IV. L'attività
economica e la giustizia sociale
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Lo sviluppo delle attività economiche e l'aumento della produzione sono
destinati a soddisfare i bisogni degli esseri umani. La vita economica non mira
solo ad accrescere la produzione dei beni e ad aumentare il profitto o la
potenza; essa è prima di tutto ordinata al servizio delle persone, dell'uomo
nella sua integralità e di tutta la comunità umana. Realizzata secondo i propri
metodi, l'attività economica deve essere esercitata nell'ambito dell'ordine
morale, nel rispetto della giustizia sociale, in modo che risponda al disegno
di Dio sull'uomo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,64].
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Il lavoro umano proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e
chiamate a prolungare, le une con e per le altre, l'opera della creazione
sottomettendo la terra [Cf [link] Gen 1,28; Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 34; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus
annus, 31]. Il lavoro, quindi, è un dovere: “Chi non vuol lavorare, neppure
mangi” ( [link] 2Ts 3,10 ) [Cf [link] 1Ts
4,11 ]. Il lavoro esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti.
Può anche essere redentivo. Sopportando la penosa fatica [Cf [link] Gen
3,14-19 ] del lavoro in unione con Gesù, l'artigiano di Nazaret e il
crocifisso del Calvario, l'uomo in un certo modo coopera con il Figlio di Dio
nella sua opera redentrice. Si mostra discepolo di Cristo portando la croce,
ogni giorno, nell'attività che è chiamato a compiere [Cf Giovanni Paolo II,
Lett. enc. Laborem exercens, 27]. Il lavoro può essere un mezzo di
santificazione e un'animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo.
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Nel lavoro la persona esercita e attualizza una parte delle capacità iscritte
nella sua natura. Il valore primario del lavoro riguarda l'uomo stesso, che ne
è l'autore e il destinatario. Il lavoro è per l'uomo, e non l'uomo per il
lavoro [Cf ibid. , 6].
Ciascuno
deve poter trarre dal lavoro i mezzi di sostentamento per la propria vita e per
quella dei suoi familiari, e servire la comunità umana.
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Ciascuno ha il diritto di iniziativa economica; ciascuno userà legittimamente i
propri talenti per concorrere a un'abbondanza di cui tutti possano godere, e
per raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti. Procurerà di conformarsi
agli ordinamenti emanati dalle legittime autorità in vista del bene comune [Cf
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32; 34].
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La vita economica chiama in causa interessi diversi, spesso tra loro opposti.
Così si spiega l'emergere dei conflitti che la caratterizzano [Cf Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 11]. Si farà di tutto per comporre tali
conflitti attraverso negoziati che rispettino i diritti e i doveri di ogni
parte sociale: i responsabili delle imprese, i rappresentanti dei lavoratori,
per esempio le organizzazioni sindacali, ed, eventuamente, i pubblici poteri.
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La responsabilità dello Stato. “L'attività economica, in particolare quella
dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale,
giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie
delle libertà individuali e della proprietà, oltre che una moneta stabile e
servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è
quello di garantire tale sicurezza, di modo che chi lavora possa godere i
frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con
efficienza e onestà. . . Compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare
l'esercizio dei diritti umani nel settore economico; in questo campo, tuttavia,
la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi
gruppi e associazioni di cui si compone la società” [Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Centesimus annus, 48].
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I responsabili di imprese hanno, davanti alla società, la responsabilità
economica ed ecologica delle loro operazioni [Cf ibid., 37]. Hanno il dovere di
considerare il bene delle persone e non soltanto l'aumento dei profitti .
Questi, comunque, sono necessari. Permettono di realizzare gli investimenti che
assicurano l'avvenire delle imprese. Garantiscono l'occupazione.
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L' accesso al lavoro e alla professione deve essere aperto a tutti, senza
ingiusta discriminazione: a uomini e a donne, a chi è in buone condizioni psico-fisiche
e ai disabili, agli autoctoni e agli immigrati [Cf Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Laborem exercens, 19; 22-23]. In rapporto alle circostanze, la società
deve da parte sua aiutare i cittadini a trovare un lavoro e un impiego [Cf
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48].
2434
Il giusto salario è il frutto legittimo del lavoro. Rifiutarlo o non darlo a
tempo debito può rappresentare una grave ingiustizia [Cf [link] Lv
19,13; [link] Dt 24,14-15;
[link] Gc 5,4 ]. Per stabilire l'equa remunerazione, si deve
tener conto sia dei bisogni sia delle prestazioni di ciascuno. “Il lavoro va
remunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo
e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale,
culturale e spirituale, corrispondentemente al tipo di attività e grado di
rendimento economico di ciascuno, nonché alle condizioni dell'impresa e al bene
comune” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 67]. Non è sufficiente l'accordo
tra le parti a giustificare moralmente l'ammontare del salario.
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Lo sciopero è moralmente legittimo quando appare come lo strumento inevitabile,
o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato. Diventa
moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si
assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in
contrasto con il bene comune.
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E' ingiusto non versare agli organismi di sicurezza sociale i contributi
stabiliti dalle legittime autorità.
La
privazione del lavoro, a causa della disoccupazione, quasi sempre rappresenta,
per chi ne è vittima, un'offesa alla sua dignità e una minaccia per l'equilibrio
della vita. Oltre al danno che egli subisce personalmente, numerosi rischi ne
derivano per la sua famiglia [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem
exercens, 18].
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