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Pietro Bembo
Prose della volgar lingua

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  • Libro III
    • Capitolo XXXIV
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Capitolo XXXIV

      Non avien così della terza voce del detto numero del meno, perciò che ella tre fini ha, con ciò sia cosa che e nella O e nella E e nella I termina. Ma nella O hanno fine le voci de' verbi, che sono della prima maniera, Amò Levò Pigliò Lasciò. Nella E finiscono quelle delle due seguenti, Volse Tolse Perdé; e della prima altresì, quando i verbi, nella lor prima voce, sono d'una sillaba e non più, Diede Fece, de' quali Do e Fo sono le prime voci. Delle quali voci tutte dire si può, che a quelle di loro solamente l'accento sopra l'ultima sillaba sia richiesto, le quali nella prima voce due vocali hanno per loro fine, Amai Amò, Potei Poté, Perdei Perdé, e non altre. Alla quarta maniera poscia si la I e l'accento medesimamente sopra essa, Udì Sentì Dipartì; fuori solamente il verbo Venire, che ha Venni nella prima e Venne nella terza voce del numero del meno e Vennero in quella del più, e il verbo Aprire, che Apersi e Aperse ha, e il verbo Coprire; le quali voci sotto regola non istanno, come che Aprì in vece d'Aperse, e Coprì in vece di Coperse, si legga nel verso. Dissi che si l'accento sopra essa, forse perciò che le intere voci erano primieramente queste, Udìo Sentìo Dipartìo; le quali nondimeno in ogni stagione si sono alle volte dette e ne' versi e nelle prose; uso per aventura preso da' Ciciliani, che l'hanno in bocca molto, come che essi usino ciò fare, non solo ne' verbi della quarta maniera, ma ancora in quegli dell'altre. Il che tuttavia non è stato ricevuto dalla Toscana, se non in poca parte e da' suoi più antichi, sì come furono messer Semprebene e messer Piero dalle Vigne, i quali Passao Mostrao Cangiao Toccao Domandao dissero ne' loro versi; quantunque il Boccaccio ancora, che così antico non fu, Discerneo dicesse ne' suoi. Di queste voci della quarta maniera levandosi, come io dico, l'ultima loro sillaba, che è la O, l'accento pure nel suo luogo rimase. Feo, oltre a questi, s'è alle volte da' toscani poeti detto, e Poteo e per aventura Perdeo. Né Feo qui si prende come voce di verbo della prima maniera, ma della terza; perciò che quantunque Fare sì come Amare si dica, non si formano perciò da questa le altre voci di lui, anzi da quest'altra Facere, che in uso della mia lingua non è, non altramente che se ella in uso fosse. È oltre acciò alcuna volta, che questa voce ha parimente due fini, sì come ha la prima di cui si disse, perciò che e Volle e Volse e Dolse e Dolfe si dice. Di questi nondimeno più nuovo pare a dire Dolfe, con ciò sia cosa che la F non sia lettera di questo verbo, né in alcuna altra parte di lui abbia luogo, se non in questo tempo, nel quale Dolfi e Dolfero eziandio alcuna volta dagli antichi s'è detto. Beo ancora egli due fini pare che abbia in questa voce, perciò che e Bebbe e Bevve si legge nelle buone scritture; il che è più tosto da dire che un fine sia, per la somiglianza che hanno verso di sé queste due lettere B e V, di maniera che Spesse volte si piglia una per altra. Formasi nondimeno Bevve da questa voce Beve, che tuttavia toscana non è, raddoppiandovisi la V, sì come da Piove, Piovve in questa medesima guisa si forma. Ha due fini medesimamente in questi verbi, ma in altra guisa, Diede e Die', Fece e Fe', non solo ne' poeti, ma ancora alle volte nelle prose. Dette Cadette Tacette Seguette e altre simili, che posero e Dante e il Boccaccio ne' loro versi, o esse della lingua propriamente non sono, o sono della molto antica e di quella, che più di ruvidezza in sé ha che di leggiadria. E se Penté e Converté nel medesimo Dante si leggono, è perciò che elle da Pentere e da Convertere, verbi della terza maniera, si formano, e Pentei e Convertei hanno, o almeno aver debbono, per loro prime voci di questo tempo.




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