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Pietro Bembo Prose della volgar lingua IntraText CT - Lettura del testo |
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Questa città, la quale per le sue molte e riverende reliquie, infino a questo dì a noi dalla ingiuria delle nimiche nazioni e del tempo, non leggier nimico, lasciate, più che per li sette colli, sopra i quali ancor siede, sé Roma essere subitamente dimostra a chi la mira, vede tutto il giorno a sé venire molti artefici di vicine e di lontane parti, i quali le belle antiche figure di marmo e talor di rame, che o sparse per tutta lei qua e là giacciono o sono publicamente e privatamente guardate e tenute care, e gli archi e le terme e i teatri e gli altri diversi edificii, che in alcuna loro parte sono in piè, con istudio cercando, nel picciolo spazio delle loro carte o cere la forma di quelli rapportano, e poscia, quando a fare essi alcuna nuova opera intendono, mirano in quegli essempi, e di rassomigliarli col loro artificio procacciando, tanto più sé dovere essere della loro fatica lodati si credono, quanto essi più alle antiche cose fanno per somiglianza ravicinare le loro nuove; perciò che sanno e veggono che quelle antiche più alla perfezion dell'arte s'accostano, che le fatte da indi innanzi. Questo hanno fatto più che altri, monsignore messer Giulio, i vostri Michele Agnolo fiorentino e Rafaello da Urbino, l'uno dipintore e scultore e architetto parimente, l'altro e dipintore e architetto altresì; e hannolo sì diligentemente fatto, che amendue sono ora così eccellenti e così chiari, che più agevole è a dire quanto essi agli antichi buoni maestri sieno prossimani, che quale di loro sia dell'altro maggiore e miglior maestro. La quale usanza e studio, se, in queste arti molto minori posto, e come si vede giovevole e profittevole grandemente, quanto si dee dire che egli maggiormente porre si debba nello scrivere, che è opera così leggiadra e così gentile, che niuna arte può bella e chiara compiutamente essere senza essa. Con ciò sia cosa che e Mirone e Fidia e Apelle e Vitruvio, o pure il vostro Leon Battista Alberti, e tanti altri pellegrini artefici per adietro stati, ora dal mondo conosciuti non sarebbono, se gli altrui o ancora i loro inchiostri celebrati non gli avessero, di maniera che vie più si leggessero, della loro creta o scarpello o pennello o archipenzolo le opere, che si vedessero. Quantunque non pur gli artefici, ma tutti gli altri uomini ancora di qualunque stato, essere lungo tempo chiari e illustri non possono altramente. Anzi eglino tanto più chiari sono e illustri ciascuno, quanto più uno, che altro, leggiadri scrittori ha de' fatti e della virtù sua. Perché ragionevolmente Alessandro il Magno, quando alla sepoltura d'Achille pervenne, fortunato il chiamò, così alto e famoso lodatore avendo avuto delle sue prodezze; quasi dir volesse, che egli, se bene molto maggiori cose facesse, non andrebbe così lodato per la successione degli uomini, come già vedeva essere ito Achille, per lo non avere egli Omero che di sé scrivesse, come era avenuto d'avere allui. Il che se così è, che essere per certo si vede, facciamo ancor noi, i quali agli studi delle lettere donati ci siamo e in essi ci trastulliamo, quello stesso che far veggiamo agli artefici che io dissi, e per le imagini e forme, che gli antichi uomini ci hanno de' loro animi e del lor valore lasciate, ciò sono le scritture, vie più che tutte le altre opere bastevoli, diligentemente cercando, a saper noi bene e leggiadramente scrivere appariamo; non dico nella latina lingua, la quale è in maniera di libri ripiena che oggimai vi soprabondano, ma nella nostra volgare, la quale oltra che più agevolezza allo scrivere ci presterà, eziandio ne ha più bisogno. Con ciò sia cosa che quantunque dal suo cominciamento infino a questo giorno non pochi siano stati quelli che v'hanno scritto, pochi nondimeno si vede, che sono di loro e in verso e in prosa i buoni scrittori.
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