XXVII.
DOLCEZZA DELLE PENE
Ma il corso
delle mie idee mi ha trasportato fuori del mio soggetto, al rischiaramento del
quale debbo affrettarmi. Uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà
delle pene, ma l'infallibilità di esse, e per conseguenza la vigilanza dei
magistrati, e quella severità di un giudice inesorabile, che, per essere
un'utile virtù, dev'essere accompagnata da una dolce legislazione. La certezza
di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il
timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell'impunità; perché i
mali, anche minimi, quando son certi, spaventano sempre gli animi umani, e la
speranza, dono celeste, che sovente ci tien luogo di tutto, ne allontana sempre
l'idea dei maggiori, massimamente quando l'impunità, che l'avarizia e la
debolezza spesso accordano, ne aumenti la forza. L'atrocità stessa della pena
fa che si ardisca tanto di più per ischivarla, quanto è grande il male a cui si
va incontro; fa che si commettano più delitti, per fuggir la pena di un solo. I
paesi e i tempi dei più atroci supplicii furon sempre quelli delle più
sanguinose ed inumane azioni, poiché il medesimo spirito di ferocia che guidava
la mano del legislatore, reggeva quella del parricida e del sicario. Sul trono
dettava leggi di ferro ad anime atroci di schiavi, che ubbidivano. Nella
privata oscurità stimolava ad immolare i tiranni per crearne dei nuovi.
A misura che i supplicii
diventano più crudeli, gli animi umani, che come i fluidi si mettono sempre a
livello cogli oggetti che gli circondano, s'incalliscono, e la forza sempre
viva delle passioni fa che, dopo cent'anni di crudeli supplicii, la ruota
spaventi tanto quanto prima la prigionia. Perché una pena ottenga il suo
effetto basta che il male della pena ecceda il bene che nasce dal delitto, e in
questo eccesso di male dev'essere calcolata l'infallibilità della pena e la
perdita del bene che il delitto produrrebbe. Tutto il di più è dunque superfluo
e perciò tirannico. Gli uomini si regolano per la ripetuta azione dei mali che
conoscono, e non su quelli che ignorano. Si facciano due nazioni, in una delle
quali, nella scala delle pene proporzionata alla scala dei delitti, la pena
maggiore sia la schiavitù perpetua, e nell'altra la ruota. Io dico che la prima
avrà tanto timore della sua maggior pena quanto la seconda; e se vi è una
ragione di trasportar nella prima le pene maggiori della seconda, l'istessa
ragione servirebbe per accrescere le pene di quest'ultima, passando
insensibilmente dalla ruota ai tormenti più lenti e più studiati, e fino agli
ultimi raffinamenti della scienza troppo conosciuta dai tiranni.
Due altre funeste conseguenze
derivano dalla crudeltà delle pene, contrarie al fine medesimo di prevenire i
delitti. La prima è che non è sì facile il serbare la proporzione essenziale
tra il delitto e la pena, perché, quantunque un'industriosa crudeltà ne abbia
variate moltissimo le specie, pure non possono oltrepassare quell'ultima forza
a cui è limitata l'organizzazione e la sensibilità umana. Giunto che si sia a
questo estremo, non si troverebbe a' delitti più dannosi e più atroci pena
maggiore corrispondente, come sarebbe d'uopo per prevenirgli. L'altra
conseguenza è che la impunità stessa nasce dall'atrocità dei supplicii. Gli
uomini sono racchiusi fra certi limiti, sì nel bene che nel male, ed uno
spettacolo troppo atroce per l'umanità non può essere che un passeggiero
furore, ma non mai un sistema costante quali debbono essere le leggi; che se
veramente son crudeli, o si cangiano, o l'impunità fatale nasce dalle leggi
medesime.
Chi nel leggere le storie non
si raccapriccia d'orrore pe' barbari ed inutili tormenti che da uomini, che si
chiamavano savi, furono con freddo animo inventati ed eseguiti? Chi può non
sentirsi fremere tutta la parte la più sensibile nel vedere migliaia d'infelici
che la miseria, o voluta o tollerata dalle leggi, che hanno sempre favorito i
pochi ed oltraggiato i molti, trasse ad un disperato ritorno nel primo stato di
natura, o accusati di delitti impossibili e fabbricati dalla timida ignoranza,
o rei non d'altro che di esser fedeli ai propri principii, da uomini dotati dei
medesimi sensi, e per conseguenza delle medesime passioni, con meditate
formalità e con lente torture lacerati, giocondo spettacolo di una fanatica
moltitudine?
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