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Giovanni Pascoli
Primi poemetti

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  • 16. CONTE UGOLINO
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16. CONTE UGOLINO

 

    Ero all'Ardenza, sopra la rotonda
dei bagni, e so che lunga ora guardai
un correre, nell'acqua, onda su onda,
    di lampi d'oro. E alcuno parlò: «Sai
(era il Mare, in un suo grave anelare)
«io vado sempre e non avanzo mai».
    E io: «Vecchione,» (ma l'eterno Mare
succhiò lo scoglio e scivolò via, forse
piangendo) «e l'uomo avanza, sì; ti pare
    E l'occhio, vago qua e mi corse
alla Meloria... Di che mai ragiona,
le notti, il tardo guidator dell'Orse
    oziando su l'acqua che risuona
lugubre e frangesi alla rea scogliera?...
E vidi te, cerulea Gorgona;
    e più lontana, come tra leggiera
nebbia, accennante verso te, rividi
l'altra. Io vedeva la Capraia, ch'era
    come una nube, e lineavo i lidi
della Maremma, e imaginai sonante
un castello di soli aerei stridi,
    in un deserto; e poi te vidi, o Dante.
    Sedeva sopra un masso di granito
ciclopico. Pensava. Il suo pensiero
come il mare infinito era infinito.
    Lontani, i falchi sopra il capo austero
roteavano. Stava la Gorgona,
come nave che aspetti il suo nocchiero.
    E la Capraia uscìa d'una corona
di nebbia, appena. Or Egli dritto stante,
imperiale sopra la persona,
    tese le mani al pelago sonante,
sì che un'ondata che suggea le rosse
pomici, all'ombra dileguò di Dante.
    Ed ecco, dove il cenno suo percosse,
la Gorgona crollò, vacillò; poi
salpava l'eternale àncora, e mosse.
    E la Capraia scricchiolò da' suoi
scogli divelta, e tra un sottil vapore
veniva. O due rupestri isole, voi
    solcavate le bianche acque sonore,
la prua volgendo dove non indarno
voleva il dito del trionfatore:
    alla foce invisibile dell'Arno.
    Avanzarono come ombra che cresca
all'improvviso... quando udii, vicino:
«Conte Ugolino della Gherardesca...»
    Chi parlava di te, Conte Ugolino?
Uno, fiso nel mare. Oh! tutto in giro,
sotto il turchino ciel, mare turchino,
    su cui tremola appena al tuo sospiro
un velo vago, tenue! O Capraia,
o Gorgona color dello zaffiro,
    ferme io vi scòrsi, come plaustri in aia
cerula, immensa. E a' miei piedi l'onda
battea lo scoglio e risorbìa la ghiaia.
    E nella calma lucida e profonda,
nudo sul trampolino, con le braccia
arrotondate su la testa bionda,
    era un fanciullo. «Quello» io chiesi «in faccia
a noi?» «Sì, quello.» «Quel fanciullo? il Conte
che rode il teschio nell'eterna ghiaccia
    «Foglie d'un ramo, gocciole d'un fonte
Egli guardava un tuffolo pescare
stridulo; scosse i ricci della fronte,
    e con un grido si tuffò nel mare.




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