XXIV.
OZIOSI
Chi turba la
tranquillità pubblica, chi non ubbidisce alle leggi, cioè alle condizioni con
cui gli uomini si soffrono scambievolmente e si difendono, quegli dev'esser
escluso dalla società, cioè dev'essere bandito. Questa è la ragione per cui i
saggi governi non soffrono, nel seno del travaglio e dell'industria, quel
genere di ozio politico confuso dagli austeri declamatori coll'ozio delle
ricchezze accumulate dall'industria, ozio necessario ed utile a misura che la
società si dilata e l'amministrazione si ristringe. Io chiamo ozio politico
quello che non contribuisce alla società né col travaglio né colla ricchezza,
che acquista senza giammai perdere, che, venerato dal volgo con stupida
ammirazione, risguardato dal saggio con isdegnosa compassione per gli esseri
che ne sono la vittima, che, essendo privo di quello stimolo della vita attiva
che è la necessità di custodire o di aumentare i comodi della vita, lascia alle
passioni di opinione, che non sono le meno forti, tutta la loro energia. Non è
ozioso politicamente chi gode dei frutti dei vizi o delle virtù de' propri
antenati, e vende per attuali piaceri il pane e l'esistenza alla industriosa
povertà, ch'esercita in pace la tacita guerra d'industria colla opulenza, in
vece della incerta e sanguinosa colla forza. E però non l'austera e limitata
virtù di alcuni censori, ma le leggi debbono definire qual sia l'ozio da
punirsi.
Sembra che il bando dovrebbe
esser dato a coloro i quali, accusati di un atroce delitto, hanno una grande
probabilità, ma non la certezza contro di loro, di esser rei; ma per ciò fare è
necessario uno statuto il meno arbitrario e il più preciso che sia possibile,
il quale condanni al bando chi ha messo la nazione nella fatale alternativa o
di temerlo o di offenderlo, lasciandogli però il sacro diritto di provare
l'innocenza sua. Maggiori dovrebbon essere i motivi contro un nazionale che
contro un forestiere, contro un incolpato per la prima volta che contro chi lo
fu più volte.
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