26. LA VEGLIA
Canticchiò la fontana
tutto il giorno
tra sé e sé, gemendo dal bocciuolo,
salutando ciascuno al suo ritorno.
Con l'arruffato brivido del volo
vennero i figli, mentre soli i ciocchi
ardean russando a quel ciangottar solo.
Venne il babbo; e, le mani sui ginocchi,
sedea pensando, mentre dal cantone
le monachine rincorrea con gli occhi.
Il piede avea sopra un capitone
del focolare, dove ardean russando
i ciocchi; e lo vincea quella canzone.
Dolce obliar la vanga a quando a quando,
fin ch'è lungi la prima acqua d'aprile...
Egli ascoltava quel gorgoglio blando,
le mani all'asta e il piede sul vangile.
Alzava il capo al rientrar sonoro
di frettolosi zoccoli; ed apriva
gli occhi, e lasciava a mezzo il suo lavoro.
La vanga rimanea presso un'oliva.
Ma ecco, a poco a poco e in un momento,
si trovava le mani su la stiva.
E l'aratro strideva col lamento
di legna verde, e per il solco duro
muggìan le vacche a lungo, come il vento
di tramontana. E poi tra lume e scuro
si ritrovava, uscito alfin di pena,
nel suo cantuccio placido e sicuro.
Si fece buio, e la lucerna, piena
d'olio, brillò; più vivo il focolare
brillò; si cosse e si mangiò la cena;
e poi le rócche vennero a vegliare.
E venne Rigo. E venne il vino arzillo,
e bevve ognuno: il vino aspro, raccolto
quando nei campi già piangeva il grillo.
E allora il babbo ragionò, rivolto
verso le ròcche. E Rigo ancor, per uso,
guardava a quelle, tacito, in ascolto
dell'incessante sibilar d'un fuso.
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