XXIII.
INFAMIA
Le ingiurie
personali e contrarie all'onore, cioè a quella giusta porzione di suffragi che
un cittadino ha dritto di esigere dagli altri, debbono essere punite
coll'infamia. Quest'infamia è un segno della pubblica disapprovazione che priva
il reo de' pubblici voti, della confidenza della patria e di quella quasi
fraternità che la società inspira. Ella non è in arbitrio della legge. Bisogna
dunque che l'infamia della legge sia la stessa che quella che nasce dai
rapporti delle cose, la stessa che la morale universale, o la particolare
dipendente dai sistemi particolari, legislatori delle volgari opinioni e di
quella tal nazione che inspirano. Se l'una è differente dall'altra, o la legge
perde la pubblica venerazione, o l'idee della morale e della probità
svaniscono, ad onta delle declamazioni che mai non resistono agli esempi. Chi
dichiara infami azioni per sé indifferenti sminuisce l'infamia delle azioni che
son veramente tali. Le pene d'infamia non debbono essere né troppo frequenti né
cadere sopra un gran numero di persone in una volta: non il primo, perché gli
effetti reali e troppo frequenti delle cose d'opinione indeboliscono la forza
della opinione medesima, non il secondo, perché l'infamia di molti si risolve
nella infamia di nessuno.
Le pene corporali e dolorose
non devono darsi a quei delitti che, fondati sull'orgoglio, traggono dal dolore
istesso gloria ed alimento, ai quali convengono il ridicolo e l'infamia, pene
che frenano l'orgoglio dei fanatici coll'orgoglio degli spettatori e dalla
tenacità delle quali appena con lenti ed ostinati sforzi la verità stessa si
libera. Così forze opponendo a forze ed opinioni ad opinioni il saggio
legislatore rompa l'ammirazione e la sorpresa nel popolo cagionata da un falso
principio, i ben dedotti conseguenti del quale sogliono velarne al volgo
l'originaria assurdità.
Ecco la maniera di non
confondere i rapporti e la natura invariabile delle cose, che non essendo
limitata dal tempo ed operando incessantemente, confonde e svolge tutti i
limitati regolamenti che da lei si scostano. Non sono le sole arti di gusto e
di piacere che hanno per principio universale l'imitazione fedele della natura,
ma la politica istessa, almeno la vera e la durevole, è soggetta a questa
massima generale, poiché ella non è altro che l'arte di meglio dirigere e di
rendere conspiranti i sentimenti immutabili degli uomini.
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