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Pietro Bembo
Prose della volgar lingua

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  • Libro I
    • Capitolo IX
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Capitolo IX

      Senza che molte cose, come io dissi, hanno i suoi poeti prese da quelli, sì come sogliono far sempre i discepoli da' loro maestri, che possono essere di ciò che io dico argomento, tra le quali sono primieramente molte maniere di canzoni, che hanno i Fiorentini, dalla Provenza pigliandole, recate in Toscana: sì come si può dire delle sestine, delle quali mostra che fosse il ritrovatore Arnaldo Daniello, che una ne fe', senza più; o come sono dell'altre canzoni, che hanno le rime tutte delle medesime voci, sì come ha quella di Dante:
Amor, tu vedi ben che questa donna
la tua virtù non cura in alcun tempo;
il quale uso infino da Pietro Ruggiero incominciò; o come sono ancora quelle canzoni, nelle quali le rime solamente di stanza in stanza si rispondono, e tante volte ha luogo ciascuna rima, quante sono le stanze, né più né meno: nella qual maniera il medesimo Arnaldo tutte le sue canzoni compose, come che egli in alcuna canzone traponesse eziandio le rime ne' mezzi versi, il che fecero assai sovente ancora degli altri poeti di quella lingua, e sopra tutti Giraldo Brunello, e imitarono, con più diligenza che mestiero non era loro, i Toscani. Oltra che ritrovamento provenzale è stato lo usare i versi rotti; la quale usanza, perciò che molto varia in quelli poeti fu, che alcuna volta di tre sillabe gli fecero, alcuna altra di quattro e ora di cinque e d'otto e molto spesso di nove, oltra quelle di sette e d'undici, avenne che i più antichi Toscani più maniere di versi rotti usarono ne' loro poemi ancora essi, che loro più vicini erano e più nuovi nella imitazione, e meno i meno antichi; i quali da questa usanza si discostarono, secondo che eglino si vennero da loro lontanando, in tanto che il Petrarca verso rotto niuno altro che di sette sillabe non fece.




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