[V]
Agostino,
figliolo di un cavallaio che aveva due poderi a confine con Poggio a' Meli, non
voleva che Pietro parlasse troppo a Ghìsola; per quell'amor proprio che
nell'adolescenza somiglia alla gelosia. E capì che doveva odiare il rispetto
ingenuo di Pietro; e compatirlo come una debolezza.
Ghìsola, infatti, dava al suo
padroncino un senso di disagio e d'impaccio; ma egli voleva essere forte e
cercava di convincersi che preferiva l'amicizia di Agostino; e con lui
doventava remissivo ed obbediente; procurando d'indovinare le cose che pensava e
non diceva a posta. Talvolta gli raccattava una pietra com'egli comandava
soltanto guardandola; per tirarla a pena visto un uccello sopra un ramo accanto
alla strada. E come il vento gonfiava la camicia d'Agostino, tutta sbottonata!
Perché non aveva i polsi eguali a lui, le ciglia, gli orecchi, la camicia? E
perché quando si provava a fare come lui, con la stessa aria di noncuranza, si
trovava perso d'animo, senza fiato, con la paura di provocare la sua collera
che lo faceva tremare? Perché non poteva sostenere il suo sguardo crucciato,
impenetrabile e lucido, quando si provava a non rispondere alle sue domande e
quando non aveva indovinato? Quello sguardo lo impauriva così come quando,
senza essercene avvisti prima, ci si trova proprio ai piedi una fonte piena
d'acqua.
Agostino aveva il naso piccolo
e corto, di bambino, tutto lentigginoso; ma il suo collo era come quello di una
bella donna; le mani fatte bene. I suoi colloqui con Ghìsola, che consistevano
in parole senza senso, convenzionali, che capivano loro due soltanto,
suscitavano in Pietro sentimenti inaspettati; ai quali da solo non avrebbe mai
sognato. E il diletto d'ascoltarli era tanto! Anche gli pareva d'imparare chi
sa che.
Ghìsola aveva un sorriso piacevole
dicendo certe cose, che a lei sola potevano venire in mente; e Pietro si
struggeva dalla voglia d'impararle come i suoi stornelli. Ma non riusciva né
meno a cantare; e ne aveva vergogna. Talvolta non volendo che ridesse, le
faceva qualche dispetto a posta.
Sotto il largo cappello di
paglia, che le calava sempre sopra un orecchio, guarnito con un nastro di raso
liso e con due rosette buttate via da Anna, il volto di Ghìsola era
tranquillamente insignificante e sciatto.
Sembrava, con la sottana
rimendata male, troppo semplice e quasi stupida.
Vi sono esseri che non chiedono
nulla a nessuno e rinunziano a tutto; e, non essendo rispettati come gli altri,
pare che di loro se ne possa fare quel che si vuole. Perciò quel che riguarda
gli altri lo trovano antipatico. Se qualcuno li ama, non vogliono cambiarsi;
chiedendo che cosa questo bene esiga. E allora lo evitano.
Quando Masa batteva le nocche
su la fronte di Ghìsola dicendole: «che ci hai qui?» ella rispondeva quasi con
esasperazione:
«Che ne sapete voi? Che ve ne
importa?».
Talvolta credeva, con piacere e
con stizza, che il suo viso offendesse. Quando gli altri parlavano si metteva
silenziosa; credendoli diffidenti. Non la interessava niente; obbediva a Masa e
ai padroni, perché da se stessa non avrebbe pensato né meno alla calza; e
sentiva malvolentieri che tutto ciò che esiste non era soltanto in lei.
Talvolta pareva piuttosto che
parlasse con lo scalone di casa; quando, secondo il suo solito, ci stava
seduta.
Non si sarebbe arrischiata ad
avere qualche idea perché ne aveva troppe che non le si addicevano; come non si
arrischiava, quando era andata alla trattoria, a chiedere le ghiottonerie che
vedeva; e invece le avvampavano il viso, e la stordivano quanto le stanze calde
a cui non era abituata.
Ma c'era in lei il
presentimento e il senso di una vita, che le montava la testa come la ricchezza
e il lusso degli altri.
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