IV.
INTERPETRAZIONE DELLE LEGGI
Quarta
conseguenza. Nemmeno l'autorità d'interpetrare le leggi penali può risedere
presso i giudici criminali per la stessa ragione che non sono legislatori. I
giudici non hanno ricevuto le leggi dagli antichi nostri padri come una
tradizione domestica ed un testamento che non lasciasse ai posteri che la cura
d'ubbidire, ma le ricevono dalla vivente società, o dal sovrano rappresentatore
di essa, come legittimo depositario dell'attuale risultato della volontà di
tutti; le ricevono non come obbligazioni d'un antico giuramento, nullo, perché
legava volontà non esistenti, iniquo, perché riduceva gli uomini dallo stato di
società allo stato di mandra, ma come effetti di un tacito o espresso
giuramento, che le volontà riunite dei viventi sudditi hanno fatto al sovrano,
come vincoli necessari per frenare e reggere l'intestino fermento
degl'interessi particolari. Quest'è la fisica e reale autorità delle leggi. Chi
sarà dunque il legittimo interpetre della legge? Il sovrano, cioè il
depositario delle attuali volontà di tutti, o il giudice, il di cui ufficio è
solo l'esaminare se il tal uomo abbia fatto o no un'azione contraria alle
leggi?
In ogni delitto si deve fare
dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev'essere la legge generale,
la minore l'azione conforme o no alla legge, la conseguenza la libertà o la
pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi,
si apre la porta all'incertezza.
Non v'è cosa più pericolosa di
quell'assioma comune che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è un
argine rotto al torrente delle opinioni. Questa verità, che sembra un paradosso
alle menti volgari, più percosse da un piccol disordine presente che dalle
funeste ma rimote conseguenze che nascono da un falso principio radicato in una
nazione, mi sembra dimostrata. Le nostre cognizioni e tutte le nostre idee
hanno una reciproca connessione; quanto più sono complicate, tanto più numerose
sono le strade che ad esse arrivano e partono. Ciascun uomo ha il suo punto di
vista, ciascun uomo in differenti tempi ne ha un diverso. Lo spirito della
legge sarebbe dunque il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice,
di una facile o malsana digestione, dipenderebbe dalla violenza delle sue
passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle relazioni del giudice
coll'offeso e da tutte quelle minime forze che cangiano le apparenze di ogni
oggetto nell'animo fluttuante dell'uomo. Quindi veggiamo la sorte di un
cittadino cambiarsi spesse volte nel passaggio che fa a diversi tribunali, e le
vite de' miserabili essere la vittima dei falsi raziocini o dell'attuale
fermento degli umori d'un giudice, che prende per legittima interpetrazione il
vago risultato di tutta quella confusa serie di nozioni che gli muove la mente.
Quindi veggiamo gli stessi delitti dallo stesso tribunale puniti diversamente
in diversi tempi, per aver consultato non la costante e fissa voce della legge,
ma l'errante instabilità delle interpetrazioni.
Un disordine che nasce dalla
rigorosa osservanza della lettera di una legge penale non è da mettersi in
confronto coi disordini che nascono dalla interpetrazione. Un tal momentaneo
inconveniente spinge a fare la facile e necessaria correzione alle parole della
legge, che sono la cagione dell'incertezza, ma impedisce la fatale licenza di
ragionare, da cui nascono le arbitrarie e venali controversie. Quando un codice
fisso di leggi, che si debbono osservare alla lettera, non lascia al giudice
altra incombenza che di esaminare le azioni de' cittadini, e giudicarle
conformi o difformi alla legge scritta, quando la norma del giusto e
dell'ingiusto, che deve dirigere le azioni sì del cittadino ignorante come del
cittadino filosofo, non è un affare di controversia, ma di fatto, allora i sudditi
non sono soggetti alle piccole tirannie di molti, tanto più crudeli quanto è
minore la distanza fra chi soffre e chi fa soffrire, più fatali che quelle di
un solo, perché il dispotismo di molti non è correggibile che dal dispotismo di
un solo e la crudeltà di un dispotico è proporzionata non alla forza, ma agli
ostacoli. Così acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi che è
giusta perché è lo scopo per cui gli uomini stanno in società, che è utile
perché gli mette nel caso di esattamente calcolare gl'inconvenienti di un
misfatto. Egli è vero altresì che acquisteranno uno spirito d'indipendenza, ma
non già scuotitore delle leggi e ricalcitrante a' supremi magistrati, bensì a
quelli che hanno osato chiamare col sacro nome di virtù la debolezza di cedere
alle loro interessate o capricciose opinioni. Questi principii spiaceranno a
coloro che si sono fatto un diritto di trasmettere agl'inferiori i colpi della
tirannia che hanno ricevuto dai superiori. Dovrei tutto temere, se lo spirito
di tirannia fosse componibile collo spirito di lettura.
|