VI.
PROPORZIONE FRA I DELITTI E LE PENE
Non
solamente è interesse comune che non si commettano delitti, ma che siano più
rari a proporzione del male che arrecano alla società. Dunque più forti debbono
essere gli ostacoli che risospingono gli uomini dai delitti a misura che sono
contrari al ben pubblico, ed a misura delle spinte che gli portano ai delitti.
Dunque vi deve essere una proporzione fra i delitti e le pene.
È impossibile di prevenire
tutti i disordini nell'universal combattimento delle passioni umane. Essi
crescono in ragione composta della popolazione e dell'incrocicchiamento
degl'interessi particolari che non è possibile dirigere geometricamente alla
pubblica utilità. All'esattezza matematica bisogna sostituire nell'aritmetica
politica il calcolo delle probabilità. Si getti uno sguardo sulle storie e si
vedranno crescere i disordini coi confini degl'imperi, e, scemando nell'istessa
proporzione il sentimento nazionale, la spinta verso i delitti cresce in
ragione dell'interesse che ciascuno prende ai disordini medesimi: perciò la
necessità di aggravare le pene si va per questo motivo sempre più aumentando.
Quella forza simile alla
gravità, che ci spinge al nostro ben essere, non si trattiene che a misura
degli ostacoli che gli sono opposti. Gli effetti di questa forza sono la
confusa serie delle azioni umane: se queste si urtano scambievolmente e si
offendono, le pene, che io chiamerei ostacoli politici, ne impediscono
il cattivo effetto senza distruggere la causa impellente, che è la sensibilità
medesima inseparabile dall'uomo, e il legislatore fa come l'abile architetto di
cui l'officio è di opporsi alle direzioni rovinose della gravità e di far
conspirare quelle che contribuiscono alla forza dell'edificio.
Data la necessità della
riunione degli uomini, dati i patti, che necessariamente risultano dalla
opposizione medesima degl'interessi privati, trovasi una scala di disordini,
dei quali il primo grado consiste in quelli che distruggono immediatamente la
società, e l'ultimo nella minima ingiustizia possibile fatta ai privati membri
di essa. Tra questi estremi sono comprese tutte le azioni opposte al ben
pubblico, che chiamansi delitti, e tutte vanno, per gradi insensibili,
decrescendo dal più sublime al più infimo. Se la geometria fosse adattabile
alle infinite ed oscure combinazioni delle azioni umane, vi dovrebbe essere una
scala corrispondente di pene, che discendesse dalla più forte alla più debole:
ma basterà al saggio legislatore di segnarne i punti principali, senza turbar
l'ordine, non decretando ai delitti del primo grado le pene dell'ultimo. Se vi
fosse una scala esatta ed universale delle pene e dei delitti, avremmo una
probabile e comune misura dei gradi di tirannia e di libertà, del fondo di
umanità o di malizia delle diverse nazioni.
Qualunque azione non compresa
tra i due sovraccennati limiti non può essere chiamata delitto, o punita
come tale, se non da coloro che vi trovano il loro interesse nel così
chiamarla. La incertezza di questi limiti ha prodotta nelle nazioni una morale
che contradice alla legislazione; più attuali legislazioni che si escludono
scambievolmente; una moltitudine di leggi che espongono il più saggio alle pene
più rigorose, e però resi vaghi e fluttuanti i nomi di vizio e di virtù,
e però nata l'incertezza della propria esistenza, che produce il letargo ed il
sonno fatale nei corpi politici. Chiunque leggerà con occhio filosofico i
codici delle nazioni e i loro annali, troverà quasi sempre i nomi di vizio
e di virtù, di buon cittadino o di reo cangiarsi colle
rivoluzioni dei secoli, non in ragione delle mutazioni che accadono nelle
circostanze dei paesi, e per conseguenza sempre conformi all'interesse comune,
ma in ragione delle passioni e degli errori che successivamente agitarono i
differenti legislatori. Vedrà bene spesso che le passioni di un secolo sono la
base della morale dei secoli futuri, che le passioni forti, figlie del
fanatismo e dell'entusiasmo, indebolite e rose, dirò così, dal tempo, che
riduce tutti i fenomeni fisici e morali all'equilibrio, diventano a poco a poco
la prudenza del secolo e lo strumento utile in mano del forte e dell'accorto.
In questo modo nacquero le oscurissime nozioni di onore e di virtù, e tali sono
perché si cambiano colle rivoluzioni del tempo che fa sopravvivere i nomi alle
cose, si cambiano coi fiumi e colle montagne che sono bene spesso i confini,
non solo della fisica, ma della morale geografia.
Se il piacere e il dolore sono
i motori degli esseri sensibili, se tra i motivi che spingono gli uomini anche
alle più sublimi operazioni, furono destinati dall'invisibile legislatore il
premio e la pena, dalla inesatta distribuzione di queste ne nascerà quella
tanto meno osservata contradizione, quanto più comune, che le pene puniscano i
delitti che hanno fatto nascere. Se una pena uguale è destinata a due delitti
che disugualmente offendono la società, gli uomini non troveranno un più forte
ostacolo per commettere il maggior delitto, se con esso vi trovino unito un
maggior vantaggio.
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