XXXVIII Gli atti vanno scritti perché possano servire come prova
Poiché contro l'asserzione falsa di un giudice malvagio un litigante
innocente non può, qualche volta, provare di aver veramente negato una cosa -
poiché la negazione per sé non può esser considerata, per la natura stessa
delle cose, una prova diretta - affinché la falsità non porti pregiudizio alla
verità, o l'iniquità prevalga sull'equità, disponiamo che tanto nel giudizio
ordinario, quanto in quello straordinario, il giudice si serva sempre, se lo
può, di una persona pubblica, o di due persone adatte le quali scrivano
fedelmente tutti gli atti del giudizio, e cioè: le citazioni, le dilazioni, le
rinunzie e le accettazioni, le domande e le risposte, gli interrogatori, le
confessioni, le deposizioni dei testimoni, le presentazioni di documenti, le
interlocuzioni, gli appelli, le rinunzie, le conclusioni e tutto ciò che
occorre dover scrivere nel dovuto ordine. Si indichino, inoltre, i luoghi, i
tempi, le persone; e dopo aver scritto cosi ogni cosa, sia comunicata alle
parti, ma gli originali rimangano presso gli scrittori, cosicché, se dovesse
sorgere intorno al procedimento del giudice qualche contestazione, con questi
atti possa esser dimostrata la verità. Si usi, poi, questa precauzione, di
affidare, cioè, (la causa) a giudici talmente onesti e discreti, che la
giustizia degli in- nocenti non sia lesa da (giudici) imprudenti e parziali.
I giudici che trascurassero di osservare questa disposizione, se per la loro
negligenza dovesse sorgere qualche difficoltà, siano puniti dal giudice
superiore con pena adeguata, e la loro procedura non sia ammessa, se non in
quanto risulti da legittimi documenti.
|