Capitolo XI
Usò eziandio il Petrarca Ha,
in vece di sono, quando e' disse:
Fuor tutti i nostri lidi
ne l'isole famose di Fortuna
due fonti ha,
e ancora:
Che s'al contar non erro, oggi ha sett'anni,
che sospirando vo di riva in riva;
pure da' Provenzali, come io dico, togliendolo, i quali non solamente Ha
in vece d'è e di sono ponevano, anzi ancora Avea in vece
d'era e d'erano, et Ebbe in vece di fu e di furono
dicevano, e così per gli altri tempi tutti e guise di quel verbo discorrendo,
facevano molto spesso. Il quale uso imitarono degli altri e poeti e prosatori
di questa lingua, e sopra tutti il Boccaccio, il qual disse, Non ha lungo
tempo, e Quanti sensali ha in Firenze, e Quante donne v'avea, che
ve n'avea molte, e Nella quale, come che oggi ve n'abbia di ricchi
uomini, ve n'ebbe già uno, et Ebbevi di quelli, e altri simili
termini, non una volta disse, ma molte. Et è ciò nondimeno medesimamente
presente uso della Cicilia. E per dire del Petrarca, avenne alle volte che egli
delle italiche voci medesime usò col provenzale sentimento; il che si vede
nella voce Onde. Perciò che era On provenzale voce, usata da
quella nazione in moltissime guise oltra il sentimento suo latino e proprio.
Ciò imitando, usolla alquante volte licenziosamente il Petrarca, e tra le altre
questa: A la man, ond'io scrivo, è fatta amica, nel qual luogo egli pose
Onde, in vece di dire con la quale; e quest'altra:
Or quei begli occhi, ond'io mai non mi pento
de le mie pene,
dove Onde può altrettanto, quanto per cagion de' quali; il
che, quantunque paia arditamente e licenziosamente detto, è nondimeno con molta
grazia detto, sì come si vede essere ancora in molti altri luoghi del medesimo poeta,
pure dalla Provenza tolto, come io dissi. Sono, oltre a tutto questo, le
provenzali scritture piene d'un cotal modo di ragionare, che dicevano: Io
amo meglio, in vece di dire io voglio più tosto. Il qual modo,
piacendo al Boccaccio, egli il seminò molto spesso per le composizioni sue: Io
amo molto meglio di dispiacere a queste mie carni, che, facendo loro agio, io
facessi cosa che potesse essere perdizione dell'anima mia; e altrove: Amando
meglio il figliuolo vivo con moglie non convenevole allui, che morto senza
alcuna. Senza che uso de' Provenzali per aventura ha stato lo aggiugnere la
I nel principio di moltissime voci (come che essi la E vi
ponessero in quella vece, lettera più acconcia alla lor lingua in tale ufficio,
che alla toscana) sì come sono Istare, Ischifare, Ispesso,
Istesso e dell'altre, che dalla S, a cui alcun'altra consonante
stia dietro, cominciano, come fanno queste. Il che tuttavia non si fa sempre;
ma fassi per lo più quando la voce, che dinanzi a queste cotali voci sta, in
consonante finisce, per ischifare in quella guisa l'asprezza, che ne uscirebbe
se ciò non si facesse; sì come fuggì Dante, che disse: Non isperate mai
veder lo cielo; e il Petrarca, che disse: Per iscolpirlo imaginando in
parte. E come che il dire in Ispagna paia dal latino esser detto,
egli non è così, perciò che quando questa voce alcuna vocale dinanzi da sé ha, Spagna
le più volte e non Ispagna si dice. Il qual uso tanto innanzi
procedette, che ancora in molte di quelle voci, le quali comunalmente
parlandosi hanno la E dinanzi la detta S, quella E pure
nella I si cangiò bene spesso: Istimare, Istrano e
somiglianti. Oltra che alla voce Nudo s'aggiunse non solamente la I,
ma la G ancora, e fecesene Ignudo, non mutandovisi perciò il
sentimento di lei in parte alcuna, il quale in quest'altra voce Ignavo
si muta nel contrario di quello della primiera sua voce, che nel latino
solamente è ad usanza, la qual voce nondimeno italiana è più tosto, sì come dal
latino tolta, che toscana. Né solamente molte voci, come si vede, o pure
alquanti modi del dire presero dalla Provenza i Toscani; anzi essi ancora molte
figure del parlare, molte sentenze, molti argomenti di canzoni, molti versi
medesimi le furarono, e più ne furaron quelli, che maggiori stati sono e
miglior poeti riputati. Il che agevolmente vederà chiunque le provenzali rime
piglierà fatica di leggere, senza che io, a cui sovenire di ciascuno essempio
non può, tutti e tre voi gravi ora recitandolevi. Per le quali cose, quello
estimar si può, che io, messer Ercole, rispondendo vi dissi, che il verseggiare
e rimare da quella nazione più che da altra s'è preso. Ma sì come la toscana
lingua, da quelle stagioni a pigliar riputazione incominciando, crebbe in onore
e in prezzo quanto s'è veduto di giorno in giorno, così la provenzale è ita
mancando e perdendo di secolo in secolo in tanto, che ora non che poeti si
truovino che scrivano provenzalmente, ma la lingua medesima è poco meno che
sparita e dileguatasi della contrada. Perciò che in gran parte altramente
parlano quelle genti e scrivono a questo dì, che non facevano a quel tempo; né
senza molta cura e diligenza e fatica si possono ora bene intendere le loro
antiche scritture. Senza che eglino a nessuna qualità di studio meno intendono
che al rimare e alla poesia, e altri popoli che scrivano in quella lingua essi
non hanno; i quali, se sono oltramontani o poco o nulla scrivono o lo fanno
francesemente, se sono Italiani nella loro lingua più tosto a scrivere si
mettono, agevole e usata, che nella faticosa e disusata altrui. Perché non è
anco da maravigliarsi, messer Ercole, se ella, che già riguardevole fu e
celebrata, è ora, come diceste, di poco grido -.
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