ogni provincia, d'ogni città principale e infino di moltissime bicocche. In queste stanze vi stanno di continuo quattro giovani a lavorare: uno sul greco, uno sull'ebreo, uno sull'arabico e uno sul turco e 'l persiano, e ciò a fine di fare un indice pienissimo, per poi darlo alle stampe, di tutto quello che si trova tra i codici orientali della libreria; dico di tutto quello, perché oltre ai titoli di ciascun codice e di ciascuna opera compresa o, per dir meglio, legata in esso codice, vi sarà un sommario strettissimo di quello che in ciascuna opera si contiene. Così tutte le ricchezze di questo grandissimo tesoro rimarranno palesi ai letterati d'Europa, e per avventura serviranno a molti d'incentivo per proccurarne delle copie e faticar utilmente sopra molte cose, che essendo ignorate al pubblico resterebbono quivi mai sempre occulte ed infruttuose.

Di questi giovani saprò i nomi e le qualità, e a suo tempo ne ragguaglierò V.S.

Ho veduto ancora un altro principio d'opera vasta: questo si è una catasta spaventevole di moltissimi tomi in gran foglio manoscritti, che sono un'epitome ovvero un estratto di tutti gli archivi pubblici e privati, come di monaci, di frati, di università, di collegi e di colleggiate di tutto il Regno, in quella parte però che tocca, o che indirettamente concerne gli interessi pubblici del Regno, l'istoria e i diritti particolari della corona, del re e della casa reale. Questa incumbenza è stata data a un uomo di quella capacità che V.S. può credere, il di cui nome mi è al presente uscito di mente, ed egli si trova ora vagando d'una in altra provincia e già ha mandato a m.r Colbert tutto quello che ho detto, che sarà da 40 tomi, di già copiati e messi di già interamente al pulito. Nell'ultima stanza della libreria v'è una gran tavola, dove due volte la settimana si ragunano quelli dell'Accademia delle scienze, che corrisponde alla Società Reale d'Inghilterra; ma di questa ancora non ho notizie sufficienti per discorrerne.

Ritorno ora al gabinetto dove mi sono scordato tre cose: la prima è che presentemente s'intagliano tutte le medaglie, tutte le piante, i fiori e gli uccelli miniati, e si è dat'ordine per tirar innanzi una miniatura de' frutti, dei sali delle miniere e altre curiosità naturali, per intagliar tutto e dar fuori un corpo smisurato d'una nuova istoria naturale illustrata di dottissime annotazioni: fanno conto che poss'arrivare a diciotto tomi in foglio. La seconda, che gli scaffali di esso gabinetto son ricchi d'intaglio, tutto messo a oro, e i pendagli, che (secondo l'uso di tutte le librerie di Francia) cadono dal piano del palchetto di sopra a difender dalla polvere le carte dei libri di sotto nel modo accennato nell'accluso schizzo6, son tutti di velluto verde frangiato d'oro. La terza, che v'è attaccato al muro un ovato col ritratto del re, della regina, del Delfino e della regina madre, con ornamento d'un festone di foglie di lauro, non so se di rame o d'argento dorato, intorno al qual festone ricorre un nastro gioiellato di smeraldo e di scaramazzi ed altre pietre colorite, che dopo aver accolto le suddette foglie finisce in un cappio assai ricco, dove il quadro è attaccato. Egli è attaccato per lo lungo, che sarà d'un braccio e un terzo in circa, e due terzi l'altezza; è ben vero che non apparisce a un gran pezzo quel che vale. Mi sovviene la quarta, ed è un libro di cartapecora con sedici imprese del re, fatte per ornamento delle cantonate delle nuove tappezzerie fatte aux Gobelins, che, per aver rapporto ad esse tappezzerie, la metà son cavate dai quattro elementi e l'altra metà dalle quattro stagioni. L'imprese e i motti son generalmente tutti belli, e gli adornamenti degli studi son cavati da cose appartenenti a quel che si rappresenta nell'impresa con bizzarra intrecciatura. Le cartelle della primavera son adornate di fiori, quelle dell'acqua di conchiglie le più bizzarre e di pesci, quelle di fuoco di bombe, di granate e di moschetti. Sotto ciascuna impresa v'è la sua spiegazione in versi. Le miniature son molto vaghe, e il libro tutto assieme è bellissimo.

 

 

<8-14 maggio.>

 

 

Stamani sono stato dal marescial di Gramont, tornato da S. Germano per le nozze di m.r de Louvigny suo figliolo, che ha preso l'erede della casa di Castelnau, con trecentomila franchi adesso e centocinquantamila alla morte della madre. La sterilità di madama di Guiche dopo dieci o undici anni di matrimonio, quantunque poco coltivato, è stato il principal motivo che ha indotto il maresciallo a desiderar questo maritaggio, benché madama la marescialla, per qualche cenno che me n'è stato dato, non so se in riguardo della casa in sé o del soggetto, non ci abbia aùto il pieno delle sue sodisfazioni. Ho trovato il maresciallo che si finiva di vestire ed aveva la stanza piena di gente vestita di panni da galantuomo che gli stava facendo corte.

M'ha introdotto m.r Magalotti, creatura fedelissima di quella casa, dove è arbitro di tutte le differenze che insorgono nel più ristretto parentado, essendo il confidente maggiore de' due figlioli e delle due figliuole, de' due generi e delle due nuore del maresciallo. Il conte di Guiche però è il favorito: è quello al quale sacrificherebbe prima che ad ogn'altro e vita e fortuna. Anzi, che questo si può dire: ch'ei gliel'abbia sacrificate, poiché la costanza nella sua amicizia nelle turbolenze passate non gli ha del certo giovato punto, e forse la professione ch'egli ha fatto così apertamente di suo amico fedele gli ha chiusa la strada a qualche congiuntura favorevole che se gli era presentata per cavar dal re una grazia, che gli sarebbe valuta più che 3.000 franchi, che, sebbene non è molto, non è nemmeno così poco nello stato presente delle cose sue, molto ristrette da grosse partite di debito; le quali tutte va portando innanzi con il solo concetto della sua buona fede, non avendo altro assegnamento per pago de' suoi creditori che il prezzo della sua carica, di cui il debito assorbirebbe subito intorno alla metà. Intanto fa com'ei può aiutandosi con la parsimonia del trattamento, resogli veramente poco necessario dalla riputazione di già acquistata con l'armi e con la condotta d'uomo onorato e fedelissimo a tutti quelli ai quali ha giurato amicizia. È al presente in età di 38 anni, robusto di vita e di complessione, vivacissimo d'aspetto e ottimamente ristabilito dell'ultima sua pericolosa ferita riportata dall'assedio di Lilla.

Ma tornando al maresciallo, io dubito d'aver scritto a V.S. che avendolo visto alla commedia italiana mi parve render qualch'aria al cavalier Marsili di Siena. Or, s'io l'ho detto me ne disdico, non lo rassomigliando in altro che nel guardar con l'occhiale da un occhio solo. Egli è alto di statura, traverso, e si può dir ben fatto di viso; degli anni non so giudicare perché la parruca e la barba castagna mentiscono il vero. Lo riconobbi, subito che lo sentii parlare, <per> quel che lo descrive l'autor dell'«opera imperfetta», dico dell'istoria del Palais Royal, in quel discorso fatto en son ton railleur al conte di Guiche, quando gli portò gli ordini del re per andare in Pollonia. E veramente la sua maniera di barzellettare è graziosissima ed innocente, accompagnata da garbo grande e da disinvoltura, senza pregiudizio del decoro e del sostenimento di gran cavaliere.

Della casa del maresciallo non ho veduto altro che la camera e un gabinetto, dove m'ha condotto a vedere due grandi studioli d'ebano con ornamenti di lapislazzuli e di metallo dorato fattisi venire di Roma ultimamente. Infatti è stravagante il genio franzese: V.S. non potrebbe credere che stima si faccia qui d'ogni sciaurata miniatura da ventagli che venga d'Italia; e perché il di fuora delle cassette de' suddetti stipi è fatto di tali miniature, son considerati come due maraviglie. In questo gabinetto vi son de' quadri, alcuni de' quali si posson dire assai buoni: fra gli altri v'è un San Francesco del Caracci molto bello e un amoretto (non saprei dir di chi) donatogli da don Luis de Haro.

Dopo desinare sono stato a Ivry, villaggio una lega lontano da Parigi, dove sta quasi tutto l'anno m.r Thevenot: egli era già stato a visitarmi, e se non ne ho mai parlato a V.S. non è stato per dimenticanza, ma per esser costà assai noto la persona ed il genio di essa. Egli è tutto dato alle curiosità dell'altro mondo: dico del mondo di qua, non di quello che non si vede; e dopo aver già pubblicato il terzo tomo de' viaggi da lui messi insieme e tradotti, ne va preparando un'altra raccolta, che formerà due tomi. Fra le cose più curiose m'ha detto d'aver due o tre alfabeti di lingue asiatiche non più inteseconosciute, i caratteri de' quali son bizzarrissimi: ma secondo ch'egli m'ha promesso di farmegli vedere, insieme con molte altre cose di questo genere intorno alle quali s'è rigirato il nostro discorso, mi riserbo a ragguagliarne V.S. più distintamente poiché averó il tutto veduto. M.r Thevenot all'aspetto mostra un'età di cinquant'anni, è di statura altissima ma ben proporzionata; il suo tratto non si può dir disinvolto, anzi è piuttosto freddo: ma è il più rispettoso, il più cortese e il più amorevole uomo del mondo. Sento che sta assai comodo de' beni; non è ammogliato, ha un nipote il qual aspetta ogni momento di ritorno di Persia, ed un giovanetto che tiene in qualità di servitore, ma di servitor nobile, vestendolo onestamente e tenendolo a mangiar seco, il quale dicono sia suo figliuolo naturale. Ha buona intelligenza della vera filosofia, dell'astronomia e delle matematiche; ma, come ho detto, il suo forte è nell'erudizione de' paesi più remoti e di tutto ciò che ad essi si appartiene.

 

 

<8-14 maggio.>

 

 

Stamani di buonissim'ora son'andato a Versaglia col conte di S. Mesme, che ci è venuti a pigliare con una muta di madame: erano con esso lui m.r de Guerzan, molto ben conosciuto da V.S., e un'altro gentiluomo normando amico suo, che per non essermi parsocarnepesce non ho durato fatica a tener a mente il suo nome. Versaglia è intorno a quattro leghe lontana da Parigi, e un'e mezza da S. Germano incirca. Il paese è abbondante di sabbia, povero d'acque e per conseguenza il più sterile e il meno proprio per collocarvi delizie e giardini: pure il genio del re e la forza del danaro hanno riportata una bella vittoria della natura, avendo reso un luogo abile a dilettare ogni gusto mal avvezzo e ogni mente, per ripiena che sia di vaghe e dilettevoli idee. Vi s'arriva per davanti e per di dietro con due larghissimi stradoni, che sono occhiate, uno de' quali, che è quel di dietro, fra poco diventerà canale. Di qua e di , tanto l'uno che l'altro hanno due altri stradoni laterali notabilmente più stretti, scompartiti gli uni dagli altri da quattro file d'alberi, che son ancor giovani e piccoli. Per davanti, cioè dalla parte di Parigi, in vicinanza del palazzo vi sono diversi padiglioni di fabbriche alla franzese, che sono diverse abitazioni di signori grandi che seguono la corte.

Del palazzo non mi metto a fare descrizione, perché richiederebbe scrittura infinita senza profitto uguale alla fatica del leggerla, tanto più che m'è stato detto trovarsi un libro dove sono tutti gli aspetti delle case e dei giardini più celebri per vaghezza e per architettura, il quale porterò a V.S. Dirò solo in generale che la bellezza di Versaglia non è bellezzamaestà di palazzo reale: ell'è vaghezza e galanteria di stipo, e di stipo da tener in camera di dame. Il color de' mattoni, che è un rosso che in gridelino, l'esatte e candide commessure d'essi, le cantonate, i cornicioni e gli altri conci di pietra bianca, i busti di marmo ond'è adornato a due ordini tutto il cortile, l'uguaglianza de' cammini tutti arricchiti di trofei di pietra riportati sul mattone, e il lustro delle lavagne, le doratura de' piombi, che nello spigolo più alto del padiglione le collegano insieme, quelle delle docce, che all'uso di Francia discendono lungo i muri a portar l'acqua fino in terra, i colori, le vernici e l'oro dati ai cancelli di ferro, i vetri delle finestre, le dorature degli stagni, il trasparir che da quelli fanno le dorature dell'imposte, la prospettiva di due bracci di fabbriche del tutto uguali (destinate l'una ai servizi bassi, l'altra alle stalle che vengon a fiancheggiare un'altra gran piazza posta accanto al cortile), i balaustri di pietra, che rigirano la contrascarpa del largo fosso asciutto, che rigira il palazzo: insomma la finitezza, per così dire, d'ogni minima parte dell'edifizio fa all'occhio una certa armonia di colori e di lumi che bisogna appagarsene anche a dispetto della ragione, che vi fa conoscere molti difetti d'architettura e molte improprietà che poco s'accordano con la simmetria d'una abitazione reale, di cui tutto il pregio consiste in certo fiore di novità e di freschezza che, distrutto dal tempo o dalla trascuranza di custodirlo, non lascia alcun vestigio di sé né alcuna altra cosa onde possa distinguersi Versaglia dall'abitazione d'un privato cavaliere.

Di dentro ogni cosa ride, e le scale son di marmo rosso e bianco, gli appoggi di ferro dorato, le mura tutte finte di marmo, le volte tutte festoni di fiori e di frutti che adornano bassirilievi finti di bronzo lumeggiati d'oro. Le stanze, che tutte son basse e piccole, hanno i pavimenti di legno commesso, ma così liscio e lustrante che vi si sta male in piedi; i muri fin'all'altezza di due braccia son soppannati d'asse, che con piccoli sporti a luogo a luogo, con una cornice che rigira, formano un basamento andante; i palchi tutti dipinti: e questi e l'imbasamento suddetto insieme con gli usci e le finestre e l'imposte, tutto ricchissimo d'oro.

Il palazzo ha due piani: nel primo, che è il terreno, v'hanno gli appartamenti Monsignore, Madama e Mademoisella, e tutti son di tre stanze (anticamera, camera del letto e gabinetto); solo il Delfino dorme nel gabinetto, servendo il letto della camera per madama della Motta, sua governante. Ma tornando a terreno (perché questo è ad alto), l'anticamere di Monsieur e di Madama sono assai modeste, ma le camere e i gabinetti nobilissimi. A proposito de' mobili, è da sapere che il tutto è nuovo e fatto apposta per adornamento di quella stanza particolare dove ciascuna cosa si trova: e sì come il tutto tende a dilettare e rallegrar l'occhio e nulla ad affaticar la mente, così non v'è né statuequadri, toltone ritratti di principesse e di dame posti anche su' cammini e le porte: e fra questi quello della Valiera vi s'incontra più spesso che quello di S. Cristoforo per il Tirolo. Un altro appartamento a terreno serve al re per vestirsi quando scende dalle stanze della regina, e questo è tutto mobiliato alla chinese, con paramenti di taffettà dipinto in quelle parti, all'usanza del paese, con acquarelli di vari colori cavati, secondo dicono, da sughi d'erbe e fiori diversi. Il letto, le coperte delle tavole, i tamburetti e le seggiole son dell'istessa roba; i torcieri e gli studioli, i forzieri e le casse son tutti di vernici d'India, e ogni cosa è piena di porcellane ed altre terre chinesi finissime.

Il piano di sopra è ora tutto scompartito tra il Delfino e la regina, la quale gode ora tutta quella parte che toccava alla regina madre. I mobili sono tutti ricchissimi, ma d'una ricchezza che si vede accompagnata, con attenzione grandissima, colla vaghezza e con la leggiadria. Per esempio, la camera del Delfino è parata di dommaschi color di cedro guarniti a telo, in cambio d'un gallon ordinario, d'un merletto tutto d'argento, che congiugne al valor del parato la bizzarria dell'invenzione; il suo gabinetto è un telo dommasco color di cedro come la camera, e un telo di raso pavonazzo con contrattagli di tela d'oro e d'argento che esce dell'ordinario ed è vaghissimo. La camera e il letto della regina son di grossa grana bianca lattata, tutta ridotta a opera con un ricamo a punta d'ago d'oro e d'argento e di fiori di seta al naturale.

Questi pochi esempi serviranno a V.S. per farle formare un concetto, assai aggiustato al vero, della maniera di questi adornamenti, che nel resto consistono in lustri di cristallo senza fine, de' quali in un piccolo e galante teatro che v'è per le commedie ne ho contati fino a dieci, in altre stanze cinque, in molte tre, e quasi in tutte l'altre uno, o di cristallo o d'argento, in grandi ispecchi, altri ornati di cornici ed altri senza: ché sono quasi tutte le porte finte, fatte per corrispondenza d'architettura, gli usci delle quali son tutti di gran lastre di specchi commessi insieme, che da lontano sembrano uno specchio solo. Le coperte delle tavole, sgabelloni e seggiole accompagnano tutti i parati, sì come i cordoni che sostengono i lustri e le gabbie; delle quali quattro d'argento vaghissime ne sono nell'anticamera della regina, tramezzate con cinque lustri di cristallo e attaccate a grandissime nappe di nastri d'oro e d'argento, che accompagnano i lor cordoni, ancor essi simili a' colori del parato, che è di velluto rosso e di tela d'argento broccata con fiori di seta al naturale. Ricchissimi sono i studioli e tutti carichi, sotto e sopra, d'argenteria, parte soda e parte di filigrana. Le cornici delle porte e quelle de' cammini, che son la maggior <parte> di marmi nobili, son cariche di porcellane e altri vasi di terre fini e preziose. Tutti i cammini hanno gli alari d'argento doppi, cioè due grandi che servono per ornamento nelle cantonate, e due più piccoli per sostenere le fascine e le legna, posti più verso il mezzo del cammino.

Dirò adesso qualche cosa di quel famoso gabinetto di filigrane, dove entrando il Bernino, con espettazione che dovesse trasecolare, non fece alcun motivo, anzi lo giudicò un altarino da monache. Nel che io stimo ch'egli giudicasse rettamente, ma con rigore troppo indiscreto, perché finalmente bisogna distinguere tra un adornamento d'un gabinetto d'una dama e quello d'una galleria d'un re. Egli è camera e alcova, ma alcova intorniata di sgabelletti e di seggiole senza letto; nella camera son quattro porte, due finte e due vere e tutte di specchio; le finte sono allato agli stipiti dell'alcova, e le due vere allato al muro dirimpetto all'alcova in cui sono due finestre. Si guardano queste porte di fronte l'una con l'altra, e negli spazi che rimangono fra di loro vengono in fuori due piedistalli su' quali si sollevano diversi scalini che vanno sempre diminuendo insino che arrivano a trovare un ovato. Queste scalinate e tutto il gabinetto dal cornicione in giù sono rivestiti di tavole finte di lapislazzero, sul quale ricorre per ogni verso un bassorilievo di fogliami e arabeschi di legno dorato, che sopra a ogni foglia e ogni fiore regge diverse fatture di filigrana d'oro e d'argento. Piramidi, scatole, scatolini, guastade, bocce, vasetti, secchiolini, tazze, profumerie e cent'altre bagattelle, di cui a gran pena saprei dire i nomi, adornano tutto il sodo dei muri e fanno ornamento ai due ovati che vengono sopra le scalinate, dove sono i ritratti della regina e di Madama e i cinque quadri che, due di qua e due di da essi ovati, restano sopra le quattro porte, e uno rimane tra il vano delle due finestre. In questo è ritratta madama di Montespan: ne' due dalla parte della regina, madama di Guiche e madama di Brisac, e ne' due dalla parte di Madama, la Valiera e la duchessa Mazzarrina. Sul cornicione son tutte guantiere e altri pezzi grandi; su per i fogliami e i rabeschi sono i minori, e sulle scalinate sono studioli, candellieri, torcieri, cassettini e forzieri e altri pezzi più grandi. Nel mezzo d'un di questi scalini, in luogo il più cospicuo, v'è il famoso bigiù di Versaglia, che è un piccolo gallo con la testa e l'ali e la coda d'oro smaltato, e tutto il corpo d'uno scaramazzo stimato il maggiore che si vegga in Europa; ma io non credo punto minore quello che serve di vaso a una piccola rametta d'oro (se non mi sbaglio) nel vano dell'architrave dello studiolo della tribuna. La lumiera è di filigrana, e sotto di essa, che è nel mezzo della camera, sur un piedistallo finto anch'egli di lapislazzero adornato con riporti di filigrana, v'è una gran profumiera dell'istessa manifattura.

L'alcova apparisce tutta da alto a basso rivestita di specchi, se non in quanto è adornata di pilastri di lapislazzero rabescati co' soliti fogliami d'oro, tutti ripieni di pavoni ed uccelli e altri capricciosi lavori di filigrana d'argento; e di filigrana d'argento ancora son guarniti i torcieri, i manichi degli spazzolini di penne e i braccioli delle seggiole, degli sgabelli, il piede del parafuoco, che tutti son finti ancor essi di lapislazzero; i sederi e le spalliere son di velluto turchino ricamato d'argento, tirato con disegno così simile alla filigrana che si scambia per essa. Di qui s'entra nel gabinetto de' cristalli, de' quali, oltre la cornice del cammino e alcuni sgabelloni, son carichi per di sopra e pieni per di dentro due piccoli studioli di legno dorato, con le pareti de' fianchi e con gli sportelli davanti di lastre di cristallo. Di questi non dico nulla, perché V.S. sa quel che posson essere, tanto più che né il numero né la qualità de' pezzi arriva di lunga mano quelli di Firenze, credo; benché gli superino nel prezzo in cui sono tenuti e creduti, stimandoli quattro milioni: dandomi ad intendere che il granduca (anzi mezzo mezzo ce lo impegnai) darebbe tutti i suoi, che a questo ragguaglio ne varrebbero dodici per quattro, cioè per un milione e trecentomila scudi, non senza speranza di una buona senseria per me.

L'ultima camera è la più debole, per un grand'armadione pieno di bazzecole ordinarissime, essendovi porcellane, cristalli molt'ordinari e infino a buccheri rossi ed altre bagattelle: però questa sola cosa mediocre non sfiora punto il pregio di tant'altre sì belle. V'è poi una sala, anch'ella ricchissima d'oro, ma negli spazi dove anderebbe il parato è dipinta a olio. Intorno, su diversi sgabelloni, vi son varie figure d'argento, e in specie i quattro fiumi della fontana di piazza Navona, che al Bernino non dovette dispiacer punto il trovarvi. In mezzo vi è una spezie di altarino, essendovi un braciere d'argento; sul braciere è un bacile e sul bacile è una gran profumiera.

 

 

15 maggio.

 

Oggi dopo desinare sono stato all'assemblea in casa di m.r Justel, dove ho trovato che discorrevano d'una nuova invenzione trovata in Inghilterra dal cavaliere Roberto Morland, di cui trattando dei soggetti di quella corte parlerò più diffusamente a suo tempo. Quest'invenzione l'avevo di già veduta a Londra e consiste in una macchinetta d'argento, così piccola che si rinchiude in una cassetta di sagrì minore d'una custodia da occhiali, nella quale col girar certe ruote numerate si fanno speditamente e con sicurezza una mano d'operazioni aritmetiche. Di poi s'è discorso di nuove senza alcuna particolarità degna di reflessione.

Vi ho bene imparato a conoscere un soggetto di qualche considerazione. Questo è un certo m.r Salò, consigliere del parlamento, il quale ha un fratello che ha l'istessa carica, e fra tutt'a due hanno di buonissime facultà. Egli è corto e grosso della persona, storpiato quasi affatto dalla gotta, e rende in piccolo un poco d'aria al Palmieri. Il suo diletto sono stati gli studi delle belle lettere, la sua professione, di dir mal di tutto e scrivere in franzese diverse pezze satiriche. Egli è quello che da principio scriveva il giornale de' letterati sotto il nome finto di m.r d'Hedouiville, e averebbe potuto seguitare se m.r de Lionne, obbligandolo a sottoporlo continuamente alla revisione, non avesse dato motivo al suo genio superbo e disprezzante di lavarsene le mani. Ne fece però pigliar l'assunto a m.r de Galois, che è quello che lo scrive al presente, che allora stava in casa sua, e che, sebbene è suo allievo, nondimeno al presente s'è lasciato indietro il maestro, avendo accresciuto agli ornamenti acquistati sotto di lui il massiccio delle scienze più sode e in specie della teologia. Stima dunque m.r Salò straordinariamente questo giovane e i due fratelli Valois, e da questi in poi nessun altro che se medesimo. Perseguita adesso fieramente m.r Auzout a cagione di m.r Galois, il quale avendo nella accademia che si tiene in casa m.r Carcavì (che vuol dire in casa del re) voluto troppo magistralmente decidere in materie non so se geometriche o astronomiche contro il parere e l'impegno di m.r Auzout, questi gli disse in buon linguaggio che il suo mestiero era la teologia. Questo è bastato perché Salò l'abbia preso di mira; e secondo che Auzout in questo tempo ha fatto qualche azione equivoca da poter esser interpretata in disprezzo di quel corpo d'adunanza reale, ha aperto un largo campo a questo uomo, per altro mal intenzionato verso di lui, d'attaccarlo, oltre alle parti del sapere, anche in quelle della prudenza: è certo che per via dei Valois, che hanno adito e fede appresso Colbert, è abile a metterlo in terra. Insomma costui è una lingua da benedire, e dove attacca il morso ne porta via il pezzo.

Son poi andato per trovare il cardinale di Retz, e non essendomi riuscito ho dato fondo in casa d'un amico per finir la veglia. Gli ho domandato qualche relazione di quell'abate di Clairmont e di m.r de Sanguien, che avevo veduto ieri giocar col re alla palla a corda. «Il primo», mi disse, «si chiama Clairmont Laudaine ed è di Lingua d'Oca, a distinzione dei Clairmont di Delfinato, l'un'e l'altra buonissima famiglia. L'unico suo mestiere è di giocatore, ossia di carte o di palla a corda o di dadi: quindi alle volte si trova dugentomila franchi e si tratta in signor grande, e alle volte ha carestia di tenere un sudicio lacchè. Per scarsità d'altri talenti s'è attaccato alla corte col giuoco ed ha ottenuto il brevetto d'entrare in camera del re come tutti gli altri della sua più domestica conversazione. Lo seguitò l'anno passato in Fiandra e quest'inverno in Borgogna, senza però maneggiar altr'armi che le carte e i dadi, e senza che questa sua così domestica introduzione lo costituisca in altro concetto che di giocatore, né gli porti altr'utile che quello che ogn'uomo un poco avveduto è capace di ritirare dall'aver l'orecchio del re. Sanguien è ancor egli di buona casa: benché parigino ebbe già un cardinale e molti presidenti. La sua carica di maître d'hostel è una delle subalterne sotto il principe di Condé e m.r di Bellefont. È però ancor esso di reputazione e non esercita per quartiere ma solo in occasioni solenni. S'è accomodato assai bene di facultà; comincia ad aver degli anni: il re gli vuol bene e ci ha confidenza, avendolo spesso mescolato ne' negozi de' suoi piaceri».

 

 

16 maggio.

 

Stamani sono stato trattenuto in casa dalla visita d'un amico, dal quale non ho ricavato altra cosa degna di considerazione che l'informazione di que' tre soggetti che sono impiegati nella libreria del re d'attorno all'indice de' codici orientali. Mi ha detto che m.r de Compienne, che fatica sull'ebraico, è figliuolo d'un ebreo di Metz, rabino dottissimo anche al parere dei letterati cristiani. Egli però ha abbracciato la nostra fede e, per giovane che egli è di trent'anni, si può dire molto erudito nelle traduzioni rabiniche e molto internato nell'intelligenza della scrittura. M.r Dipy, che lavora sull'arabico, è nativo d'Aleppo e in concetto d'un grandissimo furbo. È però erudito nella sua lingua ed è professore di essa nel collegio reale. Ebbe già gran differenze con un tal Sergio, nativo anch'egli d'Aleppo e arcivescovo di Damasco, che in certa congiuntura, con scandalo di tutta la chiesa di Levante, svergognò bruttamente il nome cristiano coll'occultarsi. L'istoria debb'esser nota costà a m.r d'Erbelot, al quale mi ha rimesso l'amico per più distinta notizia: mi ha solo accennato che il soggetto dell'inimicizia tra esso e Dipy è nato dall'aver preteso questo di levargli la carica di segretario interprete di lingua arabica del re, nel qual maneggio ci fu non so qual falsificazione, non so se di sigillo o di firma, di cui vien esso imputato. Quello del turco è m.r de la Croix, normando, uomo di mediocre condizione. Ha studiato la lingua in Parigi (credo per qualche tempo almeno) in compagnia di m.r d'Erbelot. Ha inoltre qualche ragionevole tintura di belle lettere, e non è mai stato in Levante ed è nondimeno segretario interprete del re in lingua turchesca, come l'altro nell'arabica, con mille cinquecento lire di provvisione: ha quarant'anni in circa ed è uomo onorato e da bene.

Dopo desinare sono stato a far reverenza al duca di Guisa, di cui non posso dir altro se non ch'io l'ho trovato non men bello dei suoi ritratti veduti in Italia. Questo però è quanto al viso e ai capelli, perché la vita non finisce d'accompagnare, essendo alta bensì, ma non interamente svelta e ben fatta; le gambe più d'ogni altra cosa patiscono per troppa sottigliezza. Egli è tutto devoto ed applicato a' suoi esercizi, obbedientissimo a Mademoisella, pieno di stima rispettosa verso Madama e d'eccedente cortesia verso tutti, che è quanto si può pretendere dalla sua tener'età. Di qui son andato da m.r Boulliauld, che m'ha trattenuto sempre con nuove: pure ho imparato una cosa che non sapevo, ed è il gran potere che ha la contessa d'Enoff sopra lo spirito del re di Pollonia, il quale, benché disposto e dagli anni e dalla cadente sanità ad abdicarsi dalla corona, n'è trattenuto sopra ogn'altra cosa dall'onnipotenza di questa donna, a cui torna più conto l'averlo re che privato. Ho poi visitato m.r de Roncie, lettore di filosofia. Questo è un giovane che da ragazzo fu paggio del cardinale Antonio, e non dispiacque a nessuno nella corte di Roma; venuto in Francia entrò fra i moschettieri del re, ed in capo a un anno, risolutosi improvvisamente a mutar professione, si ritirò in un collegio dove dopo aver studiato lingua latina e greca s'inoltrò nella filosofia e nella teologia con fervore e profitto maraviglioso: fra due mesi finirà il corso della sua lettura filosofica per adottorarsi poscia in Sorbona, e poi immergersi nella teologia positiva. La sua età è di ventisei anni incirca, ed essendo considerato per un originale, sì in riguardo della strana improvvisa mutazione sì dell'aspettativa grande che si ha di lui, non ho voluto passarlo sotto silenzio.

 

 

17 maggio.

 

Stamani sono stato in casa e dopo desinare son andato da m.r Sannalle, che ha differito fino a doman l'altro la sua partenza. Mi ha condotto al Tempio, che è un gran ricinto pieno d'abitazioni coll'antica chiesa dei Templari, affetta, dopo la soppressione di essi, alla religione degli ospidalieri e incorporata al presente al gran priore di Francia, caduto ultimamente nel commendatore di Souvré. Era per l'addietro questo priorato ricchissimo, e non lascia d'esserlo anche al presente, benché la religione di Malta, per levare ai re la voglia di conferirlo per appannaggio ai figli di Francia o a principi o bastardi del sangue reale, com'è seguito in Spagna a quel di Castiglia, l'abbia decimato notabilmente, fondando sul ritrinciamento diverse ricche commende. Queste però parmi di sentire siano tutte godute dal presente gran priorato. La chiesa del Tempio è d'architettura gotica e nulla ha di singolare, benché qualche franzese faccia gran caso di qualche schiribizzo che è nella pianta di essa. Il gran priore vi fabbrica adesso un palazzo tutto di pietra per sua abitazione, e successivamente per tutti quelli che saranno gran priori dopo di lui. L'edifizio è magnifico e comincia ad esser molto avanzato. Son due botteghe dove si vendono, ma una è la principale: e sono in sustanza cristalli legati in argento, o bianchi o coloriti, altri in fibbie da scarpe, altri in fermezze, altri in vezzi, altri in pendenti, altri in anelli, altri in sustanza in tutto quel che si vuole; e l'uso di essi è tanto cominciato a domesticarsi, anche tra le persone di prima riga e in corte, che non si crederebbe: perché, in quanto alla vista, c'è troppo minor differenza dai veri che non è nel prezzo; e così molti se la passano con gran disinvoltura facendo moda e galanteria del risparmio. Ed io so che al battesimo del Delfino v'era tal cappello guarnito di diamanti che passava per centomila franchi e non costava se non poche doble di nolo ai gioiellieri del Tempio.

Siamo poi andati a veder la chiesa delle Figlie di Santa Maria, vicino alla Bastiglia. L'architettura è di Mansart architetto, il meno disistimato dal Bernino di quei che vivono presentemente a Parigi. La chiesa è assai piccola, e benché sia fatta con qualche buon gusto e ragionevolmente adornata, in Italia non si considererebbe per nulla.

Siamo poi entrati nella chiesa de' Celestini, che è di grandezza ragionevole: quello che c'è da vedere è una mano di sepolcri, quasi tutti rammassati in testa della nave di fianco da man dritta. Qui stimano assai la statua del famoso Sciambo, che a farle servizio si può dir ragionevole. Vi sono i due mausolei dei cuori di Francesco e d'Arrigo secondo: il primo è un imbasamento assai ricco di marmo, che regge una colonna fiammeggiante figurata per quella del popolo ebreo nel deserto, antico corpo d'impresa di quel re. L'architettura è di Pilon, soggetto di qualche fama e che non è stato men felice nel pensiero che nell'esecuzione di quest'opera. Il cuore d'Arrigo secondo finge ancor egli d'esser riposto in una coppa di bronzo sostenuta in alto da tre statue di marmo della grandezza del naturale, rappresentanti tre Grazie, o siano virtù, locate talmente in triangolo sopr'un ricco piedestallo che si voltano vicendevolmente le spalle. La maniera di queste statue, per quello particolarmente che riguarda il maneggio del marmo, mi par finora la migliore che abbia veduto in Francia. Poco lontano da questo del re v'è il mausoleo del cuore del contestabile di Memoransi, rinchiuso ancor esso in un'urna di bronzo locata in cima del suo sepolcro, assai ricco di marmi e di bronzo, e ciò secondo la disposizione d'Arrigo che ordinò che il suo fosse sepolto vicino al cuore del contestabile. V'è finalmente il sepolcro del nonno e del padre del vivente duca di Longavilla e del conte di S. Paul. Son quattro statue di marmo sulle quattro cantonate d'un grand'imbasamento quadro, che sostiene nel mezzo un'alta piramide. Egli è situato nel voto dell'arco che divide la nave di mezzo da quelle de' fianchi, onde ha due vedute. Sotto la piramide vi sono, in due bassirilievi di metallo dorato verso la nave di fianco, il soccorso portato dal vecchio duca ad Arrigo quarto; e verso la tribuna dell'altar maggiore, la battaglia di <Senlis>. Per dir tutto dirò anche una bagattella che vi è considerata assai: questa è un leggio grandissimo d'ottone, con l'imbasamento simile adornato delle statue de' quattro Evangelisti, posto nel mezzo del coro per sostener l'antifonario.

Vicino alla chiesa v'è il claustro, assai riguardevole per esser ragionevolmente grande e d'una straordinaria ricchezza di marmi, benché l'architettura sia infetta di frascherie. In una testata di detto claustro v'è la lapide sepulcrale d'Antonio Perez. Il giardino è considerabile per esser il maggiore che sia dentro Parigi. V'è salvatico, v'è orto, v'è vigna tutta di viti di Borgogna, che dicono soggiacere all'istessa fortuna di quelle del lor paese, movendo quando quelle cominciano a muovere, e facendo poche o assai uve secondo che quelle ne fanno. Questa vigna dicono che sia l'unica che è in Parigi. Questi monaci sono assai discreti, concedendo a ogni galantuomo l'adito nel giardino e a molti la chiave, onde ad ogn'ora vi si trova buona conversazione; del resto si dilettan più di frittate che di libri, e delle loro si dice in Francia ciò che diciamo in Italia di quelle de' certosini, cioè che le son alte quattro dita.

Usciti de' Celestini siam andati all'Arsenale a passeggiare sur un stradone tutto piantato d'alberi lungo la riviera della Senna, dove di questi tempi si radunano donne e uomini a pigliar il fresco, come nel giardino del Luxembourg. Non dico nulla dell'Arsenale né dell'appartamento che vi ha nobilmente adornato (per quanto sento) il duca Mazzarrino, come gran maestro dell'artiglieria, perché non entrammo a vederlo facendosi l'ora d'andar a casa il presidente di Charny, ad un'assemblea molto ristretta ch'egli tiene in sua casa in tal giorno di giovedì. Di lui non ci è da dir altro se non che egli ha viaggiato ed è stato in Italia ed ora, benché si chiami presidente, s'è nondimeno disfatto di quella carica (che è di mera commissione) per entrar consigliere della gran camera. È piccolo di statura, d'apparenza piuttosto infelice, ama la conversazione de' letterati, benché egli non possa chiamarsi tale; si diletta straordinariamente di musica, tenendone spesso accademia in casa. I soggetti più riguardevoli ch'io vi trovai eran tre: m.r de Launoy, m.r Nublay e m.r Vouel. Tutt'a tre sono assai attempati, e particolarmente il primo, che fra l'altre cose ha un dente solo. Egli è uomo universalissimo in ogni sorta d'erudizione, toltone le materie fisiche e matematiche, delle quali sa nulla o poco. È intendentissimo della lingua greca, e versatissimo al pari d'ogni altro che sia in Francia (per quanto mi dice Sannalle ed altri ancora) in tutte le parti della teologia positiva. Veste di lungo ed è uomo rozzo, burbero e impetuoso. Mantenitor acerrimo dei privilegi e della libertà gallicana contro Roma, reverisce il papa quanto basta e non vuol confonderlo colla Santa Sede: «Nel che», dic'egli, «io non fo nulla che non facciano anche a Roma: perché di non scrivono mai: -- La Santa Sede s'è cavata sangue, la Santa Sede s'è fatta un serviziale -- , ma sempre: -- Sua Santità s'è cavata sangue, Sua Santità ha preso un lavativo -- . Dunque anche a Roma confessano qualche piccola distinzione tra la Santa Sede e il papa». In Francia lo chiamano snidiatore de' santi, per le cose da lui divulgate per disingannare il mondo che Santa Maria Maddalena sia stata in Provenza e San Dionisio Aeropagita a Parigi: egli però se ne duole e dice che piuttosto lo dovrebbon chiamare raddoppiatore di santi, «perché», dic'egli, «per una Santa Maria Maddalena ve ne trovo due, e due San Dionisi per un solo». Il suo maggior gusto è quando può far qualche dispetto ai monaci o ai frati col metter loro a terra qualche lor vecchio preteso privilegio, com'ha fatto ultimamente ai monaci della badia di S. Germano, mostrando la falsità dell'esenzione, che essi pretendono data loro da detto santo, dalla giurisdizione dell'arcivescovo di Parigi. Rifruga per ciò sempre tutti gli archivi, facendo la critica sacra il maggior impiego delle sue applicazioni.

Nublay è avvocato e veramente debb'esser grandissimo leggista, ma leggista erudito profondamente ed ornato, oltre alla cognizione delle belle lettere, dell'intelligenza della lingua greca. Egli è un certo sparutello quasi del tutto calvo, manieroso, grave e modesto, che con tutta la sua poca apparenza non lascia d'aver assai buona grazia. Vouel è reputato assai per la cognizione delle lingue e per l'erudizione dell'istoria orientale. V'erano tre o quattr'altri di minor considerazione, dei quali non val la pena di discorrere.

 

 

18 maggio.

 

In casa a scrivere.

 

19 maggio.

 

Stamani sono stato a render la visita al Quaranta Luppari e al conte Sebastiano Tanara, che stanno in casa di monsignor Nunzio, facendo figura mista di servitori e di camerati. Il primo è giovanetto: si può dir ben fatto, ha bella vita e bell'aria di cavaliere. È però ancor giovane, ma in ogni modo è assai aggiustato. Il Tanara è giovane ancor egli: s'è messo qui (per quanto sento) in abito da prete, senz'altro benefizio che quello di sottrarsi dalla suggezione delle mode, che a Parigi val sempre qualche centinaio di scudo a capo all'anno. Questo è savio e saputo, e mi ad intendere che si stimi anche tale; è però cortese e rispettoso.

Oggi poi sono stato a vedere le famose manifatture aux Gobelins, delle quali avevo in parte maggior concetto, non perché io credessi più squisiti i lavori ma perché credevo l'arte e le maestranze più numerose. Il luogo è detto Gobelins dal nome di tutto il quartiere, che così si chiama non so se da un piccolo fiumicello che vi corre, chiamato la rivière des Gobelins o, come altri dicono, dall'esservi quivi state le abitazioni di una famiglia di questo nome, che l'abbia poi lasciato al fiume e al quartiere, posto fuor della porta di S. Marcello nell'ultima estremità del foborgo. Era anticamente il luogo, che oggi ha preso il re per le manifatture, trattenuto da diversi mercanti per la fabbrica e tintura degli scarlatti, che in riguardo delle perfettissim'acque del fiumicello suddetto ebbero grandissima stima. In oggi vi sono le caldaie e le maestranze della tintura, che vi lavorano nell'istesso modo di prima. Del resto il sito è un gran cortile intorniato tutto di fabbriche ordinarissime. A terreno son le botteghe e ad alto le abitazioni dei maestri, che soli vi alloggiano. Tutti i lavoranti sono 400, ai quali il re, oltre i salari paga i quartieri in quella vicinanza.

Io son da principio entrato dove lavorano gli arazzieri, che sono diverse stanze assai grandi, essendo in alcune fino a sei gran telara; tutte le tappezzerie che qui si lavorano non sono a calcole ma si travagliano in piedi ad alto liccio (come dicono), cioè come lavora a Firenze m.r Lafèvre, il di cui figlio maggiore è qui gran faccendiere, è ammogliato e ha figliuoli. Hanno adesso tra mano la vita del re, ed in specie il ricevimento del cardinal legato. I cartoni sono di Brun e gli arazzi son ricchissimi, essendo loro de' fregi di considerabil rilievo. Costano al re, per l'appalto presone dai tappezzieri, 400 franchi l'uno, che compreso alloggi, provvisioni ed altro gli stanno in ottocento. Quelli della vita d'Alessandro, copiati dai quadri che ne ha fatto Le Brun a olio, son men ricchi la metà e costano la metà meno. Dell'istesso prezzo de' primi si lavorano ancora i dodici mesi, che rappresentano i divertimenti del re in ciascun mese; il luglio (se non erro) c'è la veduta di S. Germano col re che fa la caccia dell'uccello; il maggio, il re in carrozza a sei, che va a Versaglia; e così di man in mano, con la proporzione delle figure in piccolo. La spesa che fa il re nelle tappezzerie fu fusa a 100 mila franchi l'anno; e sebbene il prezzo degli ori è poi alzato notabilmente, l'assegnamento non è punto cresciuto, ma tutto il danno si posa sul minor guadagno degli appaltatori, i quali però s'ingegnano il me' ch'ei possano di salvarsi.

Son poi entrato dove lavora il pittore, che dagli schizzi di Brun forma il cartone per il gran tappeto alla persiana di cui già scrissi lavorarsi alla Savonerie, dove ancora non son stato. Anche questo, calculate tutte le spese, se n'anderà in 500 franchi, e ha da coprire la galleria lunga (benché l'altra volta scrivessi mille) sopra settecento passi. In una altra stanza si lavora il pavimento per l'istessa galleria, di quadri di lavagna di quattro palmi e quattr'once l'uno, di passetto romano, che son braccia fiorentine <...>, tutti contorniati con fregio d'ottone e intarsiati variamente con bizzarri arabeschi d'ottone e di rame; ciascuno di questi è stimato 300 franchi, che, fatto il conto della lunghezza e larghezza di tutta la galleria, dicono ascendere tutto il pavimento a cinquecento mila scudi. Io aspetto di averla misurata co' mia passi per il calculo, ed assicurarmi del vero. Per adornamenti parimente di questa galleria si lavorano in grandissima copia in un'altra stanza i pilastri, capitelli, basi, piedestalli ed altri adornamenti di legname, onde vanno rivestite per scompartimenti dei superbissimi arazzi le mura di essa galleria, che tutta sarà piena di vasi, di statue e di torcieri d'argento, oltre una quantità di grandissimi stipi, e tutti i suddetti intagli saranno messi a oro. Per lo stanzone dell'audienza, che rimane (come già ho scritto) in fondo della galleria, son già destinate dodici statue di marmo, che saranno locate sopra il fregio de' parati, in altrettante nicchie cavate nelle quattro faccie della sala, tre per ciascheduna. Si pensa ancora di fare il trono del re tutto d'argento, e la maggior parte di getto: questo però non so che sia cominciato.

Ho poi veduto dove si lavorano i stipi di già descritti nella relazione delle Tuillerie: e in sustanza tutto il gran fracasso che fanno agli occhi consiste nella gran ricchezza dei riporti di metallo dorati e dei lapislazzeri, ed i più vasti e di maggior prezzo non passano ventimila franchi. Nella bottega degli argentieri si lavorano presentemente ventiquattro gran bacili ovati, che co' lor boccali parmi che pesino da 60 delle nostre libbre per ciascheduno: non mi sovviene però se in questo peso c'entri anche il sostegno d'argento, che è una spezie di lavamane, ma io credo di no. Basta: ciò poco importa, perché io sto dietro ad averne nota distinta, non solo di questi ma di quanto pesi tutta l'argenteria fatta fare dal re, tutta quella che si fa presentemente insieme col servizio nuovo d'oro ultimamente ordinato. Questi bacili ovati saranno tramezzati co' ventiquattro tondi che son già fatti, e saran disposti lungo le due facciate della galleria, ciascuno sul suo sostegno d'argento, col suo boccale in piede. Per le quattro cantonate di essa, parte son già fatte e parte si fanno di quattro navicelle d'argento, a foggia di bagni, con altrettante urne di straordinaria7 grandezza. Il peso di ciascheduna è millesettecento marche, milledugento la navicella e cinquecento l'urna. I bassirilievi di questi bacili, come il disegno di tutto ciò che si lavora per il re, sono del Brun, che in sostanza è l'Apelle di questo Alessandro. L'opera però degli argentieri e tutto il lavoro della cesellatura è grossolano al maggior segno.

Nella stanza dove lavora Le Brun ci ho veduto tre grandissimi pezzi della vita d'Alessandro, che gli fa a olio, nei quali confesso che m'è riuscito assai più che non m'aspettavo, dopo aver veduto quel quadro nell'Accademia de' pittori: più per quel che risguarda l'idea e la fantasia, che quel che tocca la vaghezza del colorito e qualch'altra cosa che non ardisco dire ancora, riserbandomi a darne un giudizio più aggiustato dopo che averò veduto la sua grand'opera della volta della cappella del seminario di S. Sulpizio.

Ho veduto per ultimo lo stanzone dove lavorano i giovani che dipingono i quadri per le tappezzerie, copiando e finendo diligentemente a olio tutto quello che Le Brun abbozza ne' suoi cartoni. Questi quadri poi vanno tagliati in diverse striscie, perché nel tempo che un arazziere lavora un fregio, un altro per maggiore spedizione possa tirare avanti l'istoria sur un altro telaio, dove il fregio è già fatto, facendosi l'istessa camera tal volta doppia e di diversa ricchezza e valore. Così fanno adesso in proporzione più piccola quella de' quattro elementi, per donare agli ambasciatori. Di questi il pezzo dell'aria è vaghissimo, essendo pieno degli uccelli più bizzarri e più pellegrini dell'Indie.

Dai Gobelins son andato a veder la chiesa del convento di Val di Grace, fabbricata con gran magnificenza dalla regina madre, per mercede di quella tranquillità che spesse volte, nei primi tempi de' suoi maggiori travagli, ritrovò il suo spirito in quel ritiro. Le monache son benedettine, per l'innanzi non molto ricche, ma ora divenute assai comode per l'aggiunta fatta dalla regina ai lor beni nella badia di S. Cornelio: d'intorno ha venti mila franchi di rendita. In tutta la fabbrica, sì nel di dentro come nel di fuori (che, oltre alla facciata, fa quasi un teatro d'abitazioni, che arrivando sulla strada con due padiglioni forma un cortile, serrato semplicemente con una cancellata di ferro andante sopra una sponda di pietra), non si può dire che vi sia parte benché minima che discordi da quella sontuosità con cui il tutto è fabbricato. Ogni cosa è di pietra infino alla volta e i bassirilievi di essa, che son ricchissimi e sporgono notabilmente in fuori. L'altar maggiore è chiuso tra sei colonne di marmo bianco e nero, attorcigliate, scannellate fino a mezzo, e dal mezzo in su adornate di rami di palma e d'olivo di metallo dorato. Ciascuna ha un capitello goffissimo, che par più presto un pezzo del cornicione che dovrebbe ricorrervi sopra in ovato secondo la disposizione di esse, invece del quale cammina un fascio di rami di palma legati insieme a uso di fascina, credo anch'essi di metallo, sebbene considero adesso che saranno più presto di stucco, essendovi sopra il gesso per dargli l'oro. Sopra questa macchina v'è una gran corona che fa da cupola, mista di gotico e con molte strafizeche che a me non piacciono. L'altare vi riman sotto in isola, e di dietro v'è la grata del coro, aperta fino in terra come uscio di rimessa, che fa bruttissimo vedere: è ben tutta incrostata di marmo rosso e bianco, di cui, mescolato col nero, è tutto intarsiato il nobilissimo pavimento. V'è luogo per otto altari, sei nelle cappelle, giù per la lunghezza della chiesa, che ancora non vi sono eretti, e due nelle braccia della croce, le di cui cappelle rimangon libere alle monache per essere tutto il vaso, dalla sommità dell'arco fino in terra, serrato con un'immensa grata di ferro, raggentilita con fregi ed altri lavori di bronzo.

Di qui son andato alla Sorbona, la di cui chiesa non è grande ma ricca di marmi e di statue, quantunque siano di cattivissima mano. Davanti all'altar maggiore v'è in terra il corpo del cardinale di Richelieu, non altrimenti notato con altra iscrizione che colla mancanza del pavimento da tutto quello spazio che va occupato dalla sua sepoltura, di cui non v'è chi si pigli pensiero alcuno. Il cortile del collegio è grande per lo lungo, ma rimane stretto, e l'architettura della fabbrica di esso (che tutta è di pietra) non è uguale. Quivi non hanno abitazione se non quei dottori che hanno il titolo di compagni di Sorbona, che (se non mi sbaglio) son 35. Mangiano tutti in comune, ma non l'istessa vivanda, facendosi ognuno cucinare secondo la possibilità della sua borsa o il solletico della sua gola. Hanno una miserabile striscia di giardino a uso di passeggiate; la sala, dove si tengono gli atti pubblici, è tutta intorniata di due ordini di banchi, è assai grande e ben ornata con intagli di noce, ma troppo bassa, e il vaso della libreria che è in volta è bellissimo. Gli scaffali son ricchi d'intaglio, e sopra di essi vi sono tutti i ritratti degli uomini illustri che erano nella libreria del cardinale Richelieu, della quale, benché lasciata loro per testamento, ne hanno aùta la peggior parte, dissipata l'altra per mal governo e poca intelligenza e applicazione di chi l'aveva nelle mani. Gli scaffali sono assai pieni di libri e tutti ben legati: dicono esservene due altre stanze piene che io non ho veduto. Ogn'anno si spendono cento dobble in aumento della libreria, il di cui nervo maggiore lo fa l'istoria e la teologia positiva: hanno qualche numero considerabile di manuscritti orientali, e tra i latini il più stimabile è un codice stimato d'ottocent'anni, dove sono scritti i quattro Evangeli. Fanno ancora qualche stima (credo per mera gratitudine) d'un tomo originale di quell'animalaccio di Raimondo Lullo. Tutto questo m'è stato mostrato da m.r Capelain, uomo della di cui profondità nelle cose teologiche me n'è stato detto gran bene; essendo però egli amico di m.r d'Erbelot, se ne potranno avere a Firenze sincere relazioni.

Ho finito la giornata in casa m.r Conrard, dov'ho trovato m.r Raynier. Questi fu a Roma col duca di Créqui in qualità di segretario dell'imbasciata del re, e non dell'ambasciatore: è giovane, al parer mio, di poco più di 32 o 33 anni, ed è cosa maravigliosa la sua perfettissima intelligenza della lingua spagnola, senz'esser mai stato in Spagna, e della italiana, anche prima ch'egli venisse in Italia. Questa, benché la sappia benissimo, non la parla felicemente, ma la scrive bene a una foggia che non è possibile ad alcun toscano l'accorgersi mai ch'egli sia franzese. Questo è quanto alla prosa: quanto alla poesia, è famosa a Firenze una sua canzone amorosa ch'egli mandò sedici mesi sono all'abate Strozzi, tanto ben modellata sullo stil petrarchesco che, lasciato il non v'esser alcun immaginabile idiotismo franzese, vi son delle cose ed in specie una strofa intera che fu giudicata di comun consenso de' nostri virtuosi, che il Petrarca si rallegrerebbe d'averla fatta. Il sig. cardinale de' Medici l'ha fatto ultimamente dell'Accademia della Crusca, di cui si professa riverentissimo. È cortese, ma un poco affettato, e credo che si stimi assai; ma s'ei lo fa bisogna compatirlo, perché n'ha gran ragione. Sta tuttavia in casa il duca di Créqui, ma credo senz'alcun titolo di servitù, ma piuttosto in qualità di virtuoso. M.r di Lionne ne fa stima e lo protegge, ed ora gli ha conferito un benefizio di 1.000 lire di rendita.

 

 

21 maggio.

 

Dopo desinare sono stato all'Arsenale. Questo è un chiuso di fabbriche che comprende cinque cortili, tra grandi e piccoli; in tutto vi sono due sole fonderie, nelle quali mi son accorto dai lavori più freschi, cioè usciti di pochi giorni dalle forme, che i franzesi non son grand'uomini nell'arte del getto: fanno però bene a far le maggiori commissioni in Hamburg e in Amsterdam. Non c'è nell'Arsenale gran quantità di lavori fatti, perché provati che sono sur un gran prato che arriva alle mura della città giusto in sulla Senna, e che è parte ancor esso dell'Arsenale, gli mandano di man in mano nei magazzini delle frontiere e nelle fortezze per dove son fatti. Quello che v'è di più considerabile è l'abitazione del gran maestro dell'artiglieria, ora goduta dal duca di Mazzarrino, che non la tien molto in ordine, toltone gli utensili più grossi. Ell'ha una bellissima fuga di stanze, la maggior parte raddoppiate con stanzini e gabinetti, guardarobe e altre abitazioni di servizio, che la rendono comodissima e divisibile in più appartamenti. A terreno, lungo un braccio della Senna, e spartita quivi da un'isoletta disabitata, è una gran loggia di cui una parte rimane scoperta ed è piena di vasi d'aranci, e l'altra è coperta da una volta e chiusa da gran vetriate. Si divide questa parte in tre stanze: nella prima non ci è altro adornamento che di ritratti; la seconda è ridotta a uso d'uccelliera e tutta dipinta d'alberi e di salvatico; la terza, che tutta è rivestita di tavole con intagli e dorature che rinchiudono ancor esse diversi ritratti come nella prima, è circondata da una tavola sopra la quale sono in piccolo tutti i modelli delle macchine militari, delle cose necessarie alla marcia dell'artiglieria e degli arnesi da guastatori, il tutto fatto con le sue proporzioni, parte di ferro, come son gli arnesi suddetti, e parte di legno lumeggiato d'oro. Sopra la tavola intorno al muro rigira un'istruzione in cartapecora, divisa come in tanti quadretti, dell'ordine della marcia del cannone, con l'esplicazione degli usi e dei fini di tutte quelle cose che son ordinate nell'istruzione. Nella sala principale del palazzo vi son tutte le prese delle piazze attaccate dal marescial della Migliore, padre del vivente gran maestro, il quale dopo la riunione con la moglie è tornato ad abitare con essa al suo palazzo Mazzarrino.

 

 

23 maggio.

 

Stamani 23 sono andato a veder tutte le carte di geografia di Sanson nella bottega di Manette, e fra l'altre quelle quattro grandi dove tra lui e il figliuolo (che è un giovanetto di 30 anni incirca) hanno preteso di darci tutt'a quattro le parti del mondo, con le principali parti di esse mutate di figura. Sento esser queste carte di già venute a Firenze, però tralascerò di parlarne: dico bene che se la cosa è vera è bella; ma mi par gran cosa che in Francia si sappia più di geografia che in Olanda, essendo certo che, attesa l'incompatibilità del segreto con la nazione franzese, gli Olandesi hanno tutte le relazioni de' viaggiatori franzesi, ma Franzesi non hanno quelle dei viaggiatori olandesi; e pure questi sconcertano il mondo, e quelli lo lasciano star come gli stava.

Dopo desinare son andato al collegio di Clairmont de' gesuiti, dove tengono seminario e scuole pubbliche. I convittori, che essi chiamano «pensionari», son 400 e v'è mescolanza di nobili e cittadini; pagavano prima (cioè 15 anni sono) 100 scudi l'anno per ciascheduno, ora pagano dieci scudi di vantaggio per la stanza. I piccoli dormono in camere grandi in più d'uno; i grandi, dalla rettorica in su, hanno stanze particolari le quali son obbligati a fornirsi di tutto punto. Mangiano parimente i piccoli in un refettorio particolare, i grandi in due gran refettori, e tutti in un istesso tempo. Vestono di sotto come vogliono, di sopra portano certe vesti bige legate sui fianchi, senza però che si congiungano davanti; e in testa portano un berettino di velluto nero fatto a tagliere. Il numero de' scolari che vengon di fuora batterà intorno a 1.700; vi s'insegnano tutte le scienze, dall'infima della grammatica fino alla più alta della teologia.

La biblioteca è assai bella per l'accrescimento fattovi da 7 anni in qua dopo la dotazione fattale da m.r Fouquet di lire 1.000 l'anno da impiegarsi in compre di libri; la prima massa fu fatta di quattro o cinque librerie lasciate da diversi al collegio. L'istoria è la materia più assortita e più piena; la più scarsa è la medicina e la legge. Il vaso non è bello, poiché son due bracci che formano un L e non son tutt'a due all'istesso piano: è ben allegra e luminosa. In testa del secondo braccio v'è tuttavia il ritratto di Fouquet in un gran quadro, che occupa tutta la testata di essa, dalla cima degli scaffali al solaro, di che mi son maravigliato ed edificato grandemente. In uno stanzino, dove s'entra per una porta che di fuori finge uno scaffale di libri a mezzo il secondo braccio, stanno le medaglie e i manuscritti greci e latini. Tra questi i pezzi più stimabili sono un codice antichissimo di S. Giovanni Damasceno, dove son molte cose che non si trovano nello stampato, un Giamblico più moderno, ma collazionato con ottimi ed antichi originali, dove sono tre trattati che in greco non si son più veduti; e quello che avanza tutto è un codice di grandissima antichità, dove son tutti i profeti maggiori e minori. Le medaglie furono messe insieme dal principe Sismondo, il che dee servire per accreditarle. Nella serie d'argento hanno le cose migliori, ed in specie delle colonie greche ne hanno qualche numero delle più rare. D'oro non ne hanno alcuna serie formata.

Son dalla libreria calato a terreno, dove ho veduto in due stanze tutti i più famosi sistemi del mondo ridotti a macchine materiali di straordinaria grandezza, onde l'intelligenza delle teoriche de' pianeti, che tutti si muovono alle loro gite in ciascuno de' suddetti sistemi per via di rote mosse occultamente da contrappesi o da molle, viene agevolata mirabilmente. Tutte queste cose mi ha fatte vedere il presidente Cosart, uomo di prima stima tra i gesuiti di Parigi. Egli ha sopra di sé l'incumbenza dell'edizione de' concili incominciata dal padre l'Abbay, con tutti i decretali, lettere di pontefici ed altro che di mano in mano riesce di cavare dai manoscritti delle più famose librerie d'Europa, e m'ha detto che ne' luoghi più oscuri v'aggiugne qualche piccola annotazione del suo.

 

 

26 maggio.

 

Comincio il giornale della nuova settimana con una pezza curiosa. Scrissi con le seconde lettere di Parigi che avrei aùto gli inventari delle gioie, dell'antichità, delle tappezzerie e degli argenti della corona.

/# Ecco il giudizio uman come spesso erra8: #/

chi me gli aveva promessi con bella maniera me gli ha ancora spromessi. Ora basta: io non mi voglio per ciò disperare e credere in un modo o in un altro di non aver a ottenere il mio desiderio; ma non voglio già raccomandarmi a lui, come si vede ch'egli vorrebbe, benché non diffidi ancora di cavar il tutto dalle sue mani.

Oggi dopo desinare sono stato al Piccolo Borbone vicino al Louvre, così detto dall'esser stato l'antica abitazione del famoso contestabile di questo nome, che assediò Roma per ordine di Carlo quinto e vi morì sotto. Quivi tiene ora il re la guardaroba dei mobili più preziosi della corona, fintanto che colla nuova fabbrica del palazzo si faccia luogo più proprio per conservargli e ordinargli con miglior disposizione a maggior comparsa. Stanno presentemente ripartiti in diverse gran camere o, come si chiamano, magazzini ne' quali è portato di man in mano tutto ciò che si va finendo aux Gobelins. Vi son pertanto i ventiquattro gran bacili tondi con i lor boccali e sostegni, che son veramente cosa nobilissima sì per la ricchezza sì per la bizzarra invenzione di essi sostegni (che qui chiamano brancars), nel fondo di ciascuno dei quali rimane una profumiera. Bellissimi son ancora quattro torcieri (che debbon esser sei), formati di tre statue poste sopra un piedestallo: con le braccia stese in aria reggono il sostegno del candeliere, che rimane alto da terra una testa di vantaggio sopra l'altezza d'un grandissim'uomo. Altri ve ne sono dell'istessa altezza, ma di un lavoro affatto diverso, essendovi mescolata la filigrana e il fogliame delicatissimo. Questi sono retti da figure di mori tutti di ebano sopra piedestallo simile, il tutto adornato riccamente e vagamente d'argento. In quest'istessa camera è un'infinità di tappeti, e fra gli altri uno di 66 once in più pezzi, che deve servire per la galleria innanzi alla grande d'Arrigo IV. In un'altra stanza sono, tra una infinità di placche d'argento, quattro grandissime dov'è rappresentato il re sopra il carro del sole, e reggono tre viticci per ciascheduna. V'è anche un'infinità di vasi, tra' quali quattro grandissimi di un bassorilievo straordinariamente rilevato. V'è poi una quantità grande di statue alte un braccio incirca, che sono i modelli di una mano di statue famose antiche e moderne, tra le quali vi sono quasi tutte quelle del Bernino. Tutto questo è argenteria nuova, oltre alla quale vi sono innumerabili bagattelle e galanterie d'oro e d'argento, che, a meno di farne inventario, è impossibile tener a mente e raccontare.

Mi scordavo del più e del meglio, cioè de' vasi per gli agrumi e de' loro sostegni; ed i vasi sono di tanto peso che in due duravamo gran fatica a sollevargli dalla loro custodia. L'altra cosa è due grandissimi bagni d'argento, in uno de' quali è stato battezzato il Delfino. Questi hanno da esser quattro, ed importa il peso di ciascheduno 24 mila scudi (pare a me), senza la manifattura. I bacili importano mille dobble l'uno, cioè mille scudi il bacile, mille il boccale e mille il sostegno. Scrissi che il lavoro degli ovati che si fanno adesso era assai grossolano, ma tra questi tondi ve ne sono alcuni lavorati a maraviglia; non son già tutti dell'istesso maestro. Gli arazzi ripartiti in più camere dicono essere dugento tinture (per tintura intendono assortimento o seguito di storia) e ragguagliatamente calculano quindici pezzi per ciascuna tintura. Ricchissimi sono i letti antichi e moderni, tra' quali vi sono tutti quelli fatti per i parti della presente regina, essendo il costume di farne uno a ogni parto. Il descrivere questi è cosa impossibile, perché tutto consiste in fondo di velluto o di broccato e in ricami d'oro e d'argento, variando solo o nella ricchezza, che in tutti è grandissima ed a quel segno maggiore ch'ella possa immaginarsi, o nel disegno o nell'invenzione del lavoro. Uno ve n'è tra questi stimabile solo per la rarità, essendo d'un broccato di China col fondo d'oro aggrottescato di figurine d'uomini, d'animali, di piante e di fiori di seta al naturale. V'è anche un superbo parato di Francesco primo, col fondo di velluto pavonazzo, lavorato anch'egli a grottesche di ricamo d'oro e di seta e di contrattagli di tela d'oro e d'argento, ed in mezzo di ciascun pezzo con un gran quadro di raso dove sono, di bassorilievo d'oro e d'argento e di seta, tutti i divertimenti del suddetto re, che dicono essere di disegno di Raffaello.

In un'altra camera vi sono armadi pieni di pezze intere di broccato d'oro e d'argento di Milano, di Firenze, di Lione e d'ogn'altra parte d'Europa dove se ne fabbrica con squisitezza. Un altro armadio è pieno di cordoni e di nappe, di nastri d'oro e d'argento per attaccar quadri e lumiere. Un'altra stanza è piena di lustri di cristallo, tra grandi e piccoli in numero di 150 e questi sono di riserva, oltre quelli de' quali son pieni Les Tuilleries, Vincennes, S. Germano e Versaglia. V'è anche una quantità prodigiosa di specchi, tra' quali sei, due di straordinaria grandezza e quattro più mezzani, donati ultimamente dal cardinal Antonio. V'è finalmente un grand'armadio pieno di vasi di cristal di monte, che son i rifiuti di quelli di Versaglia. Sono però moltissimi (se pur son piene tutte le custodie), ma non ce n'è di grandezza straordinaria. Nell'istesso armadio c'è un palchetto occupato da una nuova compra, fatta i giorni passati per centomila franchi, di vasi d'agate gioiellate, che per la bizzarria de' colori e per la maestria del lavoro, per la galante legatura delle gioie e soprattutto per le figure d'oro onde son adornati, tutte coperte di smalto a maraviglia, ora che sono in mano del re non hanno prezzo. Dirò con quest'occasione che i suddetti cristalli, la maggior parte delle tappezzerie, due o tre letti de' più superbi, il parato di Francesco primo, le migliori statue, i migliori quadri, una quantità di medaglie e di cammei, una mano di studioli e finalmente (come scrissi un pezzo fa) il fiore de' manoscritti orientali e delle rarità della libreria sono tutti spogli del cardinal Mazzarrino, valutati intorno a un milione di scudi, e fatti dare al re, da m.r Colbert, dal duca Mazzarrino per 350 mila franchi incirca.

Son poi andato da m.r Chapelain, dove m'è stato fatto il seguente ritratto: «Il Roberval, di cui fate così gran caso in Italia, si chiama così da un villaggio di Piccardia dov'egli nacque villano intorno a 65 anni sono, ed il suo vero nome è Personier. Venne a Parigi per provarsi alle scuole con animo d'abilitarsi a qualche chiesucola di contado, ma scopertosi in lui un talento maraviglioso nelle matematiche, si fermò in quelle senz'esserne mai più uscito in verun tempo. Non si può negare ch'egli non sia un grandissimo matematico, per quel che risguarda l'aver la testa piena di geometria, ma per l'invenzione egli è infelicissimo, ed il suo spirito non è l'istesso per quel che risguarda le cose fisiche, l'astronomia, benché si sia provato a far un nuovo sistema con parte ritenere e parte rimutare di quel del Copernico. Dalla geometria in poi è ignorantissimo in ogn'altra cosa, e, per l'uso del vivere, rozzo, villano, indiscreto, interessato, sordido, invidioso, insomma del tutto impraticabile. È al presente assai comodo, e nondimeno va leggendo Euclide per le case facendosi dare tre dobble il mese per tre soli giorni della settimana, ne' quali non sta più d'un'ora guardando a ogni poco la mostra ch'ei mette subito in tavola per non s'ingannare. Se poi uno scolaro impara un poco troppo presto, son tiranniche le maniere ch'egli usa per ritardarlo: è finalmente un uomo da desiderar di conoscerlo, ma non di praticarlo».

 

 

27 maggio.

 

Stamani sono stato a visitare l'abate de Strades, figliuolo mezzano del conte di questo nome, che è ambasciatore in Olanda. È giovane ben fatto e vivace e, per quel che potei riconoscere in una visita, sa mostrare stima e rispetto delle persone. Ha viaggiato in Italia in compagnia dell'abate Quinsay e di m.r de Rochefocauld, e furon essi, ai quali parlando il papa con un sciocco trasporto di passione contro il duca di Créqui dopo il trattato di Pisa, gli risposero impertinentemente facendolo stranamente alterare. Mi disse grandissimo male del cavaliere suo fratello che vive all'Aia, esagerando le sue pessime inclinazioni, aggiugnendo avergli pronosticato che un giorno strapperebbe ancora un capestro. Me lo figurò per un ragazzo dato straordinariamente al bere e al fumare, incapace di far cosa buona, ingannator di suo padre. lussurioso e in sustanza disposto a far di tutto: il solo stare a cavallo esser la cosa che a questo mondo ei facesse bene.

Dopo desinare sono stato da madama la Douariera, dov'è anche sopraggiunta Mademoisella: i discorsi sono stati generali; e poi son andato con amici a spasso fuori della porta a S. Bernardo dove ora comincia a venir gente, finendo col maggio il concorso al passeggio della regina.

 

 

28 maggio.

 

Stamani sono stato a S. Germano per far reverenza al re, com'è seguito al suo levare, per mezzo del marescial di Gramont. Le cerimonie e la maniera del suo vestire, della sua messa e della sua tavola le passerò sotto silenzio, essendo cose notissime, come solite a sentirsi ogni giorno da qualunque torna di Francia. Dopo desinare son andato a S. Clou per reverir Monsieur e Madama, secondo il concerto presone col signore di S. Lorenzo che vi si doveva trovare col Nunzio per introdurlo alla sua prima visita di Madama, impedita finora di riceverlo dall'afflizione della pericolosa malattia della piccola Mademoisella, al presente ridotta in perfetta salute.

S. Clou è un villaggio posto sulla pendice d'una collinetta, discosta per brevissimo tratto di pianura dal corso della Senna, che quivi passa sott'un bel ponte di pietra viva, che prende il suo nome dal villaggio. Quivi, intorno alla metà della costa risiede l'abitazione di Monsieur, che non può dirsi palazzo, ma nobile e gentil casamento. Monsieur vi ha fatto molto per quel che risguarda l'adornamento dell'abitazione e quello del giardino, il quale ha anche in parte accresciuto. Io non ho visto se non l'appartamento di Madama, il quale è ricchissimo d'oro, all'usanza di Francia, e mobiliato più vagamente che riccamente, cioè a dire di casse, studioli, di vernici d'India, accatastati di porcellane e di buccheri, specchi, lustri di cristallo e simili cose, senza sontuosità d'argenti. La sala è soprattutto galantissima per essere dalla sommità della volta fino al pavimento tutta pittura e oro, ma pittura di grottesche, arabeschi e chiariscuri lumeggiati d'oro.

Il giardino è bellissimo, essendone parte in monte e parte in piano. Il primo è salvatico e il secondo è più aprico, essendo tutto perterri e fontane: arriva questo con un lungo stradone sino al fiume, lungo il quale rimane un bellissimo passeggio. Era anticamente famoso il giardino di S. Clou per un getto d'acqua d'ottantasei piedi d'altezza. Questo è nel salvatico, in mezzo ad un gran vivaio tutto intorniato da tre parti di piante altissime, di sopra la cima delle quali dicono vedersi, venendo da Parigi, saltellare la nappa che fa detto getto nel ricadere. Io non ho difficultà a crederlo, benché oggi non salisse non so per qual accidente alla sua solita altezza. Considero bene che, attesa la sottigliezza dello spillo, che non credo assolutamente che sia più d'un soldo d'acqua, non è cosa tanto maravigliosa; e senza dubbio9, a ridurre dell'istessa grossezza le girandole di Frascati, si averebbero altezze anche molto maggiori. La nuova cascata fatta da Monsieur a mezzo il monte, dove appunto finisce il salvatico, è veramente ricchissima d'acqua e vaghissima, né altro le manca che la perennità, poiché, per esser d'acqua forzata, non dura se non dieci ore.

Or quivi è stato il mio stordimento quando, trovandomi a mezzo il piano a contemplar la cascata, ho cominciato a vedere scappare in sul piano di essa per ogni parte del bosco e del monte i cavalieri della corte in grandissima quantità, adornati di piume e di nastri, e di a poco comparire il re sopra una spezie di carro trionfale, tutto dorato e dipinto, guidato da lui medesimo, che sedeva tra Madama e la principessa di Monaco, e tutto il resto del carro era pieno di dame, fra le quali era la Valiera, madama di Montespan, madama de Siange sua sorella, Monsieur e il cavalier di Lorena: dietro seguivano due altri calessi di broccato scoperti, pieni di dame e guidati da cavalieri. Questa comparsa uscita dal bosco, e dopo il breve passaggio davanti alla cascata tornata a rinselvarsi, mi ha risvegliata un'idea così viva d'una scena dove comparisca in macchina un carro di deità, che quasi mi pareva di trovarmivi presente, e non sono uscito dalla mia giocondissima estasi se non quando, rimontato in carrozza, me ne son tornato a Parigi.

 

 

29 maggio.

 

Sono stato a desinare da m.r di Montmort, e v'erano ancora Launoy, Thevenot, Raynier, Ménage, l'abate Cassano e Sorbière. Dei primi quattro ho altre volte discorso. L'abate Cassano è un giovane di buon garbo, savio, compon bene in franzese, è uno dei quaranta dell'Accademia franzese istituita per la lingua e che da molti anni in qua travaglia con poco frutto all'edizione del vocabolario. Egli è inoltre erudito, affabile, ben creato e modesto, e medita fra qualche tempo di viaggiare in Italia. Sorbière è quell'istesso che stampò gli anni addietro quel suo Viaggio d'Inghilterra, dove parlò con sì cattive notizie degl'interessi d'Wllefeldt e con sì poco avvedimento e rispetto della risoluzione che prese il re d'Inghilterra di mandare in Danimarca la moglie di esso Wllefeldt, che obbligò il re di Francia a mortificarlo con qualche mese d'esilio. L'averlo visto in casa del signor di Montmort, che ha ottimo gusto nella scelta degli amici suoi, mi fa andar con qualche riguardo a canonizzarlo per quello che effettivamente mi parve, cioè per un bel goffo. Viene egli di Roma assai di fresco, dove disse tra l'altre cose che il cardinal Ruberti ha grandissima stima ed applauso alla corte, e che per la natural facondia del dire passa per un cardinalone di pezza. Questo solo giudizio basterebbe ad un altro per formarne uno poco avvantaggioso per lui: ma avendo egli soggiunto che Sua Eminenza gli aveva dato un lautissimo desinare, voglio credere che nel giudicar di lui la forza della gratitudine avesse un poco infranto nell'integrità della giustizia.

Dopo tavola siam andati in libreria, che è molto grande e copiosa e bene assortita, e di più galantemente adornata sopra gli scaffali di teste e figure di bronzo, di cose impietrite, di nicchie, di corni e d'altre curiosità naturali. Quivi è comparso un gesuita chiamato il padre Moine, stimato infinitamente dall'universale nella poesia franzese, benché quelli di gusto più raffinato lo taccino di troppo ardito nelle metafore e nei traslati, e di troppo vago d'arricchire tutti i suoi versi di paroloni gonfi ed insomma di tempestare ogni cosa d'ambra, di rubini, di stelle, di smeraldi e di perle. V'è anche venuto un tale m.r Bertet, fratello d'un gesuita di questo nome, stimato assolutamente l'uomo, se non di più profonda, almeno di più varia e più universal letteratura di tutto il Regno. Questi è presentemente in Roma, di dove scrive a questo suo fratello (che l'ha detto a qualcuno della conversazione) che ha trovato l'antico paese de' latini divenuto affatto barbaro, e tutta quella poca di cognizione che s'ha in Italia delle cose fisiche è ristretta in Firenze. Di a un poco è sopraggiunto il Pecquet, famoso anatomista e scopritore dell'inserzione dei vasi lattei toracici nelle vene succlavie per l'infusione del chilo nella vena cava, il quale a vederlo non par possibile che gli abbia a esser quel gran uomo che gli è, essendo uno sparutello di pochissima apparenza. Nell'andarmene è venuto m.r Denis, ancor egli buono anatomista, ed è quello che ha fatto qui in Parigi la trasfusione del sangue d'un vitello in un pazzo, che guarì della pazzia e morì in capo a due mesi, o di disordini o, com'egli ha preteso di provare in una lettera stampata diretta al segretario della Società Reale di Londra in sua giustificazione, di veleno datogli dalla moglie, a cui non tornava conto per qualche suo interesse d'averlo savio.

Di qui son andato a far una visita alla marchesa di Tarey, per la quale avevo lettere dell'abate Marucelli. V'ho trovato la figliuola, che è maritata e non bella; la marchesa però m'è riuscita una donna di molto garbo e nel discorso, parlando di Firenze, ha toccato molti tasti delicati con grandissimo avvedimento, con grandissimo rispetto e con grandissima discretezza; passo le particolarità, perché non ce n'è stata nessuna di tal natura che metta conto il diffondercisi.

 

 

30 maggio.

 

Stamani l'ho consumata per le botteghe d'intagliatori di sigilli e di cifre, ed ho trovato uno che in gioie intaglia forse bene quanto quel famoso di Vienna, ed il prezzo non fa paura. Dopo desinare sono stato a Nostre Dame alla funzione del Te Deum, che il re ha fatto cantar per la pace, sopra di che non m'estendo per non entrar nella bandita delle gazzette. Son poi stato tirato dalla vicinanza e dall'ora ancor calda all'assemblea di m.r Ménage, dove ho fatto voto per liberarmi dalla vessazione di avere a legger mai sempre quel suo benedetto libro d'origini, o piuttosto d'indovinelli toscani, col quale m'ha tolto a perseguitare, senza lasciarmi mai mettere il becco in mollesentire quel che gli altri dicono. V'ho trovato il duca di Montausier, cavaliere, non meno stimabile per la sua ricchezza, che monterà a 130 mila lire di rendita, che per la sua erudizione, che nelle cose che risguardano la lettura dell'istoria, l'intelligenza de' poeti ed il buon gusto della lingua latina non è punto ordinaria. Egli è quello di cui si dice che alla venuta del legato, cui era destinato a servire, avendo detto non so che cosa in latino a monsignor Ravizza, e questo rispostogli con un sollecismo, dicesse: «Veniunt e Latio et nesciunt loqui latine». Mostra <d'essere> d'età sopra 50 anni, è nondimeno ben fatto e mostra <d'essere> forte e robusto; si può dir cortese, ma con qualche contegno: mi dicono ch'egli sarebbe un garbatissim'uomo e fusse presentemente considerato quant'ogn'altro per un grand'impiego, se non avesse tanto lo spirito della contradizione che alle volte debbe renderlo insopportabile.

Quel che si sia detto nell'assemblea non lo so, perché il mio maestro non m'ha dato mai vacanza dalla scuola degl'indovinelli: solo quando egli non vedeva ho dato un po' d'orecchio a uno, che raccontava esserci alcuni Olandesi i quali hanno promesso a m.r Colbert un'invenzione per la longitudine, più infallibile dell'oriolo di m.r Huygens, dato ultimamente a provare al duca di Beaufort e riuscito alcuni anni sono mirabilmente al capitano Holmes inglese in un viaggio d'un anno. M.r Colbert gli ha rimessi all'Accademia de' fisici, ed il re ha promesso, quando l'invenzione sussista, ventimila lire a quello che tra essi è il capo, e centomila franchi da ripartirsi tra i suoi compagni, acciocché abbiano campo di fornir con maggior liberalità tutte le nazioni di tale strumento, a benefizio delle quali vuol Sua Maestà che si riveli il segreto, amiche o nimiche che le siano al presente o ch'elle possan esser nell'avvenire.

 

 

31 maggio.

 

Oggi sono stato a S. Germano per veder la processione del Corpus Domini, e, toltane la sodisfazione di veder distese le più superbe tappezzerie della corona (parlo dell'antiche) e particolarmente il trionfo di Scipione, i frutti della guerra donati dal defunto re di Spagna nell'ultima pace, e i dodici mesi stati già della casa di Guisa, che son maravigliosi, mi sono accorto dalla mediocrità della pompa che in questo paese bisogna aver maggior premura di veder le funzioni della corte e della guerra, che quelle della Chiesa.

 

 

1 giugno.

 

Per esser giorno di posta l'ho consumato a scrivere.

 

 

2 giugno.

 

Dopo desinare sono stato per la seconda volta all'Accademia de' pittori dove s'è esaminato un quadro di Poussin, nel quale tanto quello del discorso quanto i pittori nel dir la loro hanno trovato molto da dire. L'esercizio mi par sempre più bello ed utile, e lo sarebbe maggiormente se si facesse con un poco d'ordine, poiché presentemente son otto o dieci a parlare in un istesso tempo, e non si rinvien nulla di quel che dicono. Ho poi finita la giornata da m.r Conrard, dove s'è discorso di belle lettere. Mi scordai i giorni addietro, quando parlai dell'agate e de' diaspri del re, di far menzione del pezzo più riguardevole. Questo è un vaso d'elitropia, che tira all'ovato, ma all'ovato irregolare, secondo che è convenuto al maestro per accomodarsi alla figura della pietra. È lungo da un braccio e un quarto, alto poco più di mezzo, e largo a proporzione; la sua figura è d'una navicella, e dicono esservi stato battezzato Carlo quinto. Può essere ogni cosa, ma non c'è chi ne sappia un vero.

 

 

3 giugno.

 

Stamani domenica non ho fatto altro che andar alla messa, e oggi dopo desinare a spasso al giardino di Rambouillet, che è uno dei luoghi dove la gente si rauna di questi tempi per divertirsi. Egli è fuor della porta di S. Antonio, a meno di mezza strada fra Parigi e Vincennes.

 

 

4 giugno.

 

Avanti desinare sono stato a casa un mercante chiamato Ciresier, di cui Poussin, pittore insigne, fu amicissimo mentre visse e gli lavorò per buonissimo prezzo dieci pezzi di quadri, de' quali quest'uomo per gratitudine e per tenerezza non s'è mai voluto disfare, avendone ricusato quarantamila franchi, che alle sue tenui facultà avrebber fatto notabile accrescimento. La maggior parte son paesaggi con qualche figura, e fra questi vi son due pezzi assai grandi con la morte di Focione, che sono una cosa bella: bello è ancora un suo ritratto fatto da lui medesimo allo specchio, e bellissimo è uno svenimento d'Ester davanti al re Assuero. Dopo desinare son'andato a vedere in casa m.r <...>, maestro di casa del re e subalterno di m.r Sanguien, altri pezzi dell'istesso m.r Poussin, che sono assolutamente delle belle cose che gli abbia fatto. V'è una Madonna con un San Gioseppe, un Bambino e un San Giovanni, di tanto più stimabile quanto ch'e' son fatti in grande, nel qual genere Poussin ha fatto poco e non sempre bene. Vi son poi, in sette quadri d'otto palmi di lunghezza e intorno a quattro d'altezza, i sette sagramenti della Chiesa, espressi con tanta nobiltà e con tanto giudizio che quelli che sono a Roma fatti dall'istesso autore per il cavalier del Pozzo non credo che faccian lor paura. Tra gli altri son mirabili il matrimonio e la cresima, ma l'estrema unzione passa indubitatamente ogni credere. Si diletta quest'uomo di pittura ed ha una camera piena di copie benissimo fatte delle migliori cose di Raffaello, ed i modelli di cera d'una mano delle più famose statue di Roma.

Di qui son andato a veder la casa di m.r Ervat, rifabbricata da lui sui fondamenti di quella d'Espernon, ch'egli comprò e gettò a terra trovandola incapace, benché stata altre volte assai ampia abitazione d'un favorito d'un re, d'alloggiare un semplice intendente di finanze. Quest'uomo è ugonotto ed originario di Lione, fattosi grande com'ognun sa sotto il cardinale Mazzarrino e Fouquet col maneggio del regio erario. Al saldo de' conti è restato creditore del re di due milioni, ma questi gli son'andati in conto di tassa, e anche ha messo fuori qualche cosa del suo, benché sia stato trattato con maniere più miti e discrete di tutti gli altri, atteso il rilevante servizio prestato al re quando svoltò il Turena dal principe a seguitare il suo partito, non tanto per aver esso Turena quanto le sue truppe; ché egli trattenne queste con la forza del danaro, onde il maresciallo non passò dalla parte del principe con altro che con la persona. Si troverà in ogni modo al presente da 50 mila lire di rendita, benché abbia giuocato più oro ch'ei non pesa tre volte, e il suo figliuolo, che al presente si trova in Roma, comincia ancor egli a far la sua parte avendo perso da 50 mila scudi, benché altri dicano più del doppio. Ha maritato una sua figliuola al marchese di Gouvernet, uno de' principali signori del Delfinato, ugonotto ancor egli e ricchissimo, ma rozzo, solitario e salvatico, che non sa uscire delle montagne del suo paese dove fa notomia di quante donne gli danno tra mano. La moglie non vi vuole stare ed egli non vuole stare a Parigi, benché potesse farlo abitando nella bella casa del suocero che ne sarebbe contentissimo. Vi viene una volta l'anno a impregnar la moglie, e subito che gli ha fatto la sua faccenda se ne torna a casa. Ella è bella e spiritosa: se ne sta in casa il padre, si divertisce e non sento che dia da cicalare. L'abitazione è nobile e comoda ed è riccamente mobiliata; un prato osservai che è una bagattella, ma per la state è galante: questo è un semplice ermisino mavì lavorato a opera con un fil d'oro di Milano andante. Vi sono due stanze che nel mezzo della volta hanno due pitture di Mignard, una a fresco e una a olio, tutt'a due belle, ma la prima più dell'altra. Io son rimasto stupefatto né potevo credere che fossero dell'istessa mano che ha dipinto la cupola di Val di Grace, perché effettivamente c'è la differenza che c'è dal cattivo, se non dal cattivissimo, al buon assai, o s'attenda il disegno o il colorito. E in sustanza bisogna concludere che non è l'istesso far un quadro in una stanza dove non s'alterano le proporzioni del naturale e il trasportar le medesime in uno spazio vasto ed altissimo com'è la cupola d'una chiesa. Finii la giornata a passeggiar nel giardino del palazzo reale, dove intesi diverse cose in un discorso, registrate nel foglio a parte.

 

 

5 giugno.

 

Stamani e oggi dopo desinare l'ho impiegato tutto fra le botteghe di merciai e sarti; ciò nondimeno è stato con acquisto di qualche notizia che m'è arrivata assai nuova, avendo imparato che c'è modo di spendere in una semplice guarnitura di nastri di seta per un abito cento luigi d'oro. È ben vero che di queste ne spaccian poche in capo all'anno, ma il lusso qualche volta ci arriva. Ho anche veduto la nuova moda de' merletti di seta dopo la prammatica delle trine d'oro e d'argento. Il fondo è una rete di seta, per lo più argentina, con l'opera ricamata di vergole di vari colori, che quasi tutti battono in nero, mavì, pavonazzo e ranciato chiaro, ed i più ricchi hanno sopra un riporto di contrattagli di raso di vari colori, o a rabeschi o a fiori al naturale ombreggiati con acquerelli e contornati col suddetto ricamo di vergole. I prezzi arrivano a quindici e venti scudi l'uno. Ho anche veduto la moda delle lenzuola da state fatte di tela d'ortica finissima, la quale si pretende che tenga un fresco maraviglioso.

 

 

6 giugno.

 

Oggi sono stato nel borgo di S. Marcello in casa d'un tal m.r Labice, maestro di scuola, a vedere in un suo giardinetto una grotta fatta a uso di fontana, che sta chiusa in un piccolo stanzino. Il massiccio è fatto di spugne e di tartaro di diverse spezie, ma quello che la rende considerabile è una ricchezza straordinaria di gran conchiglie di madreperla e d'altri nicchi assai rari, di buone branche di corallo rosso e nero, di grossi pezzi di cristal di roccia e d'altre pietre assai fini, come corgniole, lapislazzuli, diaspri, agate, acque marine e amatisti. Ci ha poi condotti ad alto a farci vedere una grande abbondanza di tutte le suddette cose, ed in specie di rocche di cristalli e di marcasite di grandezza assai rara, oltre una quantità di grandissimi pezzi d'un certo tartaro giallo ritrovato casualmente qui a Parigi in una cava di pietre sotto il convento de' Carmelitani Scalzi al tempo del cardinale Richelieu. Pretende egli di disfar la grotta già fatta, e con l'aumento dei suddetti materiali refabbricarne un'altra quattro volte più grande, a fine di farne venir voglia al re, e così disfarsi con gran guadagno d'una cosa inutile per lui, essendo oramai molto vecchio. Di quivi sono stato a vedere il giardino de' semplici, preteso qui il più bello d'Europa; se egli sia non lo so, perché né io me n'intendo né v'era chi me ne desse a conoscer le rarità. Il resto della giornata l'ho speso in visite di dame senz'altra particolarità.

 

 

15 giugno.

 

Stasera son tornato dalla mia villeggiatura di tre giorni, nella quale niun'altra cosa ho veduto di particolare che la villa di Maison, detta così da m.r de Maison che n'è il padrone e che a costo di tutto il suo avere l'ha fabbricata con grandissima magnificenza. Non mi allungherò sulle relazioni rimettendo il sodisfare più ampiamente all'altrui curiosità col libro altre volte accennato, dove sono le vedute delle case e dei giardini più riguardevoli di questo contorno. Dirò solo in generale che l'architettura è di Mansart, e dal Bernino è stato riputato l'edifizio di miglior gusto di quanti egli ne ha veduti in questo paese. Non lascia però d'aver ancor egli i suoi difetti, de' quali il maggiore si è che la fabbrica delle stalle, che forma un'ala affatto staccata dal palazzo (la quale non è per anche accompagnata dall'altra parte), è quasi maggiore e più magnifica di esso palazzo. La figura, o per dir meglio la disposizione delle poste de' cavalli, che son da cinquanta, è assai stravagante, non essendo tutte insieme ma repartite a dieci, a sei, a quattro per luogo sotto diversi portici, i quali chiudono in mezzo sotto una cupola uno spazio assai ampio da far il maneggio al coperto, da due facciate del quale, per alcuni balaustri, dove rispondon le teste di dieci e dieci cavalli (che tant'hanno quivi le mangiatoie), si vedono comodamente le operazioni di quegli che travagliano sotto il maestro; onde per questo verso vengono ad aver doppia scuola, imparando con la vista e con l'esercizio. In testa di questo spazio v'è un grandissimo portico per l'esercizio di correr lance e altre simili operazioni. È anche sontuosa la fonte da abbeverar i cavalli, essendo formata ad uso di grotta di tartari e spugne con figure d'uomini e di cavalli, tutti formati di nicchi alla grandezza del naturale. Tutte le divisioni delle porte invece d'esser di legno son di ferro, e tutte le sponde delle mangiatoie (che son tutte in isola acciò si possano rigirare e darsi il fieno e la biada in faccia ai cavalli) son soppannate di rame.

In tutta questa fabbrica non si vedemattonebianco di calcina, ma sole lastre di pietra viva. Non c'è tanta singolarità nella casa, la quale è comoda bensì e ben ripartita, ma non v'è molta abitazione. La cosa di maggiore pregio è due cancelli di ferro che chiudono le due porte d'avanti e di dietro. Questi dicono esser costati ventimila franchi, che quando fosser quindici non sarebber pochi. Son fatti da due maestri, e l'uno cede infinitamente all'altro nel disegno e nella finezza del lavoro. Son tutti grottesche e arabeschi, così il cancello come l'arcata che chiude tutta la luce dell'apertura, ma nell'uno la finezza con la quale son lavorati i fogliami e alcune vipere avviticchiate insieme è cosa veramente di stupore, tanto che il Tofani ci troverebbe da imparare. I mobili son ricchi ma non sontuosi, toltone un letto che fu della regina Maria, di ricamo d'oro ricchissimo, con tamburetti, coperte de' tavolini e due portiere compagne che servono appunto a parar le due testate dell'alcova; quasi tutte l'altre son parate d'arazzi, e v'è ragionevole quantità di porcellane.

V'è un gabinetto (pare a me ottangolo) tutto fatto di specchi, toltone i pilastri negli angoli, dove gli specchi son commessi. Pende nel mezzo un gran lustro di cristallo, che a chi sta nel centro apparisce treplicato in ogni specchio come anche la figura di quel tale, e non solamente vi si vede il riflesso che ciascuno specchio mostra del gabinetto, ma, per ripercuotimento scambievole di tutti gli specchi infra loro, si vede in ciascuno una fuga di gabinetti con una quantità innumerabile di lustri, che di notte allo splendor delle candele bisogna che apparisca un incanto. Quivi tutti i mobili consistono in tante basi di legno dorato quante sono le faccie del gabinetto, davanti a ciascuna delle quali sopra ognuna di esse basi vi son l'un sopra l'altro quattro gran guanciali di raso nero con fiocchi d'oro alle cantonate, e con un semplice gallon d'oro che rigira la cucitura. Il color nero e la foggia del guarnire, così <...> misteriosa, e il gabinetto, se potesse parlare, direbber forse aver veduta qualche bella coppia giacersi nuda sull'ampio letto formato dall'accostamento di sì fatti arnesi, senza che la ruvidezza dell'oro sepolto nelle commessure togliesse nulla della morvidezza del raso.

Il sotterraneo della casa è benissimo scompartito, e sono degne di memoria alcune cisterne, nelle quali pretese un cappuccino di poter conservar il vino fuora de' vasi senza pericolo di guasto. Le cisterne si fecero secondo il suo consiglio: il vino vi si messe e il vino si guastò, onde al presente vi si tiene, ma nelle botti. Il maggior difetto che abbia osservato in questa casa è che le basi delle colonne del second'ordine escono del capitello di quel disotto, onde vengono in parte a posare in falso intaccando dell'aggetto del cornicione. Soprattutto bellissimi son gli accessi per cui si viene da molte parti al palazzo, e popolatissima è la Garenne, che così chiamano il parco de' conigli, dall'affitto del quale cava il padrone sopra duemila franchi. La fine di questa villa sarà il cader nelle mani del re per un boccon di pane, tornandogli comodissimo per la gran vicinanza di S. Germano da cui non arriva a esser discosta due piccole leghe. Come ho detto da principio, m.r de Maison s'è talmente spiantato per condur questa fabbrica, che al più alla sua morte converrà ai figliuoli il disfarsene. Egli er'uomo di trentacinquemila lire d'entrata, ma il giuoco, le donne e la villa l'hanno ridotto in istato così miserabile per l'avere, come l'età, la corpolenza e qualche malattia abituale per la sanità.

Il resto di questi giorni l'ho speso in villa d'un amico mio in domestica conversazione d'alcuni suoi parenti.

 

 

<16-22 giugno.>

 

Oggi, dopo che sono uscito da madama di Chavigny, son andato da m.r Conrard e da m.r Chapelain; per tutto ho trovato che si discorreva della fuga o sia ritirata di madama Mazzarrina. Dal primo è venuto un uomo di molto garbo e che discorre con gran giudizio: m'ha detto che il motivo della pazza risoluzione della duchessa è sicuramente venuto per sfuggire il contradittorio, al quale doveva trovarsi ieri nella gran camera del parlamento insieme col marito, sopra la reintegrazione dei beni ch'ella pretende da esso in virtù della pretesa separazione conceduta loro per arresto di esso parlamento, con questa clausola però, che dovesse ricongiugnersi ogni volta che al marito gliene fosse presa la voglia; che conoscendo ella il proprio disavantaggio nella fermezza delle sue ragioni, s'era senza dubbio attenuta a questo stravagante e licenzioso partito sui consigli delle sorelle, guidate forse, più che dalla stravaganza del loro genio irragionevole, dall'interesse che si figurano dal rigirar talmente gli affari tra il duca e lei, che, fatto luogo all'intero divorzio, s'abbia a produrre per necessità il testamento del cardinale, in cui si pretende che sieno tali incompatibilità, che la roba caduta tutta nelle mani del duca, come il legittimo erede, vada repartita egualmente tra esse, come da persona morta ab intestato. Di qui è passato a dirmi, secondo le diverse interrogazioni che gli sono di man in mano andato facendo, che è indubitato che del danar contante del cardinale Mazzarrino il duca non ne ha veduto la metà, che l'intero non è palese ad altri che al re e a m.r Colbert, che i mobili comprati dal re per 450.000 franchi vagliono senza dubbio due milioni; che altre cose preziose del cardinale son passate nella guardaroba del re sotto nome d'impresto o di curiosità, che non son mai tornatetorneranno, che i beni stabili dell'eredità paterna del duca, valutati sopra 200.000 franchi d'annua rendita, al presente non arrivano a 25.000 scudi; che dei fondi lasciatigli dal cardinale, con tutto che nulla di considerabile sia stato alienato, con tutto ciò si fa conto che in brevissimo tempo la casa Mazzarrina abbia a contarsi tra le più disastrate di Francia; che un milione preso pochi mesi sono a 10 per cento fu dissipato in due mesi senza vedersene nemmeno esteriormente il fumo, ed ora pagarsene 10.000 lire l'anno d'interessi, che congiunte a quelle che si pagano per altre partite di debiti contratti dopo la morte del cardinale divorano la miglior parte dell'entrate del duca; che le cagioni di tal dilapidamento (a lasciar da parte le pie interpretazioni di coloro che l'attribuiscono secondo il solito costume a maledizione del cielo) si riducono non c'è dubbio al mal governo del duca e alla prodigalità della duchessa in primo luogo, ma la verità essere che le limosine, che di continuo cavano delle mani di quel buon signore per somme, preti, contemplativi e gesuiti hanno dato e danno il colpo mortale agli interessi della sua azienda.

 

 

23 giugno.

 

Oggi dopo desinare sono stato, dopo alcune visite di complimento, a veder la gente che si bagna nella Senna fuor della porta S. Bernardo, con mio grandissimo gusto. Subito fuor di porta si trovano sul fiume diversi legni collegati insieme a guisa di foderi, su' quali si spoglia tutta la canaglia, che per bagnarsi non si discosta molto dalla città, benché non lasci per questo d'esservene molta tra i ponti di Parigi. Quivi parimente hanno il lor bagno i lacchè, i quali mentre i padroni passeggiano si spogliano quasi tutti, quando non fosse per altro che per dare un tuffo e rivestirsi. Più lontano dalla porta si comincia a trovare una quantità innumerabile di barchette, nelle quali entra chi vuol bagnarsi, lasciando la carrozza sulla più <vicina> riva del fiume e facendosi traghettare dall'altra, come più solitaria e più ombrosa. Or quivi, parte vicino a terra e parte verso il mezzo dell'alveo, dove l'acque corron più basse, son piantati diversi casellini, formati di quattro pali fitti in quadro e coperti di lenzuoli bianchi, dentro i quali si ricovrano quei che si bagnano, o siano uomini o donne. È ben vero che gli uni non si mescolano con gli altri stando in acqua: ma quando le donne sono entrate fino alla gola, allora gli uomini s'accostano con le lor barche dalla parte che rimane aperta dei casellini, e di quivi le trattengono co' lor ragionamenti. Chi vuol usare finezza anche in tal caso il divertimento de' violoni, facendone venire il concerto in una barca separata. Se anche gli uomini voglion bagnarsi, si slontanano; è ben vero che quando essi e le donne si rivestono, ciò fanno nella medesima barca tirando a traverso una cortina di tela bianca, la quale non voglio credere che sia così pesante che qualche piccolo venticello non l'agiti e lasci correr la vista dall'una parte all'altra, anche prima che ognuno sia finito di rivestire. Intanto che le carrozze aspettano, cavalli e cocchieri e lacchè tutti si bagnano: questi si spogliano nelle carrozze, quelli sulle cassette, e così ignudi altri nuotano, altri cavalcando i cavalli staccati gli guazzano. Onde fa bellissima vista la varietà di tanti oggetti, vedendosi la ripa del fiume destra piena di carrozze, venendo le dame durante la bagnatura a far quivi il passeggio, il fiume pieno di notatori, di casellini e di barche coperte ancor esse di bianco: per lo che a qualunque ha letto l'Arcadia del Sannazzaro non è possibile che in un tal luogo non se gli ecciti una vivissima idea degli innocenti costumi di quel delizioso paese.

Più al tardi son andato sulla piazza dell'Hostel de Ville a vedere i fuochi che per la festa di S. Giovanni son accostumati di fare in Parigi a spesa della città. Era una macchina assai positiva, eretta davanti al portone del palazzo, ed i fuochi erano assai modesti. Davanti all'altre case s'abbruciavano botti e fastella, dei quali dopo estinta la prima fiamma, ho veduto uomini e donne e ragazzi d'un lentissimo passo girar intorno alle braci accese, ed ho inteso farsi ciò per un'antica superstiziosa devozione.

 

 

24 giugno.

 

Stamani domenica, sentita messa di buonissim'ora, son andato a Charenton per stare a tutto l'esercizio della mattina e quello del giorno, come ho fatto. Nell'andare ho inteso che vi son due strade, una delle quali gli ugonotti non fanno mai colle carrozze, poiché essendo sotto quasi tutta vota per le cave della pietra, non vogliono che, se il diavolo fa mai sfondare il terreno, s'abbia a predicare su tutti i pulpiti di Parigi e vender su tutte le cantonate il miracolo d'una carrozza d'ugonotti che nell'andar al falso culto di Charenton furono profondati. Charenton è un piccolo villaggio alla fine del quale v'è la chiesa della religione, intorniata da una parte da due cimiteri e dall'altra e di dietro da un gran cortile, tutto piantato di alberi da far ombra. La chiesa è assai grande e alquanto più lunga che larga. All'intorno ha tre ordini di finestre invetriate che rispondono sopra tre diversi piani, formati del piano terreno, del pavimento e di due ordini di logge che rigirano intorno tutta la chiesa, alle quali si va per quattro scale assai comode poste negli angoli della fabbrica, la quale, per esser tutta in isola, ha quattro porte nel mezzo delle quattro facciate. I banchi per le donne sono nel mezzo il d'intorno, e le logge sono occupate solamente da uomini: la situazione della cattedra, della sedia del lettore, i banchi degli anziani intorno di esse sono del tutto simili all'altre chiese de' riformati d'Olanda. Da principio il lettore ha letto intorno a una mezza ora della Bibbia; di poi è entrato il ministro, che dopo una breve orazione e una cantata d'un salmo ha cominciato una predica d'un'ora e tre quarti, nella quale sopra un testo del Testamento nuovo ha lungamente menato il can per l'aia amplificando, esagerando, spesso ridicendo le medesime cose e mai non provando nulla di quel che ha detto. Questi è m.r de Claude, di cui ho inteso dai medesimi ugonotti che scrive altrimenti ch'ei non parla, e che assolutamente per metter in carta è la prima testa ch'egli abbiano, come dimostrano alcune sue opere contradette a m.r Arnauld di Porto Reale. Finita la predica e <le> solite preci, s'è cantato un altro salmo, dopo il quale s'è fatto un battesimo di cui l'ordine è stato tale. È entrata la donna che teneva il bambino in braccio nel mezzo de' banchi degli anziani, e volta verso il ministro ha ascoltato una mano d'orazioni ch'egli ha detto sopra il fanciullo; di poi è sceso e, presentatosi uno degli anziani con una mesciroba d'argento piena d'acqua e uno sciugatoio in mano, egli ne ha presa un poco nella palma della destra e, dopo averne aspersa la faccia del bambino, ha detto la formula ordinaria con queste tre parole: «Antoine, je te baptize au nom du Père, du Fils et du Saint Esprit. Amen». Di poi, rimontato in cattedra, ha invocato la benedizione di Dio sopra il popolo ed ognuno è stato licenziato.

Veramente egli è un danno che questa gente non ammetta il merito delle buone opere, perché si potrebbono lusingare d'acquistarne molto con lo scomodo ch'egli hanno, non solo per aver a andarelontano da Parigi, l'inverno sepolti nel fango e la state arsi dal sole e affogati nella polve, ma per l'angustia del villaggio e delle miserabili osterie ove convien loro sfamarsi per aspettar l'ora dell'esercizio dopo desinare. Io ho mangiato in una stanza alquanto maggiore della tavola e della finestra, per la quale entrava tanto sole che, non potendo capir tutto sul pavimento, parte ne rimaneva sulle muraglie e parte sopra di me e sopra degli altri che stavano all'istessa tavola; eppur è certo che la qualità di forestiero in tutti i generi aveva obbligato gli amici miei, che mi ci hanno accompagnato, a farmi godere delle maggiori comodità possibili a trovarsi in quel luogo. Appena mangiato un misero boccone è sonata la campanella e siamo corsi alla chiesa, dove l'ordine dell'esercizio è stato il medesimo di stamani, toltone che dopo il sermone e le preghiere non c'è stata la seconda cantata di salmo.

Il ministro che ha predicato è il primo ch'egli abbiano per la cattedra, chiamato monsignore: e veramente, benché abbia forbottato malamente noi altri cattolici sopra la materia de' sacramenti, in ogni modo m'è dispiaciuto assai quando egli ha finito ed ho risoluto d'andarlo a visitare e di farci amicizia, tanto più ch'egli è stato a Firenze (pare a me l'anno '54), ha studiato nella libreria di S. Lorenzo, ha ricevuto molte grazie dal serenissimo granduca, vi tien molti amici e particolarmente il Redi, al quale si rassomiglia assai.

Finita la predica si son fatti tre matrimoni: gli sposi e le madri loro hanno assistito alla predica, anzi a tutto l'esercizio sopra due banchi posti sotto la cattedra in mezzo a quelli degli anziani, e al tempo debito levatisi in piedi hanno ascoltato diverse orazioni fatte dal ministro sopra di loro; dopo le quali, interrogati quasi con l'istesse formule della nostra Chiesa delle loro volontà e prestato l'assenso, il ministro ha chiamato tutta la chiesa in testimonio del loro congiugnimento; con che è stata finita ogni cirimonia, invocata come la mattina la benedizione di Dio sopra del popolo. Ritornato a Parigi son andato a smontare a Luxembourg, dove ho fatto sera.

 

 

25 giugno.

 

Stamani, che ogn'altra cosa pensavo, son venute due carrozzate d'amici a levarmi per condurmi a S. Germano, a veder nel piano d'Ouille l'accampamento della cavalleria della casa del re, situato con bellissimo ordine lungo la riva del fiume. Questa vista m'è stata di sommo gusto, essendo la prima immagine che a' miei giorni ho veduta di guerra rappresentata con un poco più di forza che non fanno le pitture e i disegni. Il descriverla per minuto sarebbe difficile e non servirebbe a nulla, bastando il dire ch'egli è un accampamento (forse di 1.500 cavalli) disposto con quella maggior larghezza e galanteria che permette il luogo e il tempo. Son da quindici giorni che vi sta la gente, e vi starà finché al re piace: che, secondo alcuni dicono, sarà per tutto il tempo della campagna. Il fine di S.M., oltre a quello di tener in continuo esercizio le sue genti e non lasciarle ammorbidire nell'ozio della pace, è principalmente il sodisfar la generosità del suo animo in quella forma ch'ei può con la vista dell'oggetto più caro, e così renderle meno sensibile il durissimo imperio fattole dalla sua moderazione nel concedere il riposo all'Europa con la conclusion della pace.

Da S. Germano siamo venuti a S. Clou, e dopo che s'è fatto notte siamo andati a casa da un traitteur, famosissimo sopra quanti ne sono in Francia, chiamato De Noier, che sta sulla fine del villaggio di S. Clou alla coscia del ponte. Questa casa è uno dei grandi scolatoi per la gioventù di Parigi, poiché per tutto l'anno, vengasi a che ora si pare e in quanti si vuole, in una mezz'ora s'è servito a quante dobble si vuol per testa in camere parate d'arazzi, lastricate di marmo, adornate con letti di riposo, con seggiole e con altri mobili nobilissimi, co' cornicioni delle volte tutti pieni di terre di Turchia, di buccheri e di porcellane così fitte che i vasi si toccano, con lustri smisurati di cristallo, con biancherie di Fiandra, con tutto il servizio d'argento, con tutti i piatti regalati di fiori secondo la stagione, con diaccio e con confettura bianca, canditi, geli bianchi, mangiari alterati con ambra, e insomma con ogni squisitezza, pulizia e galanteria. Quivi non mangiano se non i padroni; ai lacchè, dopo che hanno servito a tavola, il trattore danari e gli manda in un'altra casa vicina. La casa ha la sua vista sul fiume, dove anche rispondono due logge o terrazzi tutti pieni di piante d'aranci e di vasi di fiori. Vi si trovano talvolta quattro o cinque compagnie, e tutte nell'istesso tempo son servite con la medesima squisitezza, onde vi sono de' giorni che vi corrono così bene i cento luigi d'oro come i quattro altrove. Non meno riguardevole è la grandezza e la pulizia della cucina e della credenza, dove si vede tutta l'argenteria che sarebbe molta per un gran cavaliere. Insomma questo ancora è un luogo che può passare tra le cose notabili di Parigi e che solamente a vederlo, e vederlo in un villaggio, basta a insinuare un gran concetto di quel che sia questa gran città.

 

 

27 giugno.

 

Oggi non son punto uscito, ma il mio camerata mi ha detto esser stato a veder quel maestro che fa i ritratti in cera del naturale con tutto il busto, il quale gli ha da esser parecchi mesi che lavora attorno i ritratti di tutta la corte, re, regina, Monsù, Madama, Delfino, Mademoisella, Principe, Duca e altre dame e cavalieri principali; il tutto per commissione d'un tale che con essi vuol andar pel mondo per far danari, col fargli vedere come si fa degli elefanti. Vuol anche aver con esso seco un concerto di violoni; l'impresa si stima difficile a praticarsi, atteso l'incomodo e la spesa di portar così gran bagaglio, qual saranno tanti busti e teste fatte di materia così gelosa e così facile a rompersi. Pure egli è anche verisimile che costui abbia fatti i suoi conti. Della qualità de' ritratti non dico nulla immaginandomi che V.S. abbia veduto quello della duchessa Mazzarrina, che Scaramuccia portò con sé alla serenissima granduchessa o al sig. cardinale.

 

 

30 giugno.

 

Oggi sono stato in casa un assai buon cittadino, chiamato m.r Jeaux, a vedere una prodigiosa raccolta ch'egli ha fatto di stampe repartite in settantacinque volumi in foglio, venticinque de' quali contengono ritratti d'uomini illustri, non escludendo l'impronte delle medaglie cavate da Fulvio Orsino e riportate quivi con somma diligenza, e cinquanta, seguendo l'ordine della geografia del Daviti, contengono quante carte ha mai potuto rammassare non solo di province e di paesi particolari (il quale assortimento, a dire il vero, non è molto stimabile), ma di quante città e di quanti edifizi rari si ritrovano in ciascuna delle suddette province. Per esempio, nella Castiglia nuova è Madrid, e immediatamente dopo Madrid seguono tutte le vedute delle chiese e dei palazzi principali, del ponte, del fiume e, successivamente, ogni parte più riguardevole di cui nello spazio di venticinqu'anni gli è venuto fatto di trovar le stampe. Della sola fabbrica dell'Escuriale credo che assolutamente vi sieno da dieci o dodici carte, essendovi fino il ciborio e la pianta di esso in particolare. Venendosi al giardino d'Aranquez, oltre al palazzo vi sono tutte le fontane, tutte le vedute de' viali: e così, di man in mano in ciascun Regno ciascuna provincia, in ciascuna provincia ciascun luogo, in ciascun luogo ogni più minuta particolarità di esso, che dalla stima degli abitanti o dalla curiosità de' forestieri è stata giudicata degna di comparire alle stampe e al pubblico. Da questo si può ben argomentare che in questa raccolta vi sia per necessità tutto il buono, sì, ma molto ancora del cattivo e del pessimo, poiché avendo egli voluto rammassar tutto, fino ai teatri, alle feste e alle cavalcate fatte in ciascuna città, gli è bisognato pigliarle come le ha trovate; e non da per tutto s'incontrano i Callot, i Della Bella, i Poissy, i Blomart, i Nanteuil. Io non m'estendo molto nel ragguaglio di questo studio, poiché me ne rimetto ad una succinta istruzione la quale ho pregato lui medesimo a darmene, e ch'egli m'ha promesso tra quindici giorni, sperando che facendola io vedere in Italia possa più facilmente fargli trovar compratore: poiché essendo egli oramai vecchio, ed avendo figliuolo, la moglie lo sollecita a disfarsene. Ne domanda di prima chiesta quattromila lire. Mi scordavo che sotto a ciascuna stampa, oppure avanti o dietro di essa, ha riportato i luoghi di tutti quegli autori che si sono abbattuti a parlarne, e ciò col tagliare i fogli stampati di essi e riportargli accuratamente nelle finestre fatte alla lor giusta misura nei fogli reali onde tutti i suoi libri sono composti.

 

 

1 luglio.

 

Oggi ho perduta affatto la giornata al passeggio, e questa sera ho fatto una visita a due cavalieri svezzesi che se ne tornano al paese, della casa Guldenstiern, per la morte della madre, per partirne poi tra quattro mesi pigliando il dritto cammino d'Italia. Il minore m'è parso galante e di spirito, e di lui particolarmente il conte della Gardie, che n'è strettissimo amico, mi disse gran bene in Inghilterra.

 

 

2 luglio.

 

Ancor oggi non ho fatto molto non avendo, con aver due volte corso da una parte all'altra di Parigi, mai trovato l'amico che secondo il concertato doveva condurmi dalla duchessa di Vitry. Per disperazione ho dato fondo in due crocchi, e da ultimo in casa di certe femmine a far materia di riconciliazione con molti discorsi oziosi ed inutili.

 

 

3 luglio.

 

Oggi sono stato a veder la libreria della badia di S. Germano, di cui è presentemente abate il duca di Verneuil, che ne cava sopra 60.000 franchi di rendita, situata in tanti bellissimi fondi nei più vicini dintorni di Parigi. La libreria è assai grande e copiosa di manoscritti latini. Tra questi è sommamente considerabile una Bibbia giudicata di mill'anni, un Salterio scritto in caratteri di argento sopra vitellina pavonazza di ottocento, un messale di sopra seicento, e qualch'altro testo della Bibbia, piuttosto raro per la minutezza del carattere che per l'antichità.

Di quivi son andato alla badia di S. Vittore: n'è abate il vescovo d'Orléans, fratello del duca di Coslin, che tra questa, di cui cava sopra a trentamila franchi di rendita, tra quella di S. Giovanni d'Amiens, tra altri benefizi e l'entrate della sua chiesa si troverà da ottantamila lire di rendita. Ai monaci di S. Vittore, che son canonici regolari di S. Agostino, resteranno da ventimila lire. Questa badia fu fondata intorno a seicento anni sono da Luigi sesto, e da Luigi settimo fu notabilmente arricchita: ell'era prima in campagna, ma crescendo di tempo in tempo Parigi, è venuta a incorporarsi ne' foborghi della città. La chiesa, quasi affatto distrutta per l'antichità, fu rifabbricata intorno a centoventi anni sono con gran magnificenza, ma l'architettura è gotica. C'è un chiostro ragionevolmente grande e assai ricco di conci di pietra, e un giardino a due piani con un gran prato intorniato d'uno stradone tutto piantato d'alberi da far ombra. La libreria è divenuta grande per l'aggiunta di quella d'Arrigo Bouchet, numerosa d'ottomila libri, contrassegnati tutti in fronte con la sua arme. Costui ne fece la donazione l'anno '52 a condizione che tre giorni della settimana, cioè lunedì, mercoledì e sabato, la libreria dovess'esser aperta a chiunque vi venisse per studiare; il che fu cominciato a eseguire l'anno '54, che fu quello della morte del testatore, il di cui busto di marmo con doppia iscrizione è sulla porta della libreria dalla parte di dentro. Per tutta la lunghezza di essa adunque vi è un leggio andante, raddoppiato dall'una e dall'altra parte con spessi sgabelli per gli studianti, i quali dicono arrivar talvolta a quattrocento, essendo inoltre tutti i vani delle finestre occupati da piccole tavole co' loro sgabelli sotto, capaci di tre persone per ciascheduna. In testa alla libreria v'è la stanza de' manoscritti, dai quali è sempre venuta la maggior fama ad essa libreria, ed è considerabile come questi monaci hanno conservato con tanta esattezza quasi tutti i codici che si trovano sugl'inventari di quattrocento anni sono, cosa che non si trova, si può dire, in nessun'altra libreria di regolari. Quivi ancora è una Bibbia pretesa di mill'anni, con un seguito di quattordici altre Bibbie tutte intere e benissimo conservate, nelle quali si vede gradatamente la corruzione del carattere latino nel gotico. Vi son l'Epistole di S. Girolamo, di scrittura e conservazione maravigliosa, ma poco stimabili per le frequenti lagune onde son sparsi. Antichissimi son ancora due volumi, l'uno dell'Epistole, scritte in lettere maiuscole d'oro, <l'altro> delle feste principali di tutto l'anno. V'è un codice scritto in tavole cerate d'un carattere a me, al bibliotecario e a tutta la compagnia affatto inintelligibile. Le pagine son quattordici e sono incerate dall'una e dall'altra parte con certa mestura nera e dura sulla quale son graffiati i caratteri. V'è la Bibbia della regina Bianca, madre di S. Luigi, lasciata da essa in dono alla biblioteca. V'è finalmente un bellissimo Alcorano e un Euclide greco scritto a penna, ma di così bel carattere che è stato scelto per norma delle madri del carattere greco di questa stamperia regia. Mi scordavo che in questa medesima stanza v'è uno scaffale ripieno della scrittura dei concili dei Padri, ed insomma di tutti i libri stampati nel Louvre, legati superbamente in sommaco dorato, regalo fatto di fresco dall'abate vescovo di Orléans alla libreria.

Son poi andato a pigliare un po' di crocchio da m.r Justel, il quale mi <ha> dato tre nuove. Le prime due vengono d'Inghilterra e sono, l'una, che nell'isola s'è trovata una tal sorta di seme così minuta e impalpabile che ne vanno settecento milioni di granelli al grano. Nessuno ha dubitato che ciò poss'essere, ma molti hanno aùto gran difficultà a concepire come sia stato possibile a contar particelle che per necessità si credono invisibili. L'altra è del pensiero d'un certo autore che crede aver trovato una spezie di circolazione di sugo nutritizio in tutte le pietre, fino negli stessi diamanti, in quell'istessa forma che fa il sangue negli uomini e 'l sugo vitale nei vegetabili. La terza è d'un'esperienza fatta stamani in Parigi da questi signori dell'Accademia Reale. Hanno voluto vedere quanto peso può levare un robustissimo cavallo, non a strascicarlo ma a sollevarlo tirando una corda attaccata al peso e fatta passar per una carrucola sospesa in alto. Dicono non aver mai sollevato più di quattrocento libbre di sedici once l'una, e che, presi uomini in cambio di cavalli, non l'hanno potuto alzare se non in sette, onde a questo ragguaglio un uomo non leverebbe più di circa a ottanta delle nostre libbre, cosa che a tutti ha fatto credere che l'esperienza sia stata male eseguita. Mi ha poi detto per cosa certa che m.r d'Aubeville, ministro del re in Lorena, aveva veduto smontare in Nansi la duchessa Mazzarrina in casa d'una delle più solenni ruffiane di quella città, condottavi da un suo valletto di camera lorenese, e che dopo l'alloggio d'una notte se n'era partita la mattina seguente al suo viaggio; che detto signore aveva aùto gran prurito di farla arrestare, ma che poi aveva deliberato di non ne far altro. All'uscirmene mi ha promesso un'appendice alle memorie de' saluti di mare, che è un regolamento dato dal re medesimo due anni sono al duca di Beaufort circa al modo di contenersi nel saluto co' vascelli, con le squadre, con le flotte e con le fortezze.

 

 

5 luglio.

 

Stamani sono stato alla bottega di Pietro Jervis, riputato il miglior maestro per fabbrica di strumenti matematici che sia in Parigi. Ho veduto diversi lavori ed ho trovato che le divisioni sono assai esatte: ma per quel ch'appartiene alla lima, al travaglio dell'ottone e alla galanteria della manifattura certo vi è da migliorare assai, né credo che arrivi a un pezzo a quel vecchio d'Urbino. Di poi sono stato da m.r Paluz, bibliotecario di m.r Colbert, a ricordargli un estratto dell'indice de' manoscritti appartenenti al Regno che sono in quella libreria. Son poi stato a vedere la chiesa di S. Gervasio, ma più particolarmente la facciata, la quale è di tre ordini secondo la buona architettura, ma attesa l'altezza di tutta la macchina le parti rimangono tozze e mastine. La chiesa è gotica, ma grande e fabbricata nobilmente. Il palazzo della città sulla piazza detta La Grève, dove regolarmente si eseguisce la giustizia, ha la facciata e 'l cortile (che non è quadro ma tira al triangolare, in guisa che il maggior lato del triangolo rimane opposto all'entrata), l'un e l'altro fabbricato di pietra e grandemente ornato. In testa del cortile v'è sur un piedestallo la statua del vivente re che calpesta la ribellione civile, rappresentata in un uomo armato che nasconde il volto, onde molti lo credono figurato per uno dei capi più autorevoli delle passate civili discordie che vive ancora presentemente.

Dopo desinare sono stato ai Carmelitani Scalzi vicino al Luxembourg, chiesa d'architettura moderna ma non molto grande, la di cui cupola fabbricata dalla regina Maria fu la prima che si vedesse in Francia. Quivi in uno degli altari della croce, che è dalla parte del Vangelo, v'è una statua d'una Madonna a sedere con un bambino in braccio, donata dal cardinal Antonio. Ell'è creduta universalmente del Bernino, ma ell'è di Antonio Raggi detto il Lombardo, allievo dell'Algardi. Questo ed un altro suo compagno chiamato Ercole ebbero tanta stima appresso il Bernino, che egli, per troncar loro ogni strada di avanzamento, sotto apparenza di volergli proteggere gli impiegò in cose del loro mestiere bensì, ma che gli impedissero dal lavor di marmo. Questa statua dunque è assai bella, tanto più che gli è convenuto adattare il disegno alla grandezza del marmo, che era troppo misero al suo bisogno.

Son poi andato a veder l'acquedotto d'Arceuil, fabbricato con regia magnificenza dalla regina Maria per condur l'acque di Rongi, che condiscono tutte le fontane del giardino del Luxembourg e del foborgo di S. Germano attraverso una valle, per non far loro perder la forza di risalire in tanta lontananza da Parigi, essendone quivi più d'una grossa lega discosto. Questo acquedotto è fabbricato tutto di pietra viva ed è fatto in ogni sua parte con tanta sontuosità, che per agguagliarsi a quegli de' Romani non gli manca altro che la maggior lunghezza, e non estendendosi oltre la maggior distanza delle due colline ch'ei ricongiugne, la quale misurata così a occhio (poiché sul coperto pendente dell'acquedotto dall'una e dall'altra parte non si può camminare per misurarlo), averebbe a battere intorno a trecento passi. Quivi è un casino d'un tal m.r Moran, uomo che ha aùto altre volte qualche maneggio di danaro, non so se del principe o del pubblico, il quale valendosi del pendio della collina ha compartito in diversi piani un giardinetto per grotte, per fontane, per boschetti e viali deliziosissimi; il tutto però senza uscire della riga di comodo cittadino.

 

 

 





5 Nell'originale "graduca"



6 Manca nel ms.



7 Nell'originale "staordinaria"



8 Ariosto, Orlando furioso, I, 8



9 Nell'originale "subbio"



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