XXXIX.
DI UN GENERE PARTICOLARE DI DELITTI
Chiunque leggerà questo
scritto accorgerassi che io ho ommesso un genere di delitti che ha coperto
l'Europa di sangue umano e che ha alzate quelle funeste cataste, ove servivano
di alimento alle fiamme i vivi corpi umani, quand'era giocondo spettacolo e
grata armonia per la cieca moltitudine l'udire i sordi confusi gemiti dei
miseri che uscivano dai vortici di nero fumo, fumo di membra umane, fra lo
stridere dell'ossa incarbonite e il friggersi delle viscere ancor palpitanti.
Ma gli uomini ragionevoli vedranno che il luogo, il secolo e la materia non mi
permettono di esaminare la natura di un tal delitto. Troppo lungo, e fuori del
mio soggetto, sarebbe il provare come debba essere necessaria una perfetta
uniformità di pensieri in uno stato, contro l'esempio di molte nazioni; come
opinioni, che distano tra di loro solamente per alcune sottilissime ed oscure
differenze troppo lontane dalla umana capacità, pure possano sconvolgere il ben
pubblico, quando una non sia autorizzata a preferenza delle altre; e come la
natura delle opinioni sia composta a segno che mentre alcune col contrasto
fermentando e combattendo insieme si rischiarano, e soprannotando le vere, le false
si sommergono nell'oblio, altre, mal sicure per la nuda loro costanza, debbano
esser vestite di autorità e di forza. Troppo lungo sarebbe il provare come,
quantunque odioso sembri l'impero della forza sulle menti umane, del quale le
sole conquiste sono la dissimulazione, indi l'avvilimento; quantunque sembri
contrario allo spirito di mansuetudine e fraternità comandato dalla ragione e
dall'autorità che più veneriamo, pure sia necessario ed indispensabile. Tutto
ciò deve credersi evidentemente provato e conforme ai veri interessi degli
uomini, se v'è chi con riconosciuta autorità lo esercita. Io non parlo che dei
delitti che emanano dalla natura umana e dal patto sociale, e non dei peccati,
de' quali le pene, anche temporali, debbono regolarsi con altri principii che
quelli di una limitata filosofia.
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