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Pietro Bembo
Prose della volgar lingua

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  • Libro III
    • Capitolo II
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Capitolo II

      E io, acciò che gli altri più volentieri a questa opera si mettano, veggendo essi da principio tutta la strada per la quale a camminare hanno, che per adietro non s'è veduta, dico, che essendosi il terzo giorno medesimamente a casa mio fratello raunati gli tre, de' quali negli altri libri si disse, per fornire il ragionamento, ad utilità di messer Ercole due tra loro avuto, e già d'intorno al fuoco a seder postisi, disse messer Federigo al Magnifico: - Io veggo, Giuliano, che voi più aventurato sete oggi, di quello che messer Carlo e io questi due stati non siamo, perciò che il vento, che infino a stamane così forte ha soffiato, ora si tace e niuno strepito fa, quasi egli a voi più cheta e più riposata udienza dar voglia, che a noi non ha data -. A cui il Magnifico così rispose: - Voi dite il vero, messer Federigo, che ora nessun vento fiede; di che, io testé venendo qui con messer Ercole, amendue ne ragionavamo nella mia barchetta, che più agevolmente oggi, che ieri e l'altr'ieri non fece, ci portava oltre per queste liquide vie. Ma io sicuramente di ciò mestiero avea, a cui dire convien di cose sì poco per sé piacenti, che se romor niuno si sentisse, appena che io mi creda che voi udir mi poteste, non che voi badaste ad apprendere ciò che io dicessi. Come che tutto quello che io dirò, a messer Ercole fia detto, a cui fa luogo queste cose intendere, non a voi o a messer Carlo, che ne sete maestri. Anzi voglio io, che la condizione ieri da me postavi e da voi accettata, voi la mi osserviate, d'aiutarmi dove io mancassi; affine che per noi a messer Ercole non si manchi, il quale di ciò così disiderosamente ci ha richiesti e pregati -. Il che detto e dagli due consentito, più perché il Magnifico di dire non si rimanesse se essi il ricusassero, che perché lo stimassero a niun bisogno, esso così cominciò a parlare:




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