[XXIII]
Erano
passati tre anni; e Pietro aveva preso la licenza tecnica. In fatti, rimandato
a scuola, dopo molte difficoltà e non poca diffidenza, s'era impegnato a
studiare.
Passava tutte le ore libere con
i compagni; e Domenico permetteva perfino che entrassero a prenderlo dentro la
trattoria.
Ma fu il tempo ch'egli cominciò
a conoscere le donne. Vi andava di nascosto; e, per procurarsi i soldi, vendeva
i libri e qualche oggetto che riesciva a portare via di casa senza che Domenico
se ne accorgesse: un servito di maiolica, alcuni medaglioni di pietre buone e
perfino un antico ventaglio d'avorio e di seta. Poi ne rimetteva le chiavi
sotto un tondino di lana, che faceva da posalume.
Uno dei lavoranti a giornata,
che Domenico teneva a Poggio a' Meli, s'innamorò di Rebecca; e fece capire che
l'avrebbe sposata volentieri. Il Rosi che da qualche tempo aveva fatto venire,
sempre da Radda, un'altra nipote di Rebecca, cugina di Ghìsola, pensò che
poteva dare il consenso; facendo prendere alla nipote il posto della zia. Fornì
lui la dote e molte altre spese; e, per di più, pigliò cameriere il marito.
Dopo la morte di Anna, Rebecca
aveva seguitato ad essere in buoni rapporti con il padrone; ma questa nipote,
Rosaura, l'aveva ben presto surrogata; e zia e nipote, finché non avvenne il
matrimonio, leticavano anche dentro la trattoria; con grande paura di Giacco e
Masa, che non volevano compromettere il pane della loro vecchiaia.
Masa si nascondeva perché non
la vedessero riposarsi sempre; temendo che l'avrebbero fatta licenziare, tanto
più che del padrone si fidava poco anche lei, conoscendolo meglio degli altri.
Sedendosi, alzava la sottana, rovesciava in giù le calze di cotone bianco, e
grattavasi le gambe dove sentiva continui dolori.
Le altre donne, che
guadagnavano lo stesso, se ne accorgevano; e perciò la invidiavano e le
volevano molto male, chiamandola perfino ladra; ma per stare nelle sue grazie
l'aiutavano invece.
Infatti Domenico continuava a
benvolerla, perché lo teneva informato di tutto quel che facevano al podere.
Ma Giacco non chiedeva più le
cicche a Pietro; anzi, creduto ch'egli si fosse fatto cattivo, arrivò al punto
di maldolersene con il padrone, dicendogli che se non fosse stato lui, povero
vecchio che tutti spregiavano, a Poggio a' Meli avrebbero magari rubato i
mattoni dell'aia d'accordo con il suo figliolo.
«Non ha giudizio! Mi permetta
di dirglielo... Mi scusi, anzi! E con me perché ce l'ha presa?».
Domenico lo rassicurava alla
meglio; ma non tanto, per calcolo. E, allora, egli facendo l'offeso che s'addolora,
e mostrando d'aver parlato contro la propria volontà, taceva subito.
Qualche volta, toltosi il
cappello e sbattutolo su le ginocchia, per farsi compatire, alludendo a Pietro,
gridava:
«Non ho fortuna io!».
Ma non lavorava più con gli
altri, facendo soltanto quello che prima toccava alla sua nipote; le gambe gli
si erano piegate fino a battersi insieme; e sembravano raccorcite, come
talvolta le funi di due campane vicine, se s'avvolgono tra sé.
Quando doveva parlare, la sua
testa grossa faceva uno sforzo per star dritta su le spalle stremenzite e
curve. Aveva un volto indefinibile, con la pelle paralizzata, con le rughe,
simili a piccoli scheggiali, bruciate dal sole; tra cui si radunava il
sudiciume untuoso. La bocca non si vedeva sotto i baffi arruffati e cascanti,
che assomigliavano a pelo di bestia. Le congiuntive, di un colore gialliccio,
gli si erano ispessite.
Prima di eseguire una cosa, si
grattava la testa dietro gli orecchi, tenendo con l'altra mano il cappello
alzato; come se avesse cercato di rifletter bene.
Quando il padroncino gli
passava accanto, lo prendeva per una manica, chiedendogli:
«Non mi parla più?».
Infatti Pietro lo evitava
perché non gli piaceva quel suo modo di fare doppio, che lasciava intravedere,
senza ritegno, come potesse stimarsi anche da più di lui.
Rattenendolo, gli diceva con
diffidenza, che avrebbe voluto sembrare affettuosa:
«E pure io lo conosco fin da
bambino, e l'ho tenuto anche sopra le ginocchia... È adirato con me, forse?».
Procurava di far sorridere
Pietro, per non convenire di aver parlato a vuoto. Ma ripigliava, cupo, quasi
per convincere, con risentimento:
«Perché non mi vuol bene?».
Pietro non sapeva quel che
rispondere, contento di vederlo quasi supplicare.
«E pure ho fatto sempre il mio
dovere; e suo padre lo sa. E lo farò finché Dio mi terrà in piedi».
E allora la sua voce doventava
quasi arrogante.
Il giovinetto aveva una specie
di repugnanza per quella sua ostinazione certo esagerata.
Il vecchio lo guardava fisso;
Pietro gli dava un'occhiata timida, divincolandosi.
Giacco procurava di sorridere;
ma, vedendo la fisonomia di Pietro, non gli riusciva. Ma Pietro sentivasi
liberato, anche perché poteva andarsene senz'altro.
Una volta gli domandò:
«E Ghìsola?».
L'assalariato si ringalluzzì
tutto, intuendo quale poteva essere il mezzo per farsi benvolere dal
padroncino; esitando, nondimeno, ad approfittarne.
«Oh, era tanto tempo che non ne
parlava più!».
«Ma dov'è?».
Giacco, invece di farglielo
sapere subito, perché avrebbe voluto dir tante cose, si grattò il petto. Da uno
strappo della camicia si vedevano i capezzoloni, di sangue nero, con i peli
lunghi, con i pori gonfi. Un filo, con un sacchetto di medagliuzze, sporco di
sudore, gli stringeva il collo; facendoglici una recisa.
«È a Radda, io credo».
Rispose a voce bassa; e con il
falcino indicò le colline del Chianti.
«Scrisse due mesi fa... Vede?
Radda è là».
«Avete sempre la lettera?».
«La prese la mia donna. Io
credo che l'abbia conservata. Credo, almeno! Diamine, non l'avrà buttata via!».
E dicendo così, faceva capire
di no.
Pietro domandò:
«Perché buttata via? Se le
volete bene, dovete avere questa lettera. La voglio vedere».
Egli parlava come se dovesse
difendere un diritto. E s'inasprì la sua ostilità con il vecchio; che, incerto
e incuriosito, disse poi:
«Ha mandato anche un'altra
cosa».
E strizzò un occhio.
«Che cosa? Scommetto, la sua
fotografia?».
Giacco chiese, mettendogli una
mano su la spalla e ritraendola in fretta:
«Chi glielo ha detto?»
«Non l'ha mandata? Rispondete».
Giacco, tutto allegro,
appoggiandosi ad un olivo per seguitare, esclamò:
«Da vero!».
Faceva l'effetto di una
tartaruga, che comincia a muoversi quando confida di non esser molestata più.
Pietro girò su se stesso; e,
senza dirgli più niente, andò a casa del vecchio, con una contentezza immensa.
Radda gli pareva a pochi chilometri di distanza!
Le spighe del grano, incurvate
dai venti e dalle pioggie, come tanti uncini, avevano un'indoratura tenue; gli
steli erano arruffati e alcuni rotti. Giacco gli gridò dietro:
«M'ascolti, m'ascolti...».
Masa asciugava i piatti, seduta
sopra lo scalino di camera.
«Il vostro marito m'ha detto
che avete una lettera di Ghìsola. È vero?».
La vecchia, che tante volte
aveva pensato di fargliela leggere, gli rispose la verità; e, poi, chiese:
«Glielo ha detto proprio lui?»
«Non volevate?».
E, senza aspettare che
s'alzasse, entrò in camera; scavalcando la donna, che abbassò tutta la schiena.
Masa gli era più simpatica; ma
con il padrone ella parlava male di lui quanto Giacco.
«Ora vengo io! Non frughi nel
canterano... Non la trova».
Egli disse soltanto, stizzito:
«Spicciatevi. Siete una
stupida. Non capite quel che io penso di lei».
Temeva che sopraggiungesse
Giacco, dinanzi al quale sarebbe stato zitto; perché talvolta i suoi sguardi lo
facevano diffidente, se non cauto.
Masa trovò la lettera; ma,
prima di dargliela, disse, tenendola con la mano aperta contro il petto
incavato:
«Non voglio che ne risappia
niente il padrone».
«Perché? Chi glielo ridice?».
Ella arrossì, e rispose:
«Il perché lo sa meglio di me».
Poi mosse le labbra, come
quando mordicchiava il refe per infilarlo nell'ago.
La busta, e a lui dispiacque,
era stata strappata, a pizzicotti, intorno; per cavare la lettera dettata certo
a qualche parente, perché Ghìsola non sapeva scrivere. Pietro, a voce alta, la
lesse tutta: i suoi genitori avevano avuto il morbillo, la zia Giuseppa non
poteva allattare la bambina.
Allora, chiese:
«E la fotografia dov'è?».
Masa rideva, e la sua arroganza
se ne compiaceva molto. Si pigiò, più volte, i fianchi con le nocche. Quando
rideva, si vedevano i suoi denti fitti e ancora bianchi.
«È una settimana che m'è caduta
dietro il canterano; mentre la volevo spolverare».
Egli scorse, infatti, sotto una
fila di santi, attaccati al muro, lungo una cordicella, una cornice di vecchio
velluto turchino, ma vuota. Quel vuoto, con un foglio bianco, lo intenerì.
«Non avete pensato prima a
raccattarla?».
Ormai si sentiva certo di
vederla. E gli pareva di compiere un dovere.
Ma Masa, non volendo
rimproveri, disse:
«Saremo a tempo a prenderla!
Chi ci pensa? La mattina ci alziamo presto; la sera non abbiamo voglia, perché
siamo stracchi».
«Scanserò il canterano io».
Quando c'era da far valere un
rispetto, lavorava anche lui!
«Non mi faccia inquietare!».
Ma i suoi occhi non erano
cattivi come le altre volte: c'era dolcezza, benché torbida e ambigua.
«Perché?»
«Il canterano è peso, e lei
potrebbe farsi male. Il padrone incolperebbe me».
Quand'ella parlava di lui, a
Pietro pareva di doversi infilare in qualche punta.
«Aiutatemi, invece!».
Sarebbero stati pronti a
bisticciare; ma ella tolse, adagio, ad uno per volta, tutti i ninnoli: un vaso
di porcellana sbocconcellato, dentro il quale c'erano stati ritti chi sa quanti
fiori; un'imagine di cera, di Santa Caterina, sotto una campana di vetro; un
pezzo di specchio verdognolo e guasto.
«Abbia pazienza».
Egli trasse a sé il canterano
tarlato; e allora la fotografia, rimasta tra quello e il muro, cadde. La
raccolse; e, senza smettere di guardarla, andò verso la finestra, con la stessa
paura di quando un fulmine è caduto vicino.
«Vede com'è fatta bella? Ora le
piacerebbe da vero!».
Pietro comprese,
istantaneamente, quel che volesse dir bella. Il cuore gli si mise a battere in
fretta, con una felicità dolce. Non rispose, sentendosi le labbra tremolare.
Masa non distolse mai gli occhi
da lui, incerta di quel che gli avrebbe fatto e di quel che provava: le sue
palpebre sbattevano. Cozzatolo in un braccio, gli chiese:
«Ed ora che cosa se ne fa?».
Temeva che la volesse prendere;
ma Pietro non avrebbe osato perché Ghìsola, forse, non sarebbe stata contenta.
Rispose, con voce alterata:
«Tenetela qui, nella sua
cornice. Voglio io: non la fate cadere più».
Masa, soddisfatta, assentì; e
tolse con un cencio i ragnateli attaccati al muro. Pietro mise da sé la
fotografia a posto, e riaccostò il canterano.
«Conservate anche la lettera».
«Veramente, se si fosse
comportata meglio con noi... le vorrei più bene».
A una mossa brusca di Pietro,
come prima non gli aveva veduto fare mai, ella riprese:
«Ma glielo voglio lo stesso».
«Che vi ha fatto di male? Lo
vorrei sapere che male può avervi fatto! Inventate!».
«Non lo posso dire: riguarda
me; e basta».
S'era offesa di aver dovuto
rimandar via la nipote! Si morsicchiò il labbro di sotto, in fretta e molte
volte.
«Stia zitto. Non dica a
nessuno, né meno a Rebecca, che gliel'ho fatta vedere. Vada via di casa, e guai
se lo fa anche sospettare!».
Egli uscì. E, tutto a un
tratto, si accorse che era innamorato di Ghìsola; e non ci trovò niente di
strano né di spiacevole. Anzi, se fosse stato più sicuro, l'avrebbe detto
subito a Masa. Facendole capire che, sopra a tutto, si trattava di una
riparazione sociale, per il cui còmpito offriva se stesso volentieri. Perché
anche lei non doveva esser ricca?
Tre giorni dopo, tornò a Poggio
a' Meli.
Su la capanna soleggiata
batteva l'ombra lieve di un pero; ed era immobile. E pure quelle righe d'ombra
gli parevano come segni di febbre, e pulsanti come le sue vene; come acqua
bollente.
Sul tetto della parata, tutto
visibile per la sua inclinatura fin quasi a un metro da terra, era cresciuto,
largo due metri, il sopravvivo, l'una pianta quasi ficcata dentro l'altra, con
le foglie spinose, con un fiore che il gambo non aveva forza di reggere; vi
erano una veste di fiasco e due falci arrugginite. E Carlo vi teneva, perché
pigliasse il sole, tra due pietre, una boccetta piena di olio con uno scorpione
dentro, servendosene per medicarsi i tagli.
Pietro si accorse che, nella
parte più alta del tetto, era rimasto uno straccio ormai scolorito dal sole,
attaccato lì dalle pioggie: mezza sottana di Ghìsola.
Andò da Masa, e le disse:
«Fatemi rivedere la
fotografia».
La guardò in fretta, al muro,
perché la vecchia non s'offendesse e magari non lo scrivesse alla nipote.
Il Monte Amiata, di un aspetto
liquido, sembrava per appianarsi.
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