[XXXVII]
Gli olivi avevano
messo una bella trama bianca, che s'illuminava di lucciole. Mentre, su i poggi
neri del Chianti, i lampi apparivano e sparivano come una luce liquida ma
densa.
Ghìsola stava sola sul murello
dell'aia. Masa e le altre donne degli assalariati, al chiaro di luna,
aumentavano la sua collera. E le pareva che il chiaro di luna rimanesse
attaccato alle loro vesti e se lo trascinassero seco movendosi. Lontana da
loro, senza che né meno si ricordassero che viveva, quelle donnucce sporche
come era stata anche lei!
Si sdraiò sul murello; con un
tremito convulso. Fissò una stella più grande delle altre; e le parve che
girasse a cerchio e poi saltasse in qua e là; sentendosi, a seconda di quel
moto, strappare le tempie.
Credendo d'impazzire, scosse
vivacemente la testa e si stropicciò gli occhi.
Poi le donne rientrarono in
casa; e allora si rimise a sedere e guardò verso gli usci: nell'ombra stava
quasi la metà del piazzale fino al pozzo, ed una entratura ad arco sotto il
quale era un carro; ma le pareva che fossero soltanto colori di altre ombre.
Il murello era quello stesso
quando, con qualche compagna, giornate intere, si chiappava le mosche su le ginocchia.
Che risate insieme, a pena nella strada passava qualcuno!
Il pozzo le fece paura; come se
tirasse giù, dentro l'acqua, lei e tutta la luna. Poi pensando che quel lume
era anche sopra la sua faccia, se la nascose entro le mani e rimase così.
Dopo poco udì qualcuno che
camminava sull'aia verso di lei: certo, era scalzo. Ma ella non si mosse;
s'imaginava di non potersi muovere; per quanto sapesse che non era vero.
Allora, Carlo le si mise a sedere accanto; tossì prima, e dopo un altro secondo
le posò una mano sul petto.
Ella alzò la faccia senza
guardarlo, fece una risata ed entrò in casa.
Carlo ebbe l'impressione di
aver visto quella risata, e non la ragazza.
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