XLII.
DELLE SCIENZE
Volete
prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che
nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i
beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non
volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un
illuminato. Le cognizioni facilitando i paragoni degli oggetti e
moltiplicandone i punti di vista, contrappongono molti sentimenti gli uni agli
altri, che si modificano vicendevolmente, tanto più facilmente quanto si
preveggono negli altri le medesime viste e le medesime resistenze. In faccia ai
lumi sparsi con profusione nella nazione, tace la calunniosa ignoranza e trema
l'autorità disarmata di ragioni, rimanendo immobile la vigorosa forza delle
leggi; perché non v'è uomo illuminato che non ami i pubblici, chiari ed utili
patti della comune sicurezza, paragonando il poco d'inutile libertà da lui
sacrificata alla somma di tutte le libertà sacrificate dagli altri uomini, che
senza le leggi poteano divenire conspiranti contro di lui. Chiunque ha un'anima
sensibile, gettando uno sguardo su di un codice di leggi ben fatte, e trovando
di non aver perduto che la funesta libertà di far male altrui, sarà costretto a
benedire il trono e chi lo occupa.
Non è vero che le scienze sian
sempre dannose all'umanità, e quando lo furono era un male inevitabile agli
uomini. La moltiplicazione dell'uman genere sulla faccia della terra introdusse
la guerra, le arti più rozze, le prime leggi, che erano patti momentanei che
nascevano colla necessità e con essa perivano. Questa fu la prima filosofia
degli uomini, i di cui pochi elementi erano giusti, perché la loro indolenza e
poca sagacità gli preservava dall'errore. Ma i bisogni si moltiplicavano sempre
più col moltiplicarsi degli uomini. Erano dunque necessarie impressioni più forti
e più durevoli che gli distogliessero dai replicati ritorni nel primo stato
d'insociabilità, che si rendeva sempre più funesto. Fecero dunque un gran bene
all'umanità quei primi errori che popolarono la terra di false divinità (dico
gran bene politico) e che crearono un universo invisibile regolatore del
nostro. Furono benefattori degli uomini quegli che osarono sorprendergli e
strascinarono agli altari la docile ignoranza. Presentando loro oggetti posti
di là dai sensi, che loro fuggivan davanti a misura che credean raggiungerli,
non mai disprezzati, perché non mai ben conosciuti, riunirono e condensarono le
divise passioni in un solo oggetto, che fortemente gli occupava. Queste furono
le prime vicende di tutte le nazioni che si formarono da' popoli selvaggi,
questa fu l'epoca della formazione delle grandi società, e tale ne fu il
vincolo necessario e forse unico. Non parlo di quel popolo eletto da Dio, a cui
i miracoli più straordinari e le grazie più segnalate tennero luogo della umana
politica. Ma come è proprietà dell'errore di sottodividersi all'infinito, così
le scienze che ne nacquero fecero degli uomini una fanatica moltitudine di
ciechi, che in un chiuso laberinto si urtano e si scompigliano di modo che
alcune anime sensibili e filosofiche regrettarono persino l'antico stato
selvaggio. Ecco la prima epoca, in cui le cognizioni, o per dir meglio le
opinioni, sono dannose.
La seconda è nel difficile e
terribil passaggio dagli errori alla verità, dall'oscurità non conosciuta alla
luce. L'urto immenso degli errori utili ai pochi potenti contro le verità utili
ai molti deboli, l'avvicinamento ed il fermento delle passioni, che si destano
in quell'occasione, fanno infiniti mali alla misera umanità. Chiunque riflette
sulle storie, le quali dopo certi intervalli di tempo si rassomigliano quanto
all'epoche principali, vi troverà più volte una generazione intera sacrificata
alla felicità di quelle che le succedono nel luttuoso ma necessario passaggio
dalle tenebre dell'ignoranza alla luce della filosofia, e dalla tirannia alla
libertà, che ne sono le conseguenze. Ma quando, calmati gli animi ed estinto
l'incendio che ha purgata la nazione dai mali che l'opprimono, la verità, i di
cui progressi prima son lenti e poi accelerati, siede compagna su i troni de'
monarchi ed ha culto ed ara nei parlamenti delle repubbliche, chi potrà mai
asserire che la luce che illumina la moltitudine sia più dannosa delle tenebre,
e che i veri e semplici rapporti delle cose ben conosciute dagli uomini lor
sien funesti?
Se la cieca ignoranza è meno
fatale che il mediocre e confuso sapere, poiché questi aggiunge ai mali della
prima quegli dell'errore inevitabile da chi ha una vista ristretta al di qua
dei confini del vero, l'uomo illuminato è il dono più prezioso che faccia alla
nazione ed a se stesso il sovrano, che lo rende depositario e custode delle
sante leggi. Avvezzo a vedere la verità e a non temerla, privo della maggior
parte dei bisogni dell'opinione non mai abbastanza soddisfatti, che mettono
alla prova la virtù della maggior parte degli uomini, assuefatto a contemplare
l'umanità dai punti di vista più elevati, avanti a lui la propria nazione
diventa una famiglia di uomini fratelli, e la distanza dei grandi al popolo gli
par tanto minore quanto è maggiore la massa dell'umanità che ha avanti gli
occhi. I filosofi acquistano dei bisogni e degli interessi non conosciuti dai
volgari, quello principalmente di non ismentire nella pubblica luce i principii
predicati nell'oscurità, ed acquistano l'abitudine di amare la verità per se
stessa. Una scelta di uomini tali forma la felicità di una nazione, ma felicità
momentanea se le buone leggi non ne aumentino talmente il numero che scemino la
probabilità sempre grande di una cattiva elezione.
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