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Giovanni Pascoli
Primi poemetti

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  • 34. L'IMMORTALITÀ
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34. L'IMMORTALITÀ

 

    Poeta Omar, pupilla solitaria
che vede e splende, che contempla e crea,
diceva avanti il mausoleo di Caria:
    «Non mescerai la polvere all'idea!
Misero te, cui nella rupe piace
scoprir la bianca faretrata dea!
    e te che il fosco eroe dalla fornace
susciti vivo sopra il suo cavallo
che ringhia! Il tempo che cammina e tace,
    rode il tuo marmo, lima il tuo metallo.
    Tra mille, tra duemila anni, tra poco,
l'eroe sarà nella volante arena,
sarà la dea ne' grappoli di fuoco!
    Misero! Ma quest'opera serena,
fatta d'anima pura e di parole,
beltà dal tempo e dalla morte ha lena:
    vive la vita lucida del sole».
    «Dunque morràrispose Abdul, quieta
pupilla, su cui getta ombre il fulgore
del cielo immenso: «Il sol morrà, poeta!
    Quando? Tu conta i bàttiti al tuo cuore:
secoli sono i palpiti del sole;
ma sono, istanti e secoli, a chi muore,
    o poeta, una cosa e due parole
    Disse. E al poeta il breve inno non piacque
mai più. Godé del cielo egli e del suolo,
di brevi rose e brevi trilli; e tacque.
    Moriva; e disse, mentre un usignolo
cantava ancora ne' verzieri suoi:
«Giova ciò solo che non muore, e solo
    per noi non muore, ciò che muor con noi».




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