[XXV]
Quando il
Rosi era doventato padrone del Pesce Azzurro, c'era un ingresso solo,
quello da Via dei Rossi, con un'insegna di ferro, a banderuola, ferma al muro e
con un pesce dipinto tanto dall'una parte che dall'altra. Sulla porta, una
Madonna in bassorilievo; del quattrocento. Ci stava ancora il lume attaccato,
ma la fune per tirarlo giù mancava.
Poi furono aperti anche due
ingressi dalla Via Cavour. Ed ad uno di questi, dietro il cristallo della
porta, una vetrina a due piani, foderata con la carta che cambiavano una volta
tutte le settimane; piena di polli già pelati, di carni arrostite, e d'altre
delizie.
Dopo l'ingresso da Via dei
Rossi una gran porta, per entrare in una piazzola interna sempre ingombra di
calessi e d'ogni specie di legni. Accanto a questa, la stalla; che poteva
contenere fino a trenta bestie. Sopra la stalla, la capanna.
Tutti i sabati, Domenico faceva
l'elemosina dei pezzi di pane avanzati agli avventori.
La stretta Via dei Rossi, al
principio, dov'era l'uscio vecchio della trattoria, si empiva un'ora prima del
tempo, di mendicanti; fra i quali era anche la moglie di Pipi, giovine, ma così
smunta e gialla che la sua bocca era come un taglio senza labbra: andava come
se non avesse potuto piegare la testa da nessuna parte. Molte volte, dalla
veste male abbottonata e sudicia, si vedeva il petto vuoto e senza i seni.
C'era anche una vecchia, dal
naso enorme e pavonazzo, con un cappello da contadina, del quale le trecce di
paglia si disfacevano intorno; e ne rimaneva sempre un giro di meno. Questa
pretendeva d'avere la prima elemosina, e non se ne andava finché tutti i pezzi
di pane non fossero stati distribuiti. Talvolta gridava:
«Quella vecchiaccia ne ha avuto
più di me».
Ed apriva ancora i lembi del
fazzoletto pieno di pane duro, sorreggendo sotto l'ascella il bastoncino.
C'era una mendicante, a cui
Domenico faceva l'elemosina tre giorni della settimana; una donna grande, dal
volto acceso ed uguale come una maschera sottile, che non si poteva togliere,
una maschera di pelle rossa. Portava, d'estate e d'inverno, uno scialletto di
lana nera annodato dietro il dorso. Teneva sempre incrociate le mani pallide
sul petto. La sua figliola, alta e leggiadra, non la lasciava mai, tenendo una
mano infilata sotto uno dei suoi bracci; era scema e sorrideva sempre; ma di un
sorriso dolce ed appassionato.
Camminavano ambedue rasentando
i muri; a passi lunghi, come se avessero voluto fuggire. Nell'attraversare la
strada da una parte all'altra, si affrettavano anche di più.
Quando mangiavano la zuppa a
qualche convento, la figliola voltava il dorso a tutti; e ritraendo il
cucchiaio dalla bocca, faceva grandi risate silenziose.
Quando la madre morì, fu
rinchiusa in un manicomio.
C'era un cieco, che imprecava
contro il figlio; che aveva una mano secca con un dito di meno:
«Sei un mascalzone, e non mi
aiuti. Se tu stai costì appoggiato al muro, non troverai più pane per noi.
Mascalzone! Mascalzone!».
E tendeva un orecchio,
accartocciandovi dietro una mano; per capire quanta elemosina ci fosse ancora;
mentre la voce era la stessa di quando recitava le devozioni.
Tutti gli altri poveri erano
andati incontro a Rosaura come un branco di polli verso il punto dov'è
rimbalzato un chicco di granturco.
Il giovinetto del cieco
ascoltava, scalcinando con le dita le commessure dei mattoni: preferiva essere
l'ultimo perché, senza leticare, era sicuro che Rosaura avrebbe serbato qualche
cosa per lui.
Tutte le mendicanti guardavano
il pane avuto; e qualcuna ne riposava un pezzo troppo secco dentro una
fenditura del muro, che era accanto all'uscio. Allora Rosaura, sporgendosi
tutta fuori, esclamava:
«Guardatela: viene a chiedere
l'elemosina, e poi la scrafia!».
Una donna rispondeva, tenendosi
ambedue le mani strette sopra i fianchi:
«Se l'avessi avuto io, l'avrei
mangiato!».
Qualcuna rideva, addentando il
pane; dopo averlo un poco rigirato tra le mani sudicie. Ad un tratto, dal
mormorio basso e incomprensibile, cominciava un alterco:
«Viene a chiedere il pane, ed è
ricca quanto vuole».
«Che importa a te? Sono
ricca?... Non le dia retta».
Rosaura interrompeva:
«State zitta, altrimenti non ve
ne daremo più».
Un'altra donna, con il volto
guasto da un ezzema, bendato con una pezzuola azzurra annodata dietro la testa,
rispondeva:
«Ha ragione. Ma io non mi sono
mai lamentata».
Si vedevano soltanto i suoi
occhi infiammati, come piaghe, che non potevano stare aperti; ed era costretta,
per guardare, a sollevare il capo di traverso; mentre, parlando, la benda
seguiva i movimenti della bocca. E che bocca aveva!
Un vecchio, che sopravveniva
quasi sempre a elemosina finita, cercava d'impietosire con quel tono che i
mendicanti adoprano:
«Per amor di Dio... anche a
me».
«Non c'è più niente. Perché non
venite prima?»
«Le gambe non mi reggono più!».
E batteva il suo bastone su lo
scalino dell'uscio. Rosaura se ne andava senza dargli niente; dopo avergli
risposto:
«Ma per arrivare ora vi
reggono!».
Allora egli aspettava ancora
per lungo tempo; con un'ostinazione rabbiosa:
«Signora mia, non mi faccia
soffrire più!».
Aveva lavorato tutta la vita; e
pensava, come a una magnificenza, che se si ammalasse avrebbe potuto entrare in
un ospedale, dove sarebbe stato tutto il giorno steso sopra il letto. E a
mangiare bene!
La moglie almeno gli era morta
giovine, e non soffriva più! Ma egli finì con il credere un obbligo
l'elemosina, come trovare uno scalone e mettercisi a sedere senza che lo
mandassero via.
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