XXII.
FURTI
I furti che non hanno unito
violenza dovrebbero esser puniti con pena pecuniaria. Chi cerca d'arricchirsi
dell'altrui dovrebbe esser impoverito del proprio. Ma come questo non è per
l'ordinario che il delitto della miseria e della disperazione, il delitto di
quella infelice parte di uomini a cui il diritto di proprietà (terribile, e
forse non necessario diritto) non ha lasciato che una nuda esistenza, ma come
le pene pecuniarie accrescono il numero dei rei al di sopra di quello de'
delitti e che tolgono il pane agl'innocenti per toglierlo agli scellerati, la
pena più opportuna sarà quell'unica sorta di schiavitù che si possa chiamar
giusta, cioè la schiavitù per un tempo delle opere e della persona alla comune
società, per risarcirla colla propria e perfetta dipendenza dell'ingiusto
dispotismo usurpato sul patto sociale. Ma quando il furto sia misto di violenza,
la pena dev'essere parimente un misto di corporale e di servile. Altri
scrittori prima di me hanno dimostrato l'evidente disordine che nasce dal non
distinguere le pene dei furti violenti da quelle dei furti dolosi facendo
l'assurda equazione di una grossa somma di denaro colla vita di un uomo; ma non
è mai superfluo il ripetere ciò che non è quasi mai stato eseguito. Le macchine
politiche conservano più d'ogni altra il moto concepito e sono le più lente ad
acquistarne un nuovo. Questi sono delitti di differente natura, ed è certissimo
anche in politica quell'assioma di matematica, che tralle quantità eterogenee
vi è l'infinito che le separa.
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