XXV.
BANDO E CONFISCHE
Ma chi è bandito ed escluso
per sempre dalla società di cui era membro, dev'egli esser privato dei suoi
beni? Una tal questione è suscettibile di differenti aspetti. Il perdere i beni
è una pena maggiore di quella del bando; vi debbono dunque essere alcuni casi
in cui, proporzionatamente a' delitti, vi sia la perdita di tutto o di parte dei
beni, ed alcuni no. La perdita del tutto sarà quando il bando intimato dalla
legge sia tale che annienti tutt'i rapporti che sono tra la società e un
cittadino delinquente; allora muore il cittadino e resta l'uomo, e rispetto al
corpo politico deve produrre lo stesso effetto che la morte naturale. Parrebbe
dunque che i beni tolti al reo dovessero toccare ai legittimi successori
piuttosto che al principe, poiché la morte ed un tal bando sono lo stesso
riguardo al corpo politico. Ma non è per questa sottigliezza che oso
disapprovare le confische dei beni. Se alcuni hanno sostenuto che le confische
sieno state un freno alle vendette ed alle prepotenze private, non riflettono
che, quantunque le pene producano un bene, non però sono sempre giuste, perché
per esser tali debbono esser necessarie, ed un'utile ingiustizia non può esser
tollerata da quel legislatore che vuol chiudere tutte le porte alla vigilante
tirannia, che lusinga col bene momentaneo e colla felicità di alcuni illustri,
sprezzando l'esterminio futuro e le lacrime d'infiniti oscuri. Le confische
mettono un prezzo sulle teste dei deboli, fanno soffrire all'innocente la pena
del reo e pongono gl'innocenti medesimi nella disperata necessità di commettere
i delitti. Qual più tristo spettacolo che una famiglia strascinata all'infamia
ed alla miseria dai delitti di un capo, alla quale la sommissione ordinata
dalle leggi impedirebbe il prevenirgli, quand'anche vi fossero i mezzi per
farlo!
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