[XXX]
Borio, più
anziano, le incuteva anche una certa obbedienza. Aveva la testa grossa e con un
birignoccolo, il viso tutto rasato; e i capelli, a spazzola, che gli coprivano
fin giù le tempia: le sopracciglia come lunghe setole nere e attaccate insieme
sul naso.
Ella stessa l'indomani andò a
ritrovarlo; e ne divenne gelosa.
Adesso i suoi occhi parevano
sempre molli; e i capelli più morbidi; con la fronte troppo piccola.
Borio ci si era perso, e
l'avrebbe sposata. Ma anche il suo fattore la possedette; e ambedue, per
gelosia, ne sparlavano con tutti: allora molti di quei giovinotti, da lei
respinti, non la lasciarono più in pace.
Andavano a cercarla nel campo,
sotto i fichi e i peschi; l'appostavano, quando tornava, attraverso i ginepri.
Si doveva difendere a morsi e con le unghie, piangendo e rifugiandosi a casa di
corsa. E allora le veniva da ridere; e aspettava che passassero sotto la sua
finestra. Qualcuno cercava d'arrampicarsi anche su per il muro. Poi facevano le
sassaiuole alla porta.
Il fattore voleva tirare
qualche fucilata, come alle lepri.
Ma ella, per non buscarne tutti
i giorni dai suoi, e per essere più indipendente, trovò servizio da una signora
della Castellina, un altro paese distante da Radda pochi chilometri.
La strada da Siena, dopo essere
discesa fin giù ad un torrentello dov'è un mulino, sale in mezzo a linee
contorte e raggomitolate di colli che s'assomigliano e della stessa dolcezza,
con i filari delle viti tra i muriccioli a secco, di sassi, con le fattorie
dietro i cipressi, con qualche campanile così lontano che dopo una voltata non
si vede più. E di mano in mano che la strada s'aggira, quasi tormentandosi
della sua lunghezza, impaziente, si fa sempre più silenziosa; e le campagne più
aride e solitarie.
Vi sono poggi con cime piane,
lastricate di pietre, sterpigne: qualche croce, fatta con i pali delle viti,
talvolta abbattuta, in proda a una scorciatoia per i contadini e per le bestie.
Boschi di querci, ma radi; e,
tra il fogliame, si vedono prominenze e insenature di altre colline,
scoscendimenti ripidi e a un tratto pianeggianti, con tre o quattro facce che
si attaccano a ondulazioni di prati, a ripiani di terra rossastra, a balze.
Dopo Fonterutoli, un villaggio
come un angolo di case, con quattro botteghe, la strada si fa ripidissima; e
riesce ad esser più alta che altrove.
Talvolta tutto un pezzo di bosco
appare quanto è largo, e un uccello vi passa sopra; da un doccio, il solo che è
per quella strada, vecchio e sbocconcellato, scroscia l'acqua dentro un
abbeveratoio massiccio.
Il silenzio di quei boschi, le
lunghe ore di seguito! E uguale a quello delle pietre aggavignate dalle radici
degli alberi. Ma quando il vento soffia da dove gli alti monti doventano quasi
diafani, gli scontorcimenti delle fronde impauriscono, strepitando e sibilando:
ogni fronda, ristrettasi accostando insieme le foglie, quando si riapre per
tutto il bosco è un tremolio che s'attenua, accompagnato da qualche suono, che
sbalza da un punto all'altro, flebile e melodioso. I ramicelli si schiantano,
le foglie sbattono su le pietraie; gli uccelli volano qua e là come portati dal
vento.
Nel temporale tutte le querci
si piegano insieme, con sforzo, per abbassarsi. Le nuvole si fermano sopra,
quasi si mettessero a guardare; e par che né meno il vento riesca a smuoverle.
Talvolta sono immobili le
querci, e allora le nuvole passano.
La strada, dopo il villaggio,
si volge a gomito, in salita, come una fetta bianca tra due spianatine di
verde; poi, all'improvviso e dritta, precipita per più di un chilometro,
tagliata tra i macigni; e allora si vede giù tutta la Castellina.
E in quel punto, a destra,
seguitano altre colline poco più alte. Mentre, a sinistra, sono sempre più
basse fino alle pianure della Val d'Elsa; con i paesi che sembrano piccole
macie; poi cominciano la Montagnola e Montemaggio; e dietro a loro si stendono
altre file di monti, che a vederli di lassù sono uguali alle nuvole lontane.
Ci si imbatte, quasi sempre, in
un branco di pecore, che attraversano lo spazio dove non sono piante e si
rimboscano dall'altra parte, trotterellando. Oppure scendono giù per una
viottola, l'una dopo l'altra; come si buttassero con il capo in avanti; e il
peso della prima le traesse dietro tutte.
Quanti carri verniciati di
rosso, con i bovi; e sopra, per lo più, i contadini a coccoloni per stare più
comodi!
Qualche automobile, proprio
delle prime, faceva affacciare alla finestra e agli usci quelli che erano in
tempo, meravigliati che passasse tra loro come se non ci fossero né meno stati;
poi si scambiavano il solito sguardo e tornavano alle faccende. Che fretta!
Le donne, che avevano i bambini
a raspare la terra, quasi in mezzo alla strada, gridavano imprecando.
Qualcuno di quei vecchi fattori
arricchiti, strettosi al muro più di quanto ce ne fosse bisogno, andava a
sfogarsi con gli amici, seduto sopra uno sgabello, con il bastone di legno
sbucciato tra le gambe, appoggiando la schiena torta su le segolette, le
fruste, le funi attaccate alla bottega che vendeva anche lo zolfo, le spazzole
e le bullette per le scarpe.
Se ne stava lì magari due ore,
sputando sempre dalla stessa parte; facendosi comprare il sigaro da qualche
ragazzo, per non muoversi.
«Andrebbero messi in prigione,
non è vero? Ai nostri tempi, queste stupidaggini non c'erano».
E rideva spalancando tanto la
bocca che si vedeva tutto il solco della lingua a punta; una lingua aguzzata
con il coltello.
A mezzogiorno, quando il sole
troppo caldo aumentava il silenzio, egli, con l'orologio in mano, aspettava che
le campane suonassero:
«Tu che ora hai?».
Le campane si muovevano; tutti
si alzavano come sorpresi: quasi avessero dovuto cambiar di posto anche le
muraglie. Le botteghe erano chiuse ad un tratto. E coloro che abitavano fuori
del paese si avviavano a mangiare; indugiandosi, però, al sole; come i cani che
scodinzolavano a tutti.
La metà superiore della torre
era dentro alla luce, e pareva dovesse consumarsi come una fiamma.
Quando le campane tacevano, se
ne udiva una lontana sperduta tra le boscaglie; che continuava a cantare per
conto proprio, mescolando il suono con i campani dei greggi.
Una ragazza, venuta da un altro
paese vicino e conosciuto, si porta sempre con sé tutti i pregiudizi con le
simpatie e le ostilità che quello ha. Ora, a Ghìsola, s'erano aggiunte molte
dicerie; che facevano ridere.
Il prete, avvertito certo da
quell'altro di Radda, rimproverò la signora che l'aveva presa al servizio. La
giovine sentì in lui un persecutore fanatico: lo vedeva bene dalla sua
fisonomia alterata e biancastrona quand'egli la guardava torcendo la bocca
tutta da una parte; con gli occhi noccioluti e miopi. Ed ella allora camminò
più rimpettita, più lasciva, come un'anatra che tiene alto il becco.
Come odiava Radda, ora! No,
Borio non avrebbe fatto così con un'altra: con una delle sue sorelle, per
esempio!
Rivedeva tutta la processione:
anzi si divertiva riconoscendo a uno a uno quegli che cantavano senza badare a
lei, dicendo mentalmente i loro nomi, dietro quel crocifisso nudo e tarlato;
con le gocce di vernice rossa come sangue vero, che battesse in terra,
spaccando gli zoccoli di tutta quella calca! Le pareva che la processione
entrasse, vertiginosamente, dentro i suoi occhi! Il baldacchino un poco di
sghembo, e la musica riecheggiata, come se suonasse anche la valle tortuosa, a
nicchia: quella musica quasi che parlasse; e il suono delle campane così forte
da farle staccare.
Ghìsola aveva creduto di
trovare alla Castellina gente che s'occupasse meno di lei; ma questa differenza
non c'era.
Tutti sapevano qualche cosa; e
chi non la sapeva se l'inventava.
Il sindaco ne era impensierito,
perché doventava un vero scandalo; e diceva che certe donne stanno bene nella
città e non nei paesi. E, poi, alla Castellina! Ma Ghìsola gli piaceva, e ci
faceva invece anche il galante.
Ella, benché ce ne fossero
parecchi, non trovò né meno uno da farci amicizia; perché, appena si parlavano,
c'era sempre la persona che li scopriva e andava a dirlo. Così non avevano più
il modo di riavvicinarsi.
Per i signorotti, poi, si
trattava di un divertimento molto allegro; e ognuno se la spacciava per sua
amante.
La mezza dozzina di signorine,
in fondo, la invidiavano che piacesse così e che gli uomini la guardassero
benché parlandone male.
Per Ghìsola doventava troppo; e
bisognava venir via anche dalla Castellina: "Che ci faceva, là su, tra
quel pettegolezzaio?".
Dopo né meno un mese, per mezzo
di alcune amicizie, d'accordo con una mezzana, fu presa da un commerciante di
stoviglie separato dalla moglie; il quale appunto voleva conoscere una ragazza
di quel genere. Egli, avendola trovata di suo piacimento e disposta, la mise in
una sua casetta nei dintorni di Badia a Ripoli; dove da tutti era chiamato,
alla buona, il signor Alberto.
E Ghìsola, mandando il suo
indirizzo ai parenti, scrisse d'aver trovato servizio.
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