30. ACCESTISCE
Egli parlava; e vennero
i pisani:
presero Dore, adagio su le braccia:
- Vi si riporterà, gente, domani! -
Nando riprese allora la sua caccia.
Viola lo seguì con la Turella
pascendo i timi giù per la Pianaccia.
Ma gli occhi aperti Rosa, la sorella
bionda, teneva. Ella tra sé romita
faceva e disfaceva una mannella.
Sembravano un veloce aspo le dita
silenziose. Rigo s'era fatto
più presso: «Ed ora, sola è la mia vita!»
S'udiva solo quel parlare. Un gatto
ronfava. La lucerna ora dimessa
sfriggeva, ora guizzava alto d'un tratto,
come in un sogno: ché dormiva anch'essa.
«... E fate a modo!» Rigo uscì. Non c'era
per la campagna bianca che lui solo
e l'ombra sua che lo seguiva nera.
Splendea la luna su quel gran lenzuolo
candido, come, accanto un letto, il lume
dimenticato; e scricchiolava il suolo
sotto i suoi passi; e brontolava il fiume
là là: le giravolte sue lontane
mostrava appena un vago fior di brume.
Pestava un altro su la neve: un cane;
Po: gli strisciò le gambe. Ecco che intese
un arrochito suono di campane.
Mezzanotte. Ogni casa, ogni paese
dormiva. Egli era nella via maestra:
guardava in alto, donde già discese:
c'era un lume, un lumino, alla finestra.
E c'era un'ombra. Egli vedeva. Ed ella
vedeva. E fece un segno colla mano.
L'ombra sparì: si spense la fiammella.
E la sua strada seguitò pian piano,
e ripensava dentro sé: che cosa?
Ch'era gennaio... ch'accestiva il grano...
ch'era già tardi... ch'eri bella, o Rosa!
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