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Pietro Bembo Prose della volgar lingua IntraText CT - Lettura del testo |
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Io, senza dubbio alcuno -
disse lo Strozza - mi persuado, messer Carlo, che così sia, come voi dite; poscia
che io tutti e tre vi veggo in ciò essere d'una sentenza. E pure dianzi quando
messer Federigo ci recò le due comperazioni degli scabbiosi, oltre che elle
parute m'erano alquanto essere disonoratamente dette, sì mi parea egli ancora
che vi fosse una voce delle vostre, dico di questa città, là in quel verso: Da
ragazzo aspettato da signor so, nel quale, So, pare detto in vece di
Suo, forse più licenziosamente che a grave e moderato poeta non
s'appartiene -. Alle quali parole traponendosi il Magnifico: - Egli è ben vero
- disse - che delle voci di questa città sparse Dante e seminò in più luoghi
della sua Comedia che io non arei voluto, sì come sono Fantin e Fantolin,
che egli disse più volte, e Fra, in vece di Frate, e Ca,
in vece di Casa, e Polo, e somiglianti. Ma questa voce Signorso,
che voi credete, messer Ercole, che sian due, ella altro che una voce non è, e,
oltre a questo, è toscana tutta e non viniziana in parte alcuna; quantunque
ella bassissima voce sia e per poco solamente dal volgo usata, e per ciò non
meritevole d'aver luogo negli eroici componimenti. - Come una voce, - disse
messer Ercole - o in qual modo? - Dirollovi - rispose il Magnifico, e seguitò
in questa maniera: - Voi dovete, messer Ercole, sapere, usanza della Toscana
essere con alquante così fatte voci congiugnere questi possessivi Mio, Tuo,
Suo, in modo che se ne fa uno intero, traendone tuttavia la lettera del
mezzo, ciò è la I e la U, in questa guisa: Signòrso, Signorto,
in luogo di Signor suo e Signor tuo; e Fratèlmo, in luogo
di Fratel mio; e Pàtremo e Màtrema, in luogo di Patre
mio e Matre mia; e Mògliema e Mòglieta, e alcuna volta
Figliuòlto, e così d'alcune altre; alle quali voci tutte non si dà
l'articolo, ma si leva, che non diciamo Dal Signorso o Della Moglieta,
ma Di Moglieta e Da Signorso; sì come disse Dante in quel verso,
e come si legge nelle novelle del Boccaccio, nelle quali egli e Signorto
e Moglieta pose più d'una volta, e Fratelmo ancora. E dicovi più,
che queste voci s'usano, ragionando tuttodì, non solo nella Toscana, ma ancora
in alcuna delle vicinanze sue, che da noi prese l'hanno, e in Roma altresì; e
messer Federigo le dee aver udite ad Urbino in bocca di quelle genti molte
volte. Così è, Giuliano, - disse incontanente messer Federigo. - Né pure queste
voci solamente s'usano tra que' monti, come dite, che vostre siano, ma
dell'altre medesimamente, tra le quali una ve n'è loro così in usanza, che io
ho alle volte creduto che ella non sia vostra. E questa è Avaccio, che
si dice in vece di Tosto; con ciò sia cosa che in Firenze, sì come io
odo, ella oggimai niente più s'usa, o poco -. Alle quali parole il Magnifico
così rispose: - Egli non è dubbio, messer Federigo, che Avaccio, voce
nostra, non sia tratta da Avacciare, che è Affrettare, molto
antica e dalle antiche toscane prose ricordata molto spesso o, dalle quali
pigliare l'hanno Dante e il Boccaccio potuta, che Avacciare, in luogo d'Affrettare,
più volte dissero. Dal qual verbo si fe' Avaccio, voce molto più del
verso che della prosa, la quale usò il medesimo Boccaccio nelle sue ottave
rime, se io non sono errato, alquante volte, e Dante medesimo per la sua
Comedia la seminò alquante altre. Né l'una di queste voci né l'altra si vede
che abbia voluto usare il Petrarca, ma in luogo d'Avacciare, che ad uopo
gli veniva, disse Avanzare, fuggendo la bassezza del vocabolo, come io
stimo, e in questo modo inalzandolo:
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