XXI.
PENE DEI NOBILI
Quali saranno dunque le pene
dovute ai delitti dei nobili, i privilegi dei quali formano gran parte delle leggi
delle nazioni? Io qui non esaminerò se questa distinzione ereditaria tra nobili
e plebei sia utile in un governo o necessaria nella monarchia, se egli è vero
che formi un potere intermedio, che limiti gli eccessi dei due estremi, o non
piuttosto formi un ceto che, schiavo di se stesso e di altrui, racchiude ogni
circolazione di credito e di speranza in uno strettissimo cerchio, simile a
quelle feconde ed amene isolette che spiccano negli arenosi e vasti deserti
d'Arabia, e che, quando sia vero che la disuguaglianza sia inevitabile o utile
nelle società, sia vero altresì che ella debba consistere piuttosto nei ceti
che negl'individui, fermarsi in una parte piuttosto che circolare per tutto il
corpo politico, perpetuarsi piuttosto che nascere e distruggersi
incessantemente. Io mi ristringerò alle sole pene dovute a questo rango,
asserendo che esser debbono le medesime pel primo e per l'ultimo cittadino.
Ogni distinzione sia negli onori sia nelle ricchezze perché sia legittima
suppone un'anteriore uguaglianza fondata sulle leggi, che considerano tutti i
sudditi come egualmente dipendenti da esse. Si deve supporre che gli uomini che
hanno rinunziato al naturale loro dispotismo abbiano detto: chi sarà più
industrioso abbia maggiori onori, e la fama di lui risplenda ne' suoi
successori; ma chi è più felice o più onorato speri di più, ma non tema meno
degli altri di violare quei patti coi quali è sopra gli altri sollevato.
Egli è vero che tali decreti non emanarono in una dieta del genere umano, ma
tali decreti esistono negl'immobili rapporti delle cose, non distruggono quei
vantaggi che si suppongono prodotti dalla nobiltà e ne impediscono
gl'inconvenienti; rendono formidabili le leggi chiudendo ogni strada
all'impunità. A chi dicesse che la medesima pena data al nobile ed al plebeo
non è realmente la stessa per la diversità dell'educazione, per l'infamia che
spandesi su di un'illustre famiglia, risponderei che la sensibilità del reo non
è la misura delle pene, ma il pubblico danno, tanto maggiore quanto è fatto da
chi è più favorito; e che l'uguaglianza delle pene non può essere che
estrinseca, essendo realmente diversa in ciascun individuo; che l'infamia di
una famiglia può esser tolta dal sovrano con dimostrazioni pubbliche di
benevolenza all'innocente famiglia del reo. E chi non sa che le sensibili
formalità tengon luogo di ragioni al credulo ed ammiratore popolo?
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