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Catechismo della Chiesa Cattolica

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  • PARTE TERZA LA VITA IN CRISTO
    • SEZIONE SECONDA I DIECI COMANDAMENTI
      • CAPITOLO SECONDO “AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO”
        • Articolo 10 IL DECIMO COMANDAMENTO
          • I. Il disordine delle cupidigie
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I. Il disordine delle cupidigie

 

2535 L'appetito sensibile ci porta a desiderare le cose piacevoli che non abbiamo. Così, quando si ha fame si desidera mangiare, quando si ha freddo si desidera riscaldarsi. Tali desideri, in se stessi, sono buoni; ma spesso non restano nei limiti della ragione e ci spingono a bramare ingiustamente ciò che non ci spetta e appartiene, o è dovuto ad altri.

 

2536 Il decimo comandamento proibisce l' avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura dei beni terreni; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama delle ricchezze e del potere in esse insito. Proibisce anche il desiderio di commettere un'ingiustizia, con la quale si danneggerebbe il prossimo nei suoi beni temporali:

 

La formula “non desiderare” è come un avvertimento generale che ci spinge a moderare il desiderio e l'avidità delle cose altrui. C'è infatti in noi una latente sete di cupidigia per tutto ciò che non è nostro; sete mai sazia, di cui la Sacra Scrittura scrive: “L'avaro non sarà mai sazio del suo denaro” ( [link] Sir 5,9 ) [Catechismo Romano, 3, 37].

 

2537 Non si trasgredisce questo comandamento desiderando ottenere cose che appartengono al prossimo, purché ciò avvenga con giusti mezzi. La catechesi tradizionale indica con realismo “coloro che maggiormente devono lottare contro le cupidigie peccaminose” e che, dunque, “devono con più insistenza essere esortate ad osservare questo comandamento”:

 

Sono, cioè, quei commercianti e quegli approvvigionatori di mercati che aspettano la scarsità delle merci e la carestia per trarne un profitto con accaparramenti e speculazioni; . . . quei medici che aspettano con ansia le malattie; quegli avvocati e magistrati desiderosi di cause e di liti. . [Catechismo Romano, 3, 37].

 

2538 Il decimo comandamento esige che si bandisca dal cuore umano l' invidia. Allorché il profeta Natan volle suscitare il pentimento del re Davide, gli narrò la storia del povero che possedeva soltanto una pecora, la quale era per lui come una figlia, e del ricco che, malgrado avesse bestiame in gran numero, invidiava quel povero e finì per portargli via la sua pecora [Cf  [link] 2Sam 12,1-4 ]. L'invidia può condurre ai peggiori misfatti [Cf  [link] Gen 4,3-7;  [link] 1Re 21,1-29 ]. E' per l'invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo [Cf  [link] Sap 2,24 ].

 

Noi ci facciamo guerra vicendevolmente, ed è l'invidia ad armarci gli uni contro gli altri... Se tutti si accaniscono così a far vacillare il corpo di Cristo, dove si arriverà? Siamo quasi in procinto di snervarlo. . . Ci diciamo membra di un medesimo organismo e ci divoriamo come farebbero delle belve [San Giovanni Crisostomo, Homiliae in secundam ad Corinthios, 28, 3-4: PG 61, 594-595].

 

2539 L'invidia è un vizio capitale. Consiste nella tristezza che si prova davanti ai beni altrui e nel desiderio smodato di appropriarsene, sia pure indebitamente. Quando arriva a volere un grave male per il prossimo, l'invidia diventa un peccato mortale.

 

Sant'Agostino vedeva nell'invidia “il peccato diabolico per eccellenza” [Sant'Agostino, De catechizandis rudibus, 4, 8]. “Dall'invidia nascono l'odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato dalla sua fortuna” [San Gregorio Magno, Moralia in Job, 31, 45: PL 76, 621].

 

2540 L'invidia rappresenta una delle forme della tristezza e quindi un rifiuto della carità; il battezzato lotterà contro l'invidia mediante la benevolenza. L'invidia spesso è causata dall'orgoglio; il battezzato si impegnerà a vivere nell'umiltà.

 

Vorreste vedere Dio glorificato da voi? Ebbene, rallegratevi dei progressi del vostro fratello, ed ecco che Dio sarà glorificato da voi. Dio sarà lodato - si dirà - dalla vittoria sull'invidia riportata dal suo servo, che ha saputo fare dei meriti altrui il motivo della propria gioia [San Giovanni Crisostomo, Homilia in ad Romanos, 7, 3: PG 60, 445].

 




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