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Cesare Beccaria
Dei delitti e delle pene

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  • XXXIII. CONTRABBANDI
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XXXIII.
CONTRABBANDI

     Il contrabbando è un vero delitto che offende il sovrano e la nazione, ma la di lui pena non dev'essere infamante, perché commesso non produce infamia nella pubblica opinione. Chiunque pene infamanti a' delitti che non sono reputati tali dagli uomini, scema il sentimento d'infamia per quelli che lo sono. Chiunque vedrà stabilita la medesima pena di morte, per esempio, a chi uccide un fagiano ed a chi assassina un uomo o falsifica uno scritto importante, non farà alcuna differenza tra questi delitti, distruggendosi in questa maniera i sentimenti morali, opera di molti secoli e di molto sangue, lentissimi e difficili a prodursi nell'animo umano, per far nascere i quali fu creduto necessario l'aiuto dei più sublimi motivi e un tanto apparato di gravi formalità.
     Questo delitto nasce dalla legge medesima poiché, crescendo la gabella, cresce sempre il vantaggio, e però la tentazione di fare il contrabbando e la facilità di commetterlo cresce colla circonferenza da custodirsi e colla diminuzione del volume della merce medesima. La pena di perdere e la merce bandita e la roba che l'accompagna è giustissima, ma sarà tanto più efficace quanto più piccola sarà la gabella, perché gli uomini non rischiano che a proporzione del vantaggio che l'esito felice dell'impresa produrrebbe.
     Ma perché mai questo delitto non cagiona infamia al di lui autore, essendo un furto fatto al principe, e per conseguenza alla nazione medesima? Rispondo che le offese che gli uomini credono non poter essere loro fatte, non l'interessano tanto che basti a produrre la pubblica indegnazione contro di chi le commette. Tale è il contrabbando. Gli uomini su i quali le conseguenze rimote fanno debolissime impressioni, non veggono il danno che può loro accadere per il contrabbando, anzi sovente ne godono i vantaggi presenti. Essi non veggono che il danno fatto al principe; non sono dunque interessati a privare dei loro suffragi chi fa un contrabbando, quanto lo sono contro chi commette un furto privato, contro chi falsifica il carattere, ed altri mali che posson loro accadere. Principio evidente che ogni essere sensibile non s'interessa che per i mali che conosce.
     Ma dovrassi lasciare impunito un tal delitto contro chi non ha roba da perdere? No: vi sono dei contrabbandi che interessano talmente la natura del tributo, parte così essenziale e così difficile in una buona legislazione, che un tal delitto merita una pena considerabile fino alla prigione medesima, fino alla servitù; ma prigione e servitù conforme alla natura del delitto medesimo. Per esempio la prigionia del contrabbandiere di tabacco non dev'essere comune con quella del sicario o del ladro, e i lavori del primo, limitati al travaglio e servigio della regalia medesima che ha voluto defraudare, saranno i più conformi alla natura delle pene.




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