[XXXIV]
Pietro
tornava solo da lunghissime passeggiate in campagna, dopo essersi consigliato
anche con l'aria. Talvolta gli era parso impossibile che Ghìsola avesse amato
qualcuno, perché sarebbe stato una contaminazione della sua bellezza. Piuttosto
era lui un geloso!
Talvolta si diceva: "Sono
proprio a Siena? Non mi pare la stessa. Certamente, il suo cielo ora è più
azzurro di prima: non era così una volta". Notò che d'estate, verso sera,
nella Piazza del Campo rimane una luce pallida e tepida, un avanzo del
meriggio; simile alla luce d'una lanterna, che illumini soltanto là dentro;
mentre le persone, che attraversano quello spazio, sembrano lontane nel tempo,
con un silenzio indefinibile.
"Quando ci sarà anche
Ghìsola, le dirò quel che provo".
Tutte le mattine si svegliava
con un sospiro. E come si ricordava bene dei sogni!
Ma senza Ghìsola non poteva
vivere; e, verso la metà d'agosto, decise d'andare a prenderla, perché tornasse
a Radda ad aspettare il loro matrimonio; un anno forse, un anno e mezzo al più.
Perché non avrebbe avuto il consenso? Intanto, facendola stare a Radda, si
sentiva più sicuro di lei.
Da Rebecca si fece prestare il
denaro per il viaggio.
Ma a Firenze, in quelle poche
ore, gli pareva d'essere sempre a Siena, in cima alla Via di Camporegio, dove
era andato tutti i giorni quando faceva la scuola tecnica. È breve la distanza
tra la mole rude e rossiccia di San Domenico e le case che s'arrampicano alla
rinfusa, un'altra volta, in ogni direzione attorno al Duomo, fermandovisi sotto
a pena che lo toccano; ma, a guardare di lì la profondità vuota di Fontebranda,
ci si sente mozzare il respiro.
L'Ospedale, alto su le mura,
rosso sangue, lo vedeva doventare del colore della terra bruciata; il turchino
del cielo, bigio. E poi le prime stelle, qua e là, così sparse che gli facevano
angoscia.
I vicoli, simili a spaccature e
a cretti enormi, s'anneravano.
Tra i giardini e gli orti,
l'uno più alto dell'altro, chiusi dentro i muri rettangolari, che spesso hanno
a comune, nelle insenature o nelle sporgenze delle colline, e seguendo i loro
pendii diseguali, il barlume della notte gli sembrava che cadesse come quando
piove a dirotto.
Un briaco cominciava a cantare
e poi smetteva. La Costaccia come il parapetto d'un abisso, e il Costone quasi
a picco, con il suo arco greve e largo che lo tiene fermo perché sopra ci passi
un'altra strada, salgono di squincio, verso le case.
Non due tetti della stessa
altezza, anche se accanto. Grumoli piccoli e grandi di case che s'allungano
parallelamente obliqui e storti: alcune volte le case stanno a due e tre angoli
l'uno dentro l'altro, a cerchio, a nodi, serrate insieme, mescolate,
aggrovigliate, con curve rotte o schiacciate, sempre con improvvisi
cambiamenti; obbedendo alle forme delle colline, ai pendii e alle svolte delle
vie, alle piazze che dall'alto paiono buche.
Ad un tratto, uno stacco tra
due case, e poi le altre che s'afferrano e si tengono ancora, con forza,
pigiandosi e abbassandosi e poi risalendo e girando per sparire leste leste
dietro quelle che hanno un movimento affatto diseguale e che vengono incontro
dalla parte opposta; salite su; ma anche queste s'interrompono quasi subito per
doventare una raggiera più larga, irregolare, tutta piana oppure contorta;
dentro la quale si mettono e s'avventano case, di sghembo, a traverso, come
riescono e possono; spinte da altre che fanno l'effetto di volersi accomodare
meglio ed assestarsi, ciascuna per conto proprio.
Le case, bassissime, quasi per
affondare nella campagna, da Porta Ovile, da Fontebranda, dai Tufi, sorreggono
quelle che hanno a ridosso, le trattengono dalla loro voglia di sparpagliarsi più
rade; i punti più alti sono come richiami alle case costrette ad obbedire per
non restare troppo sole.
Nei rialzi sembra che ci sia un
parapiglia a mulinello, negli abbassamenti le case precipitano l'una addosso
all'altra; come frane. Oppure si possono contare fino a dieci file di tetti,
lunghe lunghe, sempre più alte: di fianco, altre file che vanno in senso
perpendicolare alle prime.
La Torre del Mangia esce fuori
placida da tutto quell'arruffio.
E attorno alla città, gli olivi
e i cipressi si fanno posto tra le case; come se, venuti dalla campagna, non
volessero più tornare a dietro.
Ma gli pareva d'essere
inseguito da suo padre, pur sentendosi rasserenato dal campanile di Giotto, da
Santa Maria del Fiore, da quelle strade che conosceva, già percorse in quella
specie di perdizione sempre più accanita. Aveva voglia di riparlare con
qualcuno dei suoi compagni, di spiegare a loro l'equivoco avuto, e come si
fosse perso per una ragione che non sapeva dire; per quanto gli dispiacesse
tenere segreti anche ora che sentiva la necessità squisita d'aver qualche cosa
da nascondere; una cosa che forse era come la sua anima stessa.
Un venditore di limoni, sotto
un ombrello verde con le stecche di legno, era seduto al principio del Ponte
alle Grazie. Qualche facchino e qualche persona indefinibile sonnecchiavano
appoggiati al muricciolo dell'argine.
Un'allodola volò dagli alberi
di San Miniato, verso le Cascine, come una cosa scintillante.
Andando verso la Piazza della
Signoria, fresca e annaffiata, si cominciava a rivedere la gente: più fitta in
Via Calzaioli e nella Piazza del Duomo. In fondo a Via Cavour, il poggio di
Fiesole; alto e verde.
A Badia, quando scese dal
tranvai, Pietro arrossì quantunque non ci fosse nessuno. E scrutò sotto le
persiane, per scorgervi qualche viso che guardasse nella strada: soltanto
piante di geranii polverosi.
Apertogli l'uscio proprio da
Ghìsola, che però non lo fece entrare, egli subito si dolse che non fosse già
andata a Radda; ed ella rispose che aspettava lui e voleva prima essere sicura
che i suoi genitori l'avrebbero volentieri ripresa in casa.
Gli era inesplicabile la
sensazione di trovarsi con lei già da tanto tempo.
«E perché no? Sono cattivi con
te?»
«Io non ci sto volentieri».
Gli fece caso che rispondesse
proprio a quel modo e non altrimenti. L'accarezzò, pregandola:
«Tu non mi devi rispondere di
no; devi aspettare a casa tua. Mi farai piacere».
Poi pensò: "Perché le
domando di fare così?".
«Se tu vuoi...».
Visto ch'ella era per ubbidire,
chiese:
«Vieni a Siena con me, allora».
Ella sorrise e gli fece cenno
di tacere.
Era convinto che dovesse
provare una gran dolcezza ad ubbidirgli; ma Ghìsola, che aveva voglia di
scherzare più che d'altro, gli chiese: «Ti piaccio meno?»
«Perché dovresti piacermi
meno?».
E le accarezzò tutta la faccia:
ella si discostò e gli guardò la punta delle dita.
«Perché non vuoi? Ti aspetto
nella strada, verso la Badia».
«Verrò. Ora vattene».
Le baciò ambedue le mani,
tenendogliele insieme, mentre ella si tirava a dietro, quasi chiudendogli
l'uscio in faccia.
Ed egli pensava, scendendo le
scale: "Ha sofferto. Soffre perché deve stare in una casa che non è sua. I
genitori, forse, non le hanno più scritto; i parenti la invidiano. M'è parsa
più sensuale; ma io devo rispettarla lo stesso, anzi di più: dopo, la
odierei".
Invece non gli fece caso che
potesse venirsene via così a pena glie ne aveva parlato.
Il signor Alberto s'era
impigliato in un processo di fallimento; e da una quindicina di giorni non si
faceva più vedere da nessuno, né meno da lei, che andava a trovarlo, di rado,
qualche mezz'ora, nello studio d'uno dei suoi avvocati dove ormai passava tutto
il suo tempo. Egli l'aveva pregata di tornare a Radda, soltanto finché il
processo non fosse finito; anche perché i parenti della moglie, ch'erano tra i
testimonii, non soffiassero nella brace.
Denari non li dava più; e, più
d'una volta, Ghìsola aveva dovuto cominciare a contentarsi di pane mangiato
soltanto con qualche frutta. Ma, non volendo tornare a casa e non avendo dove
andare, aspettava prima di decidere qualche cosa.
Così non aveva, dunque, dopo
l'arrivo di Pietro, che da incaricare Beatrice di salutare il suo amico,
pregandolo che non la dimenticasse.
Tuttavia, per farle ricordare
che Pietro l'aspettava, ci vollero le altre persuasioni di Beatrice; alla
quale, evidentemente, il padrone aveva ricorso anche per questa faccenda.
La donna l'abbracciò piangendo;
con una tenerezza che la fece sorridere, lacrimando.
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