XXXII.
SUICIDIO
Il suicidio
è un delitto che sembra non poter ammettere una pena propriamente detta, poiché
ella non può cadere che o su gl'innocenti, o su di un corpo freddo ed
insensibile. Se questa non farà alcuna impressione su i viventi, come non lo
farebbe lo sferzare una statua, quella è ingiusta e tirannica, perché la
libertà politica degli uomini suppone necessariamente che le pene sieno
meramente personali. Gli uomini amano troppo la vita, e tutto ciò che gli
circonda li conferma in questo amore. La seducente immagine del piacere e la
speranza, dolcissimo inganno de' mortali, per cui trangugiano a gran sorsi il male
misto di poche stille di contento, gli alletta troppo perché temer si debba che
la necessaria impunità di un tal delitto abbia qualche influenza sugli uomini.
Chi teme il dolore ubbidisce alle leggi; ma la morte ne estingue nel corpo
tutte le sorgenti. Qual dunque sarà il motivo che tratterrà la mano disperata
del suicida?
Chiunque si uccide fa un minor
male alla società che colui che ne esce per sempre dai confini, perché quegli
vi lascia tutta la sua sostanza, ma questi trasporta se stesso con parte del
suo avere. Anzi se la forza della società consiste nel numero de' cittadini,
col sottrarre se stesso e darsi ad una vicina nazione fa un doppio danno di
quello che lo faccia chi semplicemente colla morte si toglie alla società. La questione
dunque si riduce a sapere se sia utile o dannoso alla nazione il lasciare una
perpetua libertà di assentarsi a ciascun membro di essa.
Ogni legge che non sia armata,
o che la natura delle circostanze renda insussistente, non deve promulgarsi; e
come sugli animi regna l'opinione, che ubbidisce alle lente ed indirette
impressioni del legislatore, che resiste alle dirette e violente, così le leggi
inutili, disprezzate dagli uomini, comunicano il loro avvilimento alle leggi
anche più salutari, che sono risguardate più come un ostacolo da superarsi che
il deposito del pubblico bene. Anzi se, come fu detto, i nostri sentimenti sono
limitati, quanta venerazione gli uomini avranno per oggetti estranei alle leggi
tanto meno ne resterà alle leggi medesime. Da questo principio il saggio
dispensatore della pubblica felicità può trarre alcune utili conseguenze, che,
esponendole, mi allontanerebbono troppo dal mio soggetto, che è di provare
l'inutilità di fare dello stato una prigione. Una tal legge è inutile perché, a
meno che scogli inaccessibili o mare innavigabile non dividano un paese da
tutti gli altri, come chiudere tutti i punti della circonferenza di esso e come
custodire i custodi? Chi tutto trasporta non può, da che lo ha fatto, esserne
punito. Un tal delitto subito che è commesso non può più punirsi, e il punirlo
prima è punire la volontà degli uomini e non le azioni; egli è un comandare
all'intenzione, parte liberissima dell'uomo dall'impero delle umane leggi. Il
punire l'assente nelle sostanze lasciatevi, oltre la facile ed inevitabile
collusione, che senza tiranneggiare i contratti non può esser tolta,
arrenerebbe ogni commercio da nazione a nazione. Il punirlo quando ritornasse
il reo, sarebbe l'impedire che si ripari il male fatto alla società col rendere
tutte le assenze perpetue. La proibizione stessa di sortire da un paese ne
aumenta il desiderio ai nazionali di sortirne, ed è un avvertimento ai
forestieri di non introdurvisi.
Che dovremo pensare di un governo
che non ha altro mezzo per trattenere gli uomini, naturalmente attaccati per le
prime impressioni dell'infanzia alla loro patria, fuori che il timore? La più
sicura maniera di fissare i cittadini nella patria è di aumentare il ben essere
relativo di ciascheduno. Come devesi fare ogni sforzo perché la bilancia del
commercio sia in nostro favore, così è il massimo interesse del sovrano e della
nazione che la somma della felicità, paragonata con quella delle nazioni
circostanti, sia maggiore che altrove. I piaceri del lusso non sono i
principali elementi di questa felicità, quantunque questo sia un rimedio
necessario alla disuguaglianza, che cresce coi progressi di una nazione, senza
di cui le ricchezze si addenserebbono in una sola mano. Dove i confini di un
paese si aumentano in maggior ragione che non la popolazione di esso, ivi il
lusso favorisce il dispotismo, sì perché quanto gli uomini sono più rari tanto
è minore l'industria; e quanto è minore l'industria, è tanto più grande la
dipendenza della povertà dal fasto, ed è tanto più difficile e men temuta la
riunione degli oppressi contro gli oppressori, sì perché le adorazioni, gli
uffici, le distinzioni, la sommissione, che rendono più sensibile la distanza
tra il forte e il debole, si ottengono più facilmente dai pochi che dai molti,
essendo gli uomini tanto più indipendenti quanto meno osservati, e tanto meno
osservati quanto maggiore ne è il numero. Ma dove la popolazione cresce in
maggior proporzione che non i confini, il lusso si oppone al dispotismo, perché
anima l'industria e l'attività degli uomini, e il bisogno offre troppi piaceri
e comodi al ricco perché quegli d'ostentazione, che aumentano l'opinione di
dipendenza, abbiano il maggior luogo. Quindi può osservarsi che negli stati
vasti e deboli e spopolati, se altre cagioni non vi mettono ostacolo, il lusso
d'ostentazione prevale a quello di comodo; ma negli stati popolati più che
vasti il lusso di comodo fa sempre sminuire quello di ostentazione. Ma il
commercio ed il passaggio dei piaceri del lusso ha questo inconveniente, che
quantunque facciasi per il mezzo di molti, pure comincia in pochi, e termina in
pochi, e solo pochissima parte ne gusta il maggior numero, talché non impedisce
il sentimento della miseria, più cagionato dal paragone che dalla realità. Ma
la sicurezza e la libertà limitata dalle sole leggi sono quelle che formano la
base principale di questa felicità, colle quali i piaceri del lusso favoriscono
la popolazione, e senza di quelle divengono lo stromento della tirannia. Siccome
le fiere più generose e i liberissimi uccelli si allontanano nelle solitudini e
nei boschi inaccessibili, ed abbandonano le fertili e ridenti campagne all'uomo
insidiatore, così gli uomini fuggono i piaceri medesimi quando la tirannia gli
distribuisce.
Egli è dunque dimostrato che la
legge che imprigiona i sudditi nel loro paese è inutile ed ingiusta. Dunque lo
sarà parimente la pena del suicidio; e perciò, quantunque sia una colpa che Dio
punisce, perché solo può punire anche dopo la morte, non è un delitto avanti
gli uomini, perché la pena, in vece di cadere sul reo medesimo, cade sulla di
lui famiglia. Se alcuno mi opponesse che una tal pena può nondimeno ritrarre un
uomo determinato dall'uccidersi, io rispondo: che chi tranquillamente rinuncia
al bene della vita, che odia l'esistenza quaggiù, talché vi preferisce
un'infelice eternità, deve essere niente mosso dalla meno efficace e più
lontana considerazione dei figli o dei parenti.
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