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Giordano Bruno
Candelaio

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  • ALLA SIGNORA MORGANA B.
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ALLA SIGNORA MORGANA B.
SUA SIGNORA SEMPRE ONORANDA

 

    Et io a chi dedicarrò il mio Candelaio? A chi, o gran destino, ti piace ch'io intitoli il mio bel paranimfo, il mio bon corifeo? A chi inviarrò quel che dal sirio influsso celeste, in questi più cuocenti giorni, et ore più lambiccanti, che dicon caniculari, mi han fatto piovere nel cervello le stelle fisse, le vaghe lucciole del firmamento mi han crivellato sopra, il decano de dudici segni m'ha balestrato in capo, e ne l'orecchie interne m'han soffiato i sette lumi erranti? A chi s'è voltato, dico io? a chi riguarda? a chi prende la mira? A sua Santità? no. A sua Maestà Cesarea? no. A sua Serenità? no. A sua Altezza, Signoria illustrissima e reverendissima? non, no. Per mia fé non è prencipe o cardinale, re, imperadore o pappa che mi levarrà questa candela di mano in questo sollennissimo offertorio. A voi tocca, a voi si dona; e voi o l'attaccarrete al vostro cabinetto, o la ficcarrete al vostro candeliero: in superlativo dotta, saggia, bella e generosa mia signora Morgana; voi coltivatrice del campo dell'animo mio: che dopo aver attrite le glebe della sua durezza e assottigliatogl'il stile, acciò che la polverosa nebbia sullevata dal vento della leggerezza non offendesse gli occhi di questo e quello, con acqua divina, che dal fonte del vostro spirto deriva, m'abbeveraste l'intelletto. Però, a tempo che ne posseamo toccar la mano, per la prima vi indrizzai Gli pensier gai; apresso, Il tronco d'acqua viva. Adesso che tra voi che godete al seno d'Abraamo, e me che senza aspettar quel tuo soccorso che solea rifrigerarmi la lingua, desperatamente ardo e sfavillo, intermezza un gran caos, pur tropp'invidioso del mio bene: per farvi vedere che non può far, quel medesmo caos, che il mio amore, con qualche proprio ostaggio e material presente, non passe al suo marcio dispetto, eccovi la candela che vi vien porgiuta per questo Candelaio che da me si parte, la qual in questo paese ove mi trovo potrà chiarir alquanto certe Ombre dell'idee le quali in vero spaventano le bestie, e come fussero diavoli danteschi, fan rimaner gli asini lungi a dietro; et in cotesta patria ove voi siete, potrà far contemplar l'animo mio a molti, e fargli vedere che non è al tutto smesso. - Salutate da mia parte quell'altro Candelaio di carne et ossa, delle quali è detto che «Regnum Dei non possidebunt»; e ditegli che non goda tanto che costì si dica la mia memoria esser stata strapazzata a forza di piè di porci e calci d'asini: per che a quest'ora a gli asini son mozze l'orecchie, et i porci qualche decembre me la pagarranno. E che non goda tanto con quel detto «Abiit in regionem longinquam»; per che si avverrà giamai ch'i cieli mi concedano ch'io effettualmente possi dire «Surgam et ibo», cotesto vitello saginato senza dubbio sarrà parte della nostra festa. Tra tanto viva e si governe, et attenda a farsi più grasso che non è; perché dall'altro canto io spero di ricovrare il lardo, dove ho persa l'erba: si non sott'un mantello, sotto un altro; si non in una, in un'altra vita. Ricordatevi, signora, di quel che credo che non bisogna insegnarvi: - Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s'annihila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e può perseverare eternamente uno, simile e medesmo. - Con questa filosofia l'animo mi s'aggrandisse, e me si magnifica l'intelletto. Però qualumque sii il punto di questa sera ch'aspetto, si la mutazione è vera, io che son ne la notte, aspetto il giorno, e quei che son nel giorno, aspettano la notte. Tutto quel ch'è, o è cqua o llà, o vicino o lungi, o adesso o poi, o presto o tardi. Godete dumque, e si possete state sana, et amate chi v'ama.




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