[XXXI]
Ghìsola
viveva più volentieri così, quando Pietro, venuto il tempo degli esami, andò a
trovarla.
Suonò al piccolo uscio, la cui
vernice celeste s'era screpolata al sole. La piastra di porcellana,
bianchissima, con i numeri della casa, luccicava alla luce; e i numeri,
turchini, danzavano e s'aggrovigliavano.
Udì un calpestìo; e poi una
voce di donna gli rispose nel momento che la porta s'apriva. Egli salì in
fretta, respirando forte, come se il troppo fiato durasse fatica a passargli
per le narici, e fosse doventato liquido.
«C'è Ghìsola?».
La donna, incuriosita e
sorridendo del suo imbarazzo, gli rispose come avesse risposto tutta la stanza:
«La chiamo subito».
Egli s'accorse che la sua prima
impressione non aveva corrisposto a quella aspettata: c'era una specie di
ostilità. Non pensò a nulla; ma cercò di ricordare, con quel che ne aveva
provato, la fotografia.
La donna, strascicando le
ciabatte, uscì. Pietro restò troppo solo nel silenzio improvviso; e non avrebbe
voluto esserci: gli pareva che i suoi sentimenti non avessero avuto nessuna
relazione né con quel luogo né con Ghìsola. Ci stava proprio lei?
Un raggio di sole penetrava da
uno strappo dello stoino della finestra fino al mezzo della stanza; e dal
raggio si diffondeva una chiarità tranquilla. Ma quel silenzio sembrava un
abisso e un agguato inspiegabili! Nondimeno, egli si sentiva lieto. Udì alcuni
passi rapidi: era Ghìsola.
Riconosciutolo, rise e arrossì;
poi, rimase il sorriso soltanto. Ed egli credeva, guardandola, di non vedere il
suo volto; e non fu capace di salutarla.
Allora ella lo toccò sopra una
mano, lo invitò a sedersi; e si appoggiò alla tavola, aspettando che parlasse.
Lì per lì, un poco sconvolta,
s'era sentita prendere dalla voglia di piangere; vincendosi perché la vedesse
subito imbellita.
La striscia della luce, essendo
su la sottana, aumentava la chiarità.
La sua buona Ghìsola! L'aveva
ritrovata! S'alzò di scatto; e, allora, poté chiederle, guardando una parete:
«Da quanto sei qui?».
Ella glielo disse con una
disinvoltura che a Pietro dispiacque e tenendo le mani insieme dinanzi, chiese:
«È fidanzato?»
«No».
Ma ebbe voglia, chi sa perché,
di dirle una bugia.
«So che è fidanzato, invece».
Fece un gesto di furbizia; e
riprese, come se avesse parlato di una cosa che la mettesse di buon umore:
«Crede ch'io non sia informata
di lei?».
Ma Pietro, per la contentezza,
era incapace di parlare.
Ella se n'avvide e le apparve,
tra gli occhi e la bocca, un segno di dolcezza. Allora Pietro, credendo giunto
il momento opportuno, disse senza guardarla:
«Ho pensato sempre a te».
Ghìsola si volse verso uno
degli usci: parve che la striscia di luce, movendosi la sottana, volesse
andarsene; e Pietro chiese, sottovoce:
«Credi che ci oda quella
donna?».
Infatti, Ghìsola aveva
sospettato proprio così; ma s'era rallegrata, pensando alle risate che ne
avrebbero fatte insieme, pigliandosi, per il troppo ridere, le braccia. Quasi
si dimenticava di rispondergli; ma, vedendo il suo imbarazzo, disse:
«Potrebbe ascoltare. Non
importa!».
«Chi è? Perché sta con te?».
Ella non si trovò a corto di
bugie; e, dopo aver cavato la lingua fuori per dire: "quante ne vuol
sapere!" gli rispose:
«È l'amica della mia padrona».
«È sola la tua padrona?»
«Sola: tiene questa donna per
compagnia, perché non fa entrare mai nessun uomo».
«E ci stai volentieri? Come ti
tiene? Hai da affaticarti troppo?»
«Oh, mi vuol bene!».
Egli pensò: "Si è
affezionata ora a lei, come prima a Giacco e a Masa!". E disse, per timore
e per riguardo di lei:
«Penserebbe male di te la tua
padrona se mi trovasse qui? Dov'è ora?»
«Tornerà più tardi del solito,
oggi. Bisognerà ch'io le dica che ci è stato lei».
«Diglielo; non ti rimprovererà.
Non devi esser bugiarda».
Egli, così, voleva alludere ai
loro rapporti. E intanto si meravigliò del modo di fare di quella casa e di
quella donna, di cui Ghìsola si preoccupava così poco. Ma anche rifletteva che
ella doveva lavorare per vivere. Allora uno scrupolo lo prese: non doveva
prometterle a un tratto il suo amore, per non offenderla: era stata la sua contadina,
e avrebbe potuto non credergli. Ma, vinto dall'impazienza, domandò:
«E tu hai mai pensato a me?».
Sentì che con queste parole
s'era riallacciato al suo sentimento; e credette di chiudere dentro esso anche
Ghìsola. Era necessario strapparla da quella gente, che la teneva con sé e che
egli non conosceva!
Divenne taciturno, ed ella fece
una di quelle mosse che rivelano di scorcio tutte le abitudini di una
esistenza. Pietro non comprese, ma però le domandò:
«E nessuno ti ha mai voluto
bene?».
Ella non rispose: egli ripeté
la domanda. Non rispose lo stesso: credette di aver preteso di sapere troppo
per la prima volta. Avrebbe dovuto, però, esser subito sincera! Allora si
chiese se poteva parlarle con la stessa confidenza di prima; e sentì una gran
simpatia per quel silenzio improvviso d'agguato, perché per lui era una cosa
insolita.
Ella aspettò che rialzasse la
testa, con una fisonomia tra bonaria e astuta; e gli chiese, quasi scherzando:
«Le piaccio adesso?».
Egli non volle risponderle,
provando una gran contentezza.
All'infuori di loro e della stanza,
non esisteva più niente!
Ghìsola proseguì:
«Mi amerebbe ancora?».
Allora rispose con sforzo, come
se avesse parlato con la voce di un altro:
«Se tu non hai amato mai!».
C'era un silenzio tale che
ambedue credevano d'udire i movimenti delle loro congiunture; ed evitarono di
guardarsi.
Egli ebbe compassione che fosse
serva e che la padrona, risapendo della sua visita, l'avrebbe forse umiliata
rimproverandola. Andò verso la finestra, discostò lo stoino verde; e vide, in
uno abbarbagliamento di sole, alcune aiuole fiorite con bambù nel mezzo.
Ghìsola gli si avvicinò in fretta, con un passo solo; e lo trasse indietro:
«Non si affacci!».
Egli s'intimorì come se
stessero per staccarsi tutti i mattoni della finestra, per colpa sua. Ma quando
Ghìsola lo toccò, si sentì impallidire. Come una volta!
Ella, dopo essersi subito
scostata, prima che egli si riavesse, disse ridendo:
«Mi vuol bene ancora; è vero».
Pietro rise per imitare
Ghìsola; sentendosi girare la testa come dopo un pericolo. Ghìsola fece
l'incredula, aggiungendo:
«Ma non a me sola!».
Egli era incapace di qualunque
riflessione; e le sue parole seguivano una continuità incosciente.
«Perché mi rispondi così? Se te
lo dico io...».
Gli parve che anche le sue mani
parlassero. Ad un tratto percepì Ghìsola lontana, fuori d'ogni illusione,
sentendo come un presentimento nemico che avrebbe dovuto combattere per
chiamarla a sé. Il suo sogno d'amare era ancora remoto! Come profondamente
aveva sognato!
Che era bella non glielo doveva
dire, per non farle un complimento che sembrasse magari equivoco; e poi perché
la sua bellezza non sarebbe valsa a niente se non avesse avuto anche un istinto
profondo di onestà, proprio come lui.
Voleva che avesse la coscienza
dell'onestà, e che ne fosse orgogliosa. Questo era necessario; per quei
principii morali che in lui si fondevano con quelli di redenzione e di
giustizia nella vita. Perciò egli, per primo, doveva dargliene l'esempio. E si
propose di spiegarle tutto in seguito.
Non trovava più che dirle e gli
pareva che qualcuno gli imponesse d'andarsene. Si piantò in mezzo alla stanza,
dette un'occhiata a Ghìsola, le stese la mano, e uscì lentamente; non sapendo
come uscire, battendo una spalla nell'uscio.
Ella fu contenta che la visita
fosse finita così in fretta, perché avrebbe potuto giungere il suo amico.
La scala era di mattonelle
consumate, concave e sottili: guardandole, gli pareva che i suoi piedi le
sfondassero.
Un grande tremito lo scuoteva.
Richiuso l'uscio con un tonfo che gli parve troppo forte, alzò gli occhi e vide
Ghìsola affacciata ad una loggetta di ferro: lo salutava movendo il capo. Ma
egli non ebbe la forza di risponderle: si voltò due volte sempre con il
desiderio che fosse lì, tutto intenerito per lei e pensando che aumentava
sempre più l'impossibilità di poterla salutare. Ed entrò in città senza né meno
avvedersene.
Quantunque camminasse sul
marciapiede rasente il muro dell'argine, non guardò l'Arno con poca acqua
verdastra dove era qualche strisciatura turchina. Fermi sopra una specie di
penisoletta fatta dal fondo del fiume, stavano alcuni barrocci già carichi di
rena; e lì attorno l'acqua, più bassa che altrove, era tutta guizzi di
scintillamenti.
Talvolta, il rumore della città
pareva più distante, spostarsi verso un altro punto, per tornare un momento
dopo; e siccome Pietro camminava in fretta, di quando in quando doveva
soffermarsi per aver sbagliato strada.
Giunse al Lungarno degli
Archibusieri: il Ponte Vecchio con i due piloni che sorreggono le case degli
orefici come picce e insieme con le altre che stanno aggrappate sopra le
mensole ad archi e sopra i puntelli di legno verniciato di rosso: le pareti
sono fatte a brandelli dalle finestre troppo larghe e troppo fitte.
Di là d'Arno, case strette
strette, grigie, sporche, vecchie, quasi abbiano paura di essere rovesciate
giù; case come strisce sottili, d'ogni colore, attaccate con quelle del ponte;
rettangoli di case e rettangoli di acqua: tutti di seguito, diseguali.
L'Arno rasentava gli archi
delle mensole: il suo silenzio e quello delle case faceva udire i brusii
lontani, intonati quasi sempre con qualche campana; e i cipressi di Torre al
Gallo su nell'aria con una immobilità dolcissima.
Di qua d'Arno le botteghe
semichiuse, arse dal sole, con l'ombra troppo calda delle loro tende corte; con
le strade che entravano, deserte, nella città.
Mentre dalla chiesa di San
Miniato, e dal Belvedere, gli alberi come una siepe alta, sparsa di ville
bianche e scendenti dietro i tetti di Borgo San Iacopo.
Il Poggio dell'Incontro aveva
una chiarità celestrina.
Sul Ponte Vecchio il vento
sbatteva le tende scolorite degli orefici, portava la polvere delle strade
sopra il fiume. Ed ecco le statue candide, con le ombre gialle, del Ponte Santa
Trinità; che finisce tra l'abside della chiesa di San Iacopo, a sponda del
fiume, e tra la chiesa di Cestello. Poi il campanile di Santo Spirito, dinanzi
alle case più rade e più basse; fino alle ciminiere del Pignone. E, quasi
solitario, il Ponte della Carraia: in fondo, i primi alberi delle Cascine;
nella luce e lontani.
Tornò a casa molto tardi;
cambiò di posto ai libri portati da Siena, tolse dalla valigia tutta la
biancheria. Durante la notte, si svegliò due o tre volte; e, prima di
riaddormentarsi, si disse, sempre con gioia, a voce alta:
«A domani c'è poco!».
Stette indeciso tutta la mattina,
e la sera le scrisse; perché sentiva d'amarla da vero. Di Ghìsola non si
ricordava come fosse il volto; ma piuttosto, senza vederli chiaramente, gli
pareva che si ripetessero i suoi movimenti intorno a lui. Il colore del suo
vestito era doventato una luce, che di quando in quando sopraggiungeva come un
lampo.
Ghìsola si fece leggere la
lettera dal suo amico; a cui aveva già detto, a modo suo, della visita, non
fidandosi della lingua di Beatrice, la donna di servizio veduta da Pietro.
Il signor Alberto le domandò,
ridendo:
«Perché ti scrive? Sembra che
ti ami da molto tempo. È una lettera curiosa. Fammela rileggere».
Ad ogni frase, questa volta, si
fermò per guardare Ghìsola che gli stava appoggiata ad una spalla. Riprovavano
quei sentimenti che c'erano espressi, sapendo che non sarebbero stati possibili
a loro. Finita la lettera, egli baciò l'amante:
«Questo è suo».
Ella strappò il foglio, e si
mise, per farlo ridere di più, ma anche per l'allegrezza, a camminare con i
tacchi e a girare su se stessa. Egli ci si divertì, ma chiese:
«Come fai a volergli bene?»
«Così».
E rifece un gerbo sentimentale,
con tutta la persona.
«Però tu non mi dici ogni
cosa».
La prese per un orecchio e le
domandò sottovoce:
«Anche a lui?».
Ella si rialzò tutta e
impallidì, rispondendo più lesta che le fu possibile:
«Te lo giuro. Ma se mi sposa,
perché non vorresti?».
Egli, allora, si sarebbe
perfino scusato!
«Soltanto voglio esser certo,
per il bene tuo, che ti ama da vero e che è ricco, come tante volte hai sognato
di trovar qualcuno. Altrimenti, mi pare che potresti restare dove sei».
«Se è ricco? Suo padre ha dieci
poderi e una grande trattoria».
«Ma il suo consenso?»
«Scommetto ce l'ha mandato
lui».
Il signor Alberto credette a
Ghìsola, e ne fu contento.
Mentre ella prendeva i piatti
dalla dispensa per metterli su la tavola, pensò che avrebbe potuto, se gliene
fosse venuta la voglia, restarle amico.
Ma i suoi affari non andavano
bene e bisognava allontanare da sé quella vita troppo pacifica e troppo oziosa.
Ghìsola lo spiava quand'egli,
senza accorgersene, abbassava la testa; aspettando la sua più intima
risoluzione, quella forse che avrebbe nascosta. Temendo che stesse troppo a
pensare, gli disse:
«Che cosa c'è stasera? Sei
tornato con i nervi?».
Egli sorrise e rispose:
«Hai ragione; io sono troppo
anziano per te; e ti sacrificherei. Sono io che voglio che tu ti faccia
sposare».
«Ma perché ne parli? Ce n'è
bisogno? Mi fai rabbia».
«Sei tu che ne parli, cara
Ghìsola! Ma mi viene una buona idea!».
«Dimmela!».
«Devi comportarti in modo da
potergli far credere dopo che t'ha fatto restare incinta lui! Non ti sarà
difficile. Non ti piace?».
Ella si morse le labbra, in
fretta, con le spalle volte al lume. Poi si mise a girare un dito intorno
all'orlo del suo piatto.
Egli le chiese:
«Ebbene?»
«Non gli rispondo né meno. Se
torna qui, gli butto un secchio d'acqua addosso».
E suonò il campanello
elettrico, per chiamare Beatrice che portasse la cena. Ma il signor Alberto,
come se concludesse le sue riflessioni, esclamò:
«Tu doventi più ricca di me».
E aggiunse, con una certa
serietà:
«Basta però che tu non lo
faccia venire in casa mia...».
Ella, sentendosi in fallo,
volse la testa.
«... a fare il comodo vostro».
Ella rise. Allora egli
s'intristì:
«E non voglio che tu ti faccia
vedere insieme qui dalla gente di Badia. Mi conoscono».
E mentalmente proseguì:
"Perdo anche lei. Doveva essere così, mi pare". Procurò di sorridere,
si lisciò i baffi, andò a guardarla negli occhi, le dette un pizzicotto che le
fece male.
«Hai inteso?».
Ella rise per non piangere.
Egli non aveva voglia d'intenerirsi; e chiese con diffidenza comica:
«Non ti riesce a farti baciare
da lui?».
E aggiunse per burletta:
«È più furbo di me; perché tu,
con me, hai fatto quello che hai voluto».
Scoppiarono in una risata; e
siccome la donna entrava, si sederono a cenare.
Ghìsola, lusingata perché aveva
capito subito quanto Pietro l'amava, invece di rispondergli con un'altra
lettera, andò lei stessa a trovarlo. Non poteva darsi che la sposasse da vero?
E allora sarebbe tornata a Siena non contadina, ma padrona.
Quand'ella arrivò, Pietro stava
in camera con un libro in mano, ma senza studiare: arrotolava con le dita i
lembi delle pagine. Invece di due esami ne aveva dato uno solo; e pensava a
Ghìsola. No; egli non doveva andare agli esami! Doveva fare in quel modo!
Quand'ella aprì l'uscio senza
aver né meno bussato, il cuore gli fece un balzo. Ed esclamò:
«Vieni! Ti aspettavo!».
Ella, un poco seria, si sedé,
alzando la veletta fino al cappello ornato di violette finte; ed egli le disse:
«Lèvatelo».
Egli non aveva mai detto così a
nessuna donna!
Ella, quasi che lo sapesse o lo
sentisse dalla voce, sorrise di buon umore; e dopo avere esaminata con
affettata diffidenza tutta la stanza, andò allo specchio, sfilò lo spillo, se
lo mise in bocca, lo posò con il cappello sul marmo del canterano.
Averla sposata subito! Com'era
bella!
Si sederono a faccia, provando
egli un piacere impacciato a sorriderle, ed ella badando a fare come lui. Poi
avvicinarono le mani insieme sopra il tavolino, ed egli le pigiò ad uno ad uno
le dita, in silenzio; come per convincerla che non c'era niente di male.
Il sole faceva doventare rosse
le stecche della persiana chiusa.
Egli si alzò e la baciò; ed
ella socchiuse gli occhi. Ma nello stesso tempo avrebbe voluto rimproverarla
dicendo: "Ti puoi fidare; ma se io non ti amassi così da vero?". E le
teneva strette le mani, per provarle che l'amava; piacendogli il suo odore di
sudore.
Ghìsola abbassava le palpebre
tutte le volte che incontrava il suo sguardo; ma gli sorrideva, quasi
invitandolo a capire e a smettere di amarla a quel modo con la pretesa di non
esser mai stata di nessuno. Poi tossì e appoggiò il dorso alla sedia per stare
più discosta.
Ella, dunque, era sua! Ma che
le dava in cambio di tanta gioia? E perciò le chiese:
«Puoi amarmi anche tu?».
Ghìsola tacque, piegando la
testa. Egli insisté per farsi rispondere; con una dolcezza che voleva fosse
apprezzata. Allora ella lo baciò per la prima volta, come se non sapesse
baciare; strofinandosi poi il fazzoletto alla bocca, quasi fosse pentita; e
disse lesta:
«Bisogna che torni a casa».
Pietro pensò: "È bene in
fatti che non stia molto tempo qui!".
E le chiese il permesso di
ribaciarla. Ghìsola allora finse di rimproverarlo, perché non glielo aveva
chiesto anche prima; mortificandolo, senza ch'egli sapesse quel che rispondere:
il nero delle sue pupille aveva quella lavatura, che pigliano le cose quando
stanno in fondo all'acqua.
Ma nel mettersi il cappello, si
bucò con lo spillo un dito. Poteva farsi male anche se egli era lì! Le afferrò
la mano, guardando la stilla di sangue che ingrossava sempre di più; e quando
fu per cadere, la succhiò.
Ella lo lasciò fare,
incuriosita. E gli sorrise come a un ragazzo: già con una dolcezza ch'era più
confidenziale e più buona.
Pietro, inebriato, le disse:
«Me ne ricorderò sempre!».
In Piazza Beccaria, e gli
alberi mossi dal vento pareva che non ci dovessero entrare più, il fazzoletto
le cadde di mano. Egli lo raccolse, e lo tenne finché non si lasciarono. Il
fazzoletto era quasi la stessa cosa con il vestito di lei.
«Quando torni?».
Ghìsola non sapeva se il suo
amico le avrebbe fatto far subito da vero quel che voleva.
«Non lo so...».
Pietro si sforzò di capire se
ne dovesse pensare bene o male: certo, gli parve impossibile ch'ella se ne andasse.
«Domani?».
Ma gli dispiacque insistere,
non sapendo se sbagliava.
«È troppo presto. Tra cinque
giorni».
Ella sorrise soltanto per
prendere tempo.
«Pensa che t'aspetto... Non mi
credi? Dimmelo che mi credi...».
«Lo so».
E sorrise un'altra volta.
«Ti posso scrivere?... Ma sai
leggere?»
«No».
E avrebbe invece voluto
mentire, guardandolo più volentieri con alterigia; ma arrossì, abbassando il
volto.
«E chi ti leggerà le lettere?
Una donna, non è vero?... Bada di fartele leggere soltanto da una donna».
«Da una donna: c'è bisogno che
tu me lo dica?».
E arricciava con una mano il
labbro di sotto; Pietro la guardava rapito; poi, per rassicurarsi che non fosse
costretta a mentirgli, chiese:
«Quella che vidi quando venni a
trovarti?».
Ma Ghìsola se ne accorse e
rise; rispondendo:
«Un'altra. Non venire più
oltre».
Egli disse: «Torna presto».
Ed ebbe questa riflessione
istantanea: "Perché l'obbedisco? Ma ciò mi procura un senso di piacere e
d'orgoglio!".
Ella se ne andò, senza voltarsi
mai. Ed egli stette a vederla sparire dietro una piegata, dov'era un cipresso
ritto sopra un muro; come un'estranea che non sapesse né meno niente del loro
amore; mentre quel che aveva provato gli pareva più reale di lei stessa.
Una foglia, staccatasi
dall'albero di un giardino, gli rasentò il volto: se fosse stato a Poggio a'
Meli, l'avrebbe presa.
Ghìsola, a pena distante, le
parve di aver perso tempo e basta.
|