XLVI.
DELLE GRAZIE
A misura che le pene divengono
più dolci, la clemenza ed il perdono diventano meno necessari. Felice la
nazione nella quale sarebbero funesti! La clemenza dunque, quella virtù che è
stata talvolta per un sovrano il supplemento di tutt'i doveri del trono,
dovrebbe essere esclusa in una perfetta legislazione dove le pene fossero dolci
ed il metodo di giudicare regolare e spedito. Questa verità sembrerà dura a chi
vive nel disordine del sistema criminale dove il perdono e le grazie sono
necessarie in proporzione dell'assurdità delle leggi e dell'atrocità delle
condanne. Quest'è la più bella prerogativa del trono, questo è il più
desiderabile attributo della sovranità, e questa è la tacita disapprovazione
che i benefici dispensatori della pubblica felicità danno ad un codice che con
tutte le imperfezioni ha in suo favore il pregiudizio dei secoli, il voluminoso
ed imponente corredo d'infiniti commentatori, il grave apparato dell'eterne
formalità e l'adesione dei più insinuanti e meno temuti semidotti. Ma si
consideri che la clemenza è la virtù del legislatore e non dell'esecutor delle
leggi; che deve risplendere nel codice, non già nei giudizi particolari; che il
far vedere agli uomini che si possono perdonare i delitti e che la pena non ne
è la necessaria conseguenza è un fomentare la lusinga dell'impunità, è un far
credere che, potendosi perdonare, le condanne non perdonate siano piuttosto
violenze della forza che emanazioni della giustizia. Che dirassi poi quando il
principe dona le grazie, cioè la pubblica sicurezza ad un particolare, e che
con un atto privato di non illuminata beneficenza forma un pubblico decreto
d'impunità. Siano dunque inesorabili le leggi, inesorabili gli esecutori di
esse nei casi particolari, ma sia dolce, indulgente, umano il legislatore.
Saggio architetto, faccia sorgere il suo edificio sulla base dell'amor proprio,
e l'interesse generale sia il risultato degl'interessi di ciascuno, e non sarà
costretto con leggi parziali e con rimedi tumultuosi a separare ad ogni momento
il ben pubblico dal bene de' particolari, e ad alzare il simulacro della salute
pubblica sul timore e sulla diffidenza. Profondo e sensibile filosofo, lasci
che gli uomini, che i suoi fratelli, godano in pace quella piccola porzione di
felicità che lo immenso sistema, stabilito dalla prima Cagione, da quello che
è, fa loro godere in quest'angolo dell'universo.
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