VIII.
DIVISIONE DEI DELITTI
Abbiamo
veduto qual sia la vera misura dei delitti, cioè il danno della società.
Questa è una di quelle palpabili verità che, quantunque non abbian bisogno né
di quadranti, né di telescopi per essere scoperte, ma sieno alla portata di
ciascun mediocre intelletto, pure per una maravigliosa combinazione di
circostanze non sono con decisa sicurezza conosciute che da alcuni pochi
pensatori, uomini d'ogni nazione e d'ogni secolo. Ma le opinioni asiatiche, ma
le passioni vestite d'autorità e di potere hanno, la maggior parte delle volte
per insensibili spinte, alcune poche per violente impressioni sulla timida
credulità degli uomini, dissipate le semplici nozioni, che forse formavano la
prima filosofia delle nascenti società ed a cui la luce di questo secolo sembra
che ci riconduca, con quella maggior fermezza però che può essere somministrata
da un esame geometrico, da mille funeste sperienze e dagli ostacoli medesimi.
Or l'ordine ci condurrebbe ad esaminare e distinguere tutte le differenti sorte
di delitti e la maniera di punirgli, se la variabile natura di essi per le
diverse circostanze dei secoli e dei luoghi non ci obbligasse ad un dettaglio
immenso e noioso. Mi basterà indicare i principii più generali e gli errori più
funesti e comuni per disingannare sì quelli che per un mal inteso amore di
libertà vorrebbono introdurre l'anarchia, come coloro che amerebbero ridurre
gli uomini ad una claustrale regolarità.
Alcuni delitti distruggono
immediatamente la società, o chi la rappresenta; alcuni offendono la privata
sicurezza di un cittadino nella vita, nei beni, o nell'onore; alcuni altri sono
azioni contrarie a ciò che ciascuno è obbligato dalle leggi di fare, o non
fare, in vista del ben pubblico. I primi, che sono i massimi delitti, perché
più dannosi, son quelli che chiamansi di lesa maestà. La sola tirannia e
l'ignoranza, che confondono i vocaboli e le idee più chiare, possono dar questo
nome, e per conseguenza la massima pena, a' delitti di differente natura, e rendere
così gli uomini, come in mille altre occasioni, vittime di una parola. Ogni
delitto, benché privato, offende la società, ma ogni delitto non ne tenta la
immediata distruzione. Le azioni morali, come le fisiche, hanno la loro sfera
limitata di attività e sono diversamente circonscritte, come tutti i movimenti
di natura, dal tempo e dallo spazio; e però la sola cavillosa interpetrazione,
che è per l'ordinario la filosofia della schiavitù, può confondere ciò che
dall'eterna verità fu con immutabili rapporti distinto.
Dopo questi seguono i delitti
contrari alla sicurezza di ciascun particolare. Essendo questo il fine primario
di ogni legittima associazione, non può non assegnarsi alla violazione del
dritto di sicurezza acquistato da ogni cittadino alcuna delle pene più
considerabili stabilita dalle leggi.
L'opinione che ciaschedun
cittadino deve avere di poter fare tutto ciò che non è contrario alle leggi
senza temerne altro inconveniente che quello che può nascere dall'azione
medesima, questo è il dogma politico che dovrebb'essere dai popoli creduto e
dai supremi magistrati colla incorrotta custodia delle leggi predicato; sacro
dogma, senza di cui non vi può essere legittima società, giusta ricompensa del
sacrificio fatto dagli uomini di quell'azione universale su tutte le cose che è
comune ad ogni essere sensibile, e limitata soltanto dalle proprie forze.
Questo forma le libere anime e vigorose e le menti rischiaratrici, rende gli
uomini virtuosi, ma di quella virtù che sa resistere al timore, e non di quella
pieghevole prudenza, degna solo di chi può soffrire un'esistenza precaria ed
incerta. Gli attentati dunque contro la sicurezza e libertà dei cittadini sono
uno de' maggiori delitti, e sotto questa classe cadono non solo gli assassinii
e i furti degli uomini plebei, ma quelli ancora dei grandi e dei magistrati,
l'influenza dei quali agisce ad una maggior distanza e con maggior vigore,
distruggendo nei sudditi le idee di giustizia e di dovere, e sostituendo quella
del diritto del più forte, pericoloso del pari in chi lo esercita e in chi lo
soffre.
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