[XVII]
Quella
stessa mattina, Ghìsola s'intestò di non alzarsi.
Masa le chiese, con ira:
«Ti senti male, forse,
dormigliona?».
Ma quella non rispose; e la
vecchia, borbottando, andò in cucina a mangiare. Dopo un poco, riaprì l'uscio;
e affacciatasi, richiese:
«Perché non mi rispondi? Vuoi
fare i gestri, stamani?».
Ghìsola sgorgugliò e si
ravvoltolò sotto le coperte, con il viso dalla parte del muro.
Masa non era capace di avere una
lunga collera; e, per giustificarsi, disse:
«Ho visto che ridevi!».
E continuò ad ingoiar la zuppa
diaccia, tenendo la scodella in mano.
Ghìsola era molto stanca; aveva
una di quelle stanchezze che, lì per lì, si sentono anche moralmente.
Ma Masa, con una persistenza
uggiosa, le disse ancora:
«Io non ho da sprecare più il
fiato. E a star con te non compiccio niente».
«Smettete, dunque! Non posso
dormire? Non voglio lavorare. Non devo tornare a Radda? Perché state così
impalata?».
Le pareva di non aver dormito;
e si stupì che Masa continuasse:
«E se il padrone non ti vuole
più qui, doventi impertinente con me?».
E fece l'atto di batterle il
cucchiaio su la faccia, ma invece lo leccò di sopra e di sotto. In fondo la
compativa, e le dispiaceva di separarsene. Tornò in cucina.
Ghìsola, messa di buon umore da
quelle parole, si alzò. In camicia, fece una ghirlanda di fiori finti, con
certi pezzetti di filo di ferro; ai quali, l'anno avanti, era stata attaccata
l'uva. Poi, la nascose nel canterano insieme con i suoi ritagli di carta colorata,
con le scatole da saponette, con un mucchio di nastri e di striscioline di
stoffa; che, talvolta, si divertiva a sciorinare in fila sul davanzale della
finestra; dove il piccione e la picciona volavano battendo il becco ai vetri
per chiederle il granturco o le briciole secche di pane che ella si ritrovava
sempre in fondo alla tasca del grembiule.
Si piccò anche di non mangiare,
quantunque Masa le avesse tagliato un pezzo di pane.
«Di che cosa campi? Alle volte,
invece, t'inghebbi».
La giovinetta alzò il coperchio
della madia e v'introdusse il capo, fiutando l'odore acre del lievito che s'era
aperto secondo la croce fattavi da Masa con la costola d'un coltello.
Poi se ne andò nel campo,
cantando a voce alta; e pensando ai suoi nastri e alle sue scatolette odorose.
Dove l'erba era folta, ci stava
di più; dov'era rada e bassa, faceva presto, con un colpo di falcinello. Si
asciugava, di quando in quando, le mani guazzose, sdrusciandosele alla sottana.
Il granturchetto, gremito, le dava quasi gioia; e metteva le piante più belle
sopra tutte le altre per darle da sé ai vitelli; che se le mangiavano come una
ghiottoneria, leccandole, dopo, le mani e i polsi, scuotendo la testa e le
catene legate alle corna.
Quel mastichìo nel silenzio
della stalla! E poi bevevano così bene nelle conche colme! Una sorsata sola,
che faceva abbassare subito l'acqua! E, da ultimo, certi loro succhii,
smuovendo la lingua, respirando a lungo per i buchi del naso, con il collo
allungato in su fino a dovere aprire la bocca; scostandosi dalle mangiatoie, a
traverso.
Questa volta ella, ad un
tratto, pianse; e sbatté, con tutta la sua forza, l'uscio; correndo dalla
nonna.
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