SCENA XIX
Gioan Bernardo, Ascanio
GIOAN
BERNARDO - Tanto che, figliol mio, tornando al proposito, è opinion comone, che
le cose son talmente ordinate, che la natura non manca nel necessario, e non
abonda in soverchio. Le ostreche non han piedi: per che in qual si voglia parte
del mar che si trovino, han tutto quel che basta a lor sustentamento; per che
d'acqua sola, e del caldo del sole (la cui virtute penetra in sino al profondo
del mare), si mantengono. Le talpe ancora non hann'occhii; perché la lor vita
consiste sotto terra, e non vivono d'altro che di terra, e non posson perderla.
A chi non have arte, non si danno ordegni.
ASCANIO Cossì è certissimo. Ho udito dire che un certo
censore dell'opre di Giove che si chiama Momo (per che son per tutto necessarii
questi che parlan liberamente: prima, perché i principi e giodici s'accorgano
de gli errori che fanno, e non conoscono mercé di poltroni e vilissimi
adulatori; secondo, perché temino di far una cosa più ch'un'altra; terzo, perché
la bontà e virtù, quando ha contrario, si fa più bella, manifesta e chiara, e
si confirma e si rinforza), questo censor dumque di Giove...
GIOAN BERNARDO - Costui non è nominato per un de primi
e meglior dèi del cielo: per che questi che han più corte le braccia, per
l'ordinario han la lingua più lunga.
ASCANIO ... questo censor di Giove, in quel tempo
disputando con Mercurio (il quale è stato ordinato interprete e causidico di
dèi), venne ad interrogarlo in questa foggia: «O Mercurio, più ch'ogni altro
sofista, falso persuasore e ruffiano de l'Altitonante: essendo bene secondo le
occasioni et esigenze di venti che soffiano, o più o meno frenar, allentar,
alzar e stender vela, onde avviene che quest'arbore di nave non ha scotta? Il
dirrò più per volgare: perché la potta (parlando con onore dell'oneste
orecchie) non ha bottoni?»; a cui rispose Mercurio: «Perché (parlando co
riverenza) il cazzo non have unghie da spuntarla».
GIOAN BERNARDO Ah! ah! ah! che debbero dir gli altri
dèi all'ora?
ASCANIO - La casta Diana e pudica Minerva voltorno la
schena, e se n'andaron via; et un de disputanti disse: «Vadano in bordello»;
arrebbe detto «Vadano al diavolo», ma in quel tempo non era ancor memoria di
quest'uomo da bene. Sì che, a confirmazion di quel che voi dite, quantumque
costui ha mosse, muove e moverrà (come è stato per il passato, et è al
presente, e sarrà per l'avenire) tante questioni, già mai potrà provare errore
nelle cose ordinate da natura et intellecto, si non che in apparenza.
GIOAN BERNARDO - Voi la intendete bene. Tutti gli
errori che accadeno, son per questa fortuna traditora: quella ch'ha dato tanto
bene al tuo padrone Malefacio, e me l'ha tolto. Questa fa onorato chi non
merita, dà buon campo a chi nol semina, buon orto a chi nol pianta, molti scudi
a chi non le sa spendere, molti figli a chi non può allevarli, buon appetito a
chi non ha che mangiare, biscotti a chi non ha denti. Ma che dico io? deve
esser iscusata la poverina per che è cieca, e cercando per donar gli beni ch'have
intra le mani, camina a tastoni; e per il più s'abbatte a sciocchi, insensati e
furfanti: de quali il mondo tutto è pieno. Gran caso è quando tocca di persone
degne che son poche; più grande si tocca una de più degne che son più poche;
grandissimo et estra ogni ordinario, tanto ch'abbi tastato, quanto ch'abbia a
tastare un de dignissimi che son pochissimi. Dumque si non è colpa sua, è colpa
de chi l'ha fatta. Giove niega d'averla fatta: però o fatta o non fatta ch'ella
sii, o non ha colpa o non si trova chi l'abbia.
ASCANIO E per tanto, incolpar ella o altro è cosa
ingiusta e vana. Anzi alcuni provano che sii non solo conveniente ma
necessaria: per che ogni virtute è vana senza l'esercizio et atto suo; e non è
virtù, ma cosa ociosa e vana. A chi è dato di posserla cercare, e trovarla, non
è degno che stia ad aspettarla. Vogliono i dèi, che la sollicitudine discaccie
la mala ventura e faccia acquistar le cose desiderate: come è avvenuto in
proposito vostro. È forza che gli doni e grazie sien divisi, a fin che l'uno
abbi bisogno dell'altro, e per consequenza l'uno ami l'altro. A chi è concesso
il meritare, sii negato l'avere; a chi è concesso l'avere, sii negato il
meritare.
GIOAN BERNARDO - O figlio mio, quanto parli bene,
quanto il tuo sentimento avanza l'età tua: questo che dici è vero, et al
presente l'ho io isperimentato. Quantumque questo bene ch'ho posseduto questa
sera, non mi sii stato concesso da dèi e la natura; benché mi sii stato negato
dalla fortuna: il giudizio mi ha mostrata l'occasione; la diligenza me l'ha
fatta apprendere pe' capelli; e la perseveranza ritenirla. In tutti negocii la
difficultà consiste che passi la testa: perché a quella facilmente il busto et
il corpo tutto succede. Per l'avenire tra me e madonna Carubina son certo che
non bisognarranno tanti studi, proemii, discorsi, raggioni et argumenti.
ASCANIO È vero, perché basta esservi una volta
abboccati insieme, e lei aver appreso il vostro, e voi il suo linguaggio:
occhii si vedeno, lingue si parlano, cuori s'intendeno. Tal volta quel che si
concepe in un momento si retien per sempre. A don Paulino curato di Santa
Primma, che è in un villaggio presso Nola, Sipion Savolino un vener santo
confessò tutti suoi peccati: da quali, quantumque grandi e molti, per essergli
compare, senza troppo difficultà fu assoluto. Questo bastò per una volta: per
che ne gli anni seguenti poi senza tante paroli e circonstanze diceva Sipione a
don Paulino: «Padre mio, gli peccati di oggi fa l'anno voi le sapete»; e don
Paulino rispondeva a Sipione: «Figlio, tu sai l'assoluzione d'oggi fa l'anno: vadde
in pacio et non amplio peccare».
GIOAN BERNARDO Ah! ah! ah! Noi abbiam molto discorso
sopra di ciò: vedi questa porta?
ASCANIO - Signor sì.
GIOAN BERNARDO Questo è il luoco dove l'han posto; non
bisogna toccar questa porta, sin tanto ch'io non sii risoluto da messer
Scaramuré: credo che lui a quest'ora abbia tutto fatto, e che mi vadi cercando.
Andate voi tra tanto, e fate che madonna Carubina venghi presto.
ASCANIO Cossì farrò. Credo che vi trovvarremo cqua?
GIOAN BERNARDO Certissimo, che non tardarrò troppo ad
esser con messer Scaramuré. Andate.
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