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Giovanni Pascoli
Primi poemetti

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  • 37. IL CIECO
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37. IL CIECO

 

    Chi l'udì prima piangere? Fu l'alba.
Egli piangeva; e, per udirlo, ascese
qualche ramarro per una vitalba.
    E stettero, per breve ora, sospese
su quel capo due grandi aquile fosche.
Presso era un cane, con le zampe tese
    all'aria, morto: tra un ronzìo di mosche.
    «Donde venni non so; né dove io vada
saper m'è dato. Il filo del pensiero
che mi reggeva, per la cieca strada,
    da voci a voci, dal nero al nero
tacer notturno (m'addormii; sognai:
vedevo in sogno che vedevo il vero:
    desto, più non lo so, né saprò mai...);
    nel chiaro sonno, in mezzo a un rombo d'api,
si ruppe il tenue filo. E poi che gli occhi
apersi, cerco i due penduli capi
    in vano. Mi levai sopra i ginocchi,
mi levai su' due piedi. E l'aria in vano
nera palpo, e la terra anche, s'io tocchi
    pure il guinzaglio, cui lasciò la mano
    addormentata. Oh! non credo io che dorma
la mia guida, e con lieve squittir segua
nel chiaro sonno il lieve odor d'un'orma!
    Egli è fuggito; è vano che l'insegua
per l'ombra il suono delle mie parole!
Oh! la lunga ombra che non mai dilegua
    per la sempre aspettata alba d'un sole,
    che di brilla! Vano il grido, vano
il pianto. Io sono il solo dei viventi,
lontano a tutti ed anche a me lontano.
    Io so che in alto scivolano i venti,
e vanno e vanno senza trovar l'eco,
a cui frangere alfine i miei lamenti;
    a cui portare il murmure del cieco...
    Ma forse uno m'ascolta; uno mi vede,
invisibile. Sé dentro sé cela.
Sogghigni? piangi? m'ami? odii? Siede
    in faccia a me. Chi che tu sia, rivela
chi sei: dimmi se il cuor ti si compiace
o si compiange della mia querela!
    Egli mi guarda immobilmente, e tace.
    O forse una mi vede, una m'ascolta,
invisibile. È grande, orrida: il vento
le va fremendo tra la chioma folta.
    Siede e mi guarda. O tu che ignoro e sento,
dimmi se guerra hai tu negli occhi o pace!
dimmi ove sono! Ed essa è , col mento
    sopra la palma, che mi guarda, e tace.
    Chi che tu sia, che non vedo io, che vedi
me, parla dunque: dove sono? Io voglio
cansar l'abisso che mi sento ai piedi...
    di fronte? a tergo? Parlami. Il gorgoglio
n'odo incessante; e d'ogni intorno pare
che venga; ed io qui sto, come uno scoglio,
    tra un nero immenso fluttuar di mare».
    Così piangeva: e l'aurea sera nelle
rughe gli ardea del viso; e la rugiada
sopra il suo capo piovvero le stelle.
    Ed egli stava, irresoluto, a bada
del nullo abisso, e gli occhi intorno, pieni
d'oblìo, volgeva; fin ch' - io so la strada -
    una, la Morte, gli sussurrò - vieni! -




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