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Giordano Bruno
Candelaio

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  • ATTO PRIMO
    • SCENA VI
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SCENA VI
Lucia sola

 

    Oimè son stanca, voglio riposarmi cqua: tutta questa notte (non la voglio maldire) son stata a far la guarda in piedi e pascermi di fumo di rosto et odor di pignata grassa; et io sono come il rognone, misera me, magra in mezzo al sevo. Or pensiamo ad altro, Lucia; poi che sono in loco dove non mi vede alcuno, voglio contemplar che cose son queste che messer Bonifacio manda alla signora Vittoria: qua son de gravioli, targhe di zuccaro, mustaccioli di San Bastiano; vi son più basso più sorte di confetture; vi è al fondo una pòlicia: e son versi in fede mia. Per mia , costui è doventato poeta. Or leggiamo:
    Ferito m'hai o gentil signora il mio core
e me hai impresso all'alma gran dolore
e si non mel credi guarda al mio colore
che si non fusse ch'io ti porto tanto amore
quanto altri amanti mai che sian d'onore
hanno portato alle loro amate signore
cose farrei assai di proposito fore
però ho voluto essere della presente autore
spento di tue bellezze dal gran splendore
acciò comprendi per di questa il tenore
che si non soccorri al tuo Benefacio, more.
Di dormire, mangiar, bere, non prende sapore
non pensando ad altro ch'a te tutte l'ore
smenticato di padre madre fratelli e sore.
O bella conclusione, belli propositi, a punto suttili come lui: io per me di rima non m'intendo; pure, s'io posso farne giudicio, dico due cose: l'uno, ch'i versi son più grandi che gli ordinarii; l'altra, che son fatti a suon di campana e canto asinino, li quali sempre toccano alla medesima consonanza. Ma voglio partirmi di qua, per trovar più comodo luoco, dove io possa prender la decima di questo presente: che in fine bisogna ch'ancor io fia partecipe de' frutti della pazzia di costui.




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