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Giordano Bruno Candelaio IntraText CT - Lettura del testo |
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Chi è stato quel gran bestia-da-campana che si tira a presso un armento cossì grande? Mentre comunmente si va considerando dove consista la virtù delle cose, fanno quella divisione «in verbis, in herbis et in lapidibus». Oh che gli vada il mal di san Lazaro, e tutto quello che non vorei per me! Per che, prima che dichino queste tre cosaccie, non dicono «i metalli»? Li metalli, come oro et argento, sono il fonte de ogni cosa: questi, questi apportano parole, erbe, pietre, lino, lana, seta, frutti, frumento, vino, oglio; et ogni cosa sopra la terra desiderabile, da questi si cava: questi dico talmente necessarii che, senza essi, cosa nisciuna di quelle si accapa o si possede. Però l'oro è detto materia del sole, e l'argento la luna: per che, togli questi dui pianeti dal cielo, dove è la generazione delle cose? dove è il lume dell'universo? Togli questi dui de la terra, dove è la participazione, possessione e fruizione di quelle? Però quanto arebbe meglio fatto quel primo animale, di porre in bocca al volgo quell'un solo soggetto di virtù, che tutti quelli altri tre senza quest'uno: se per ciò non è stato introdutto, a fin che non tutti intendano e possedano quel che io intendo e possedo. Erbe, parole e pietre son materia di virtù a presso certi filosofi matti et insensati; li quali odiati da Dio, dalla natura e dalla fortuna, si vedono morir di fame, lagnarsi senza un poverello quattrino in borsa: per temprar il tossico dell'invidia ch'hanno verso pecuniosi, biasmano l'oro, argento e possessori di quello. Poi quando mi accorgo, ecco che tutti questi vanno come cagnoli per le tavole de ricchi: veramente cani che non sanno con altro che col baiare acquistars'il pane. Dove? a tavole di ricchi, di que' stolti, dico, che per quattro paroli a sproposito da quelli dette con certe ciglia irsute, occhi attoniti et atto di maraviglia, si fanno cavar il pan di cascia, e danari dalle borse: e gli fanno conchiudere con verità che «in verbis sunt virtutes». Ma starebon ben freschi, si dal canto mio aspectassero effetto de le lor ciancie: atteso che non so ripascere d'altro che di quelle medesme, chi mi pasce di parole. Or facciano conto di erbe le bestie, di pietre gli matti, e di paroli gli salta-in-banco: ch'io per me non fo conto d'altro, che di quello per cui si fa conto d'ogni cosa. Il danaio contiene tutte l'altre quattro: a chi manca il danaio, non solo mancano pietre, erbe e parole, ma l'aria, la terra, l'acqua, il fuoco e la vita istessa. Questo dà la vita temporale; e la eterna ancora, sapendosene servire, con farne limosina: la qual pure si deve far con gran discrezzione; e non senza saper il conto tuo devi privar la borsa dell'anima sua: però dice il saggio, «Si bene feceris, vide cui». Ma in questa teorica non vi è guadagno. - Ho inteso che è ordine nel Regno che gli carlini di vint'uno non vagliano più di vinti tornesi: io voglio andar prima che si publichi l'editto a cambiar i tre che mi trovo; interim il mio garzone tornarà da prendere il pulvis Christi.
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