2. La vita e il ministero di san Basilio
Fra i padri greci chiamato «grande», nei
testi liturgici bizantini Basilio è invocato come «luce della pietà» e
«luminare della Chiesa». La illuminò, infatti, e tuttora la illumina: non meno
per «la purezza della sua vita» che per l'eccellenza della sua dottrina. Poiché
il primo e più grande insegnamento dei santi è pur sempre la loro vita.
Nato in una famiglia di santi, Basilio ebbe anche il
privilegio di una educazione eletta, presso i più reputati maestri di Costantinopoli
e di Atene.
Ma a lui parve che la sua vita cominciasse veramente solo
quando, in modo più pieno e determinante, gli fu dato di conoscere il Cristo
come suo Signore: quando, cioè, attirato irresistibilmente da lui, praticò quel
distacco radicale che avrebbe poi tanto inculcato nel suo insegnamento (cfr.
S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 8: PG 31,933c-941a), e divenne suo
discepolo.
Si mise allora alla sequela del Cristo, volendo conformarsi
soltanto a lui: guardando a lui solo, ascoltando lui solo (cfr. S.Basilii
«Moralia», LXXX,1: PG 31,860bc), e in tutto e per tutto considerandolo suo
unico «sovrano, re, medico, e maestro di verità» (S.Basilii «De Baptismo», I,1:
PG 31,1516b).
Senza esitare, quindi, abbandonò quegli studi che pure tanto
aveva amato e dai quali aveva tratto immensi tesori di scienza (cfr. Gregorii
Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,525c-528c): avendo infatti deciso di
servire a Dio solo, non volle più sapere nulla all'infuori del Cristo (cfr.
1Cor 2,2), e ritenne vanità ogni sapienza che non fosse quella della croce.
Sono parole sue, con le quali, già verso il termine della vita, rievocava
l'evento della sua conversione: «Io avevo sciupato molto tempo nella vanità,
perdendo quasi tutta la mia giovinezza nel lavoro vano a cui mi applicavo per
apprendere gli insegnamenti di quella sapienza che Dio ha resa stolta (cfr.
1Cor 1,20); finché un giorno, come svegliandomi da un sonno profondo, riguardai
alla mirabile luce della verità del Vangelo, e considerai l'inutilità della
sapienza dei prìncipi di questo mondo che sono ridotti all'impotenza (cfr. 1Cor
2,6). Allora piansi molto sulla mia miserabile vita» (cfr. S.Basilii «Epistula»
223: PG 32,824a).
Pianse sulla sua vita, benché già prima - secondo la
testimonianza di Gregorio Nazianzeno, suo compagno di studi - fosse umanamente
esemplare (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,521cd): gli
sembrò nondimeno «miserabile», perché non era in modo totale ed esclusivo consacrata
a Dio, che è l'unico Signore.
Con irrefrenabile impazienza, interruppe dunque gli studi
intrapresi e, abbandonati i maestri della sapienza ellenica, «attraversò molte
terre e molti mari» (S.Basilii «Epistula» 204: PG 32,753a) in cerca di altri
maestri: quegli «stolti» e quei poveri che nei deserti si esercitavano a ben
diversa sapienza.
Cominciò così ad apprendere cose mai salite al cuore
dell'uomo (cfr. 1Cor 2,9), verità che i retori e i filosofi non avrebbero mai
potuto insegnargli (cfr. S.Basilii «Epistula» 223»: PG 32,824bd). E in questa
sapienza nuova crebbe poi di giorno in giorno, in un meraviglioso itinerario di
grazia: mediante la preghiera, la mortificazione, l'esercizio della carità, il
continuo commercio con le sante Scritture e gli insegnamenti dei Padri (cfr.
praesertim S.Basilii «Epistula» 2 et 22).
Ben presto fu chiamato al ministero.
Ma anche nel servizio delle anime, con saggio equilibrio
seppe comporre la predicazione infaticabile con spazi di solitudine e ampio
respiro di preghiera. Riteneva infatti che ciò fosse di inderogabile necessità
per la «purificazione dell'anima» (S.Basilii «Epistula» 2: PG 32,228a; cfr.
«Epistula» 210: PG 32,769a), e quindi perché l'annuncio della parola potesse
sempre essere confermato dall'«evidente esempio» della vita (S.Basilii «Regulae
fusius tractatae», 43: PG 31,1028a-1029b; cfr. «Moralia», LXX,10: PG
31,824d-825b).
Così divenne pastore e fu insieme, nel senso più sostanziale
del termine, monaco; anzi, fu certo fra i più grandi dei monaci-Pastori della Chiesa:
figura singolarmente completa di Vescovo, e grande promotore e legislatore del
monachesimo.
Forte, infatti, della propria personale esperienza, Basilio
contribuì fortemente alla formazione di comunità di cristiani totalmente
consacrati al «divino servizio» (S.Benedicti «Regula», Prologus), e si assunse
l'impegno e la fatica di sostenerle con frequenti visite (cfr. S.Gregorii
Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,536b): per sua e loro edificazione
intrattenendosi con esse in mirabili colloqui, molti dei quali, per grazia di
Dio, ci sono stati trasmessi per scritto (cfr. S.Basilii «Regulae brevius
tractatae», Proemium: PG 31,1080ab). A questi scritti hanno attinto vari
legislatori del monachesimo, non ultimo lo stesso san Benedetto, che considera
Basilio come suo maestro (cfr. S.Benedicti «Regula», LXXIII,5); a questi
scritti - direttamente o indirettamente conosciuti - si sono ispirati la più
parte di coloro che, in oriente come in occidente, hanno abbracciato la vita
monastica.
Per questo si ritiene da molti che quella struttura capitale
della vita della Chiesa che è il monachesimo sia stata posta, per tutti i
secoli, principalmente da san Basilio; o che, almeno, non sia stata definita
nella sua natura più propria senza il suo decisivo contributo.
Basilio ebbe molto a soffrire per i mali in cui gemeva, in
quell'ora difficile, il Popolo di Dio (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG
31,653b). Li denunciò con franchezza, e, con lucidità e amore, ne individuò le
cause, per accingersi coraggiosamente a una vasta opera di riforma. Cioè
all'opera - da perseguire in ogni tempo, da rinnovare a ogni generazione -
volta a riportare la Chiesa del Signore, «per la quale il Cristo è morto e
sulla quale ha effuso abbondante il suo Spirito» (cfr. S.Basilii «De iudicio»:
PG 31,653b), alla sua forma primitiva: a quella normativa immagine, bella e
pura, che ce ne trasmettono la parola del Cristo e degli Atti degli Apostoli.
Quante volte Basilio ricorda, con passione e costruttiva nostalgia, il tempo in
cui «la moltitudine dei credenti era un cuore solo e un'anima sola»! (At 4,32;
cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 36,660c; cfr. «Regulae fusius tractatae», 7: PG 31,933c; cfr.
«Homilia tempore famis»: PG 31,325ab).
Il suo impegno di riforma si volse insieme, con armonia e
compiutezza, praticamente a tutti gli aspetti e gli ambiti della vita
cristiana.
Per la natura stessa del suo ministero, il Vescovo è
innanzitutto pontefice del suo popolo- e il Popolo di Dio è prima di tutto
popolo sacerdotale.
Non può quindi in alcun modo trascurare la liturgia - la sua
forza e ricchezza, la sua bellezza, la sua «verità» - un Vescovo veramente
sollecito del bene della Chiesa. Nell'opera pastorale, anzi, l'impegno pr la
liturgia sta logicamente al vertice di tutto e concretamente in cima a ogni
altra scelta: la liturgia, infatti - come ricorda il Concilio Vaticano II - è
«il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa, e insieme la fonte da cui
promana tutta la sua virtù» («Sacrosanctum Concilium», 10), cosicché
«nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia» («Sacrosanctum
Concilium», 7).
Di questo si mostrò perfettamente consapevole Basilio e il
«legislatore di monaci» (cfr. S.Gregorii Nazianzenii «In laudem Basilii»: PG
36,541c) seppe essere anche sapiente «riformatore liturgico» (cfr. S.Gregorii
Nazianzenii «In laudem Basilii»: PG 36,541c).
Della sua opera in questo ambito resta, eredità
preziosissima per la Chiesa di tutti i tempi, l'anafora che legittimamente
porta il suo nome: la grande preghiera eucaristica che, da lui rifusa e arricchita,
è bellissima fra le più belle.
Non solo: lo stesso ordinamento fondamentale della preghiera
salmodica ebbe in lui uno dei maggiori ispiratori e artefici (cfr. S.Basilii
«Epistula» 2 et «Regula fusius tractatae», 37: PG 31,1013b-1016c). Così,
soprattutto per l'impulso dato da lui, la salmodia - «incenso spirituale»,
respiro e conforto del Popolo di Dio (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG
29,212a-213c) - nella sua Chiesa fu amata moltissimo dai fedeli, e divenne nota
ai piccoli e agli adulti, ai dotti e agli incolti (cfr. S.Basilii «In Psalmum»
1: PG 29,212a-213c). Come riferisce lo stesso Basilio: «Presso di noi il popolo
si alza di notte per recarsi alla casa della preghiera,... e trascorre la notte
alternando salmi e preghiere» (S.Basilii «Epistula» 207: PG 32,764ab). I salmi,
che nelle chiese rimbombavano come tuoni (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem
Basilii»: PG 36,561cd), si udivano risuonare anche nelle case e nelle piazze
(cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29,212c).
Basilio amò di amore geloso la Chiesa (cfr. 2Cor 11,2): e
sapendo che la sua verginità e la sua stessa fede, della purezza di questa fede
fu custode vigilantissimo.
Per questo dovette e seppe combattere con coraggio: non
contro uomini, ma contro ogni adulterazione della parola di Dio (cfr. 2Cor
2,17), ogni falsificazione della verità, ogni manomissione del deposito santo
(cfr. 1Tm 6,20) trasmesso dai Padri. Il suo impeto perciò non aveva nulla di
passionale: era forza di amore; e la sua chiarezza nulla di puntiglioso: era
delicatezza di amore.
Così, dall'inizio al termine del suo ministero combatté per
salvaguardare intatto il senso della formula di Nicea riguardo alla divinità
del Cristo «consostanziale» al Padre (cfr. S.Basilii «Epistula» 9: PG 32,272a;
«Epistula» 52: PG 32,392b-396a; «Adv. Eunomium», I: PG 29,556c); e ugualmente
combatté perché non fosse sminuita la gloria dello Spirito che, «facendo parte
della Trinità ed essendo della divina e beata natura di essa» (S.Basilii
«Epistula» 243: PG 32,909a), deve essere con il Padre e il Figlio connumerato e
conglorificato (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32,117c).
Con fermezza, ed esponendosi personalmente a pericoli
gravissimi, vigilò e combatté anche per la libertà della Chiesa: da vero
Vescovo, non esitando a contrapporsi ai regnanti per difendere il diritto suo e
del Popolo di Dio di professare la verità e di ubbidire al Vangelo (cfr.
S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG 36,557c-561c). Il Nazianzeno, che
riferisce un episodio saliente di questa lotta, fa ben comprendere che il
segreto della sua forza non risiedeva che nella semplicità stessa del suo
annuncio, nella chiarezza della sua testimonianza, e nell'inerme maestà della
sua dignità sacerdotale (cfr. S.Gregorii Nazianzeni «In laudem Basilii»: PG
36,561c-564b).
Non minore severità che contro eresie e tiranni, Basilio
mostrò contro equivoci e abusi all'interno della Chiesa: particolarmente,
contro la mondanizzazione e l'attaccamento ai beni.
A muoverlo era, ancora e sempre, il medesimo amore alla
verità e al Vangelo; benché in modo diverso, era pur sempre il Vangelo,
infatti, a essere negato e contraddetto: sia dall'errore degli eresiarchi, che
dall'egoismo dei ricchi.
Al riguardo sono memorabili, e rimangono esemplari, i testi
di alcuni suoi discorsi: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri (Mt 19,22);...
perché, anche se non hai ucciso o commesso adulterio o rubato o detto falsa
testimonianza, non ti serve a nulla se non fai anche il resto: solo in tale
modo potrai entrare nel regno di Dio» (S.Basilii «Homilia in divites»: PG
31,280b-281a). Chi infatti, secondo il comandamento di Dio, vuole amare il
prossimo come se stesso (cfr. Lv 19,18; Mt 19,19), «non deve possedere niente
di più di quello che possiede il suo prossimo» (S.Basilii «Homilia in divites»
PG 31,281b).
E in modo ancora più appassionato, in tempo di carestia,
esortava a «non mostrarsi più crudeli delle bestie,... col mettersi in seno ciò
che è comune, e possedendo da soli ciò che è di tutti» (cfr. S.Basilii «Homilia
tempore famis»: PG 31,325a).
Un radicalismo sconcertante e bellissimo, e un forte appello
alla Chiesa di tutti i tempi a confrontarsi seriamente con il Vangelo.
Al Vangelo, che comanda l'amore e il servizio dei poveri,
oltre che con queste parole Basilio rese testimonianza con opere immense di carità;
come la costruzione, alle porte di Cesarea, di un gigantesco ospizio per i
bisognosi (cfr. S.Basilii «Epistula» 94: PG 32,488bc): una vera città della
misericordia che da lui prese il nome di Basiliade (cfr. Sozosemi «Historia
Eccl.» VI,34: PG 67,1397a), anch'essa momento autentico dell'unico annuncio
evangelico.
Fu lo stesso amore per il Cristo e il suo Vangelo, ciò che
tanto lo fece soffrire delle divisioni della Chiesa e che con tanta
perseveranza, sperando contra spem, gli fece ricercare con tutte le Chiese una
comunione più efficace e manifesta (cfr. S.Basilii «Epistulae» 70 et 243).
È la verità stessa del Vangelo, infatti, a essere oscurata
dalla discordia dei cristiani, ed è il Cristo stesso a esserne lacerato (cfr.
1Cor 1,13). La divisione dei credenti contraddice la potenza dell'unico
battesimo (cfr. Ef 4,4), che nel Cristo ci fa una sola cosa, anzi un'unica
mistica persona (cfr. Gal 3,28); contraddice la sovranità del Cristo, unico re
al quale tutti devono ugualmente essere soggetti; contraddice l'autorità e la
forza unificante della parola di Dio, unica legge alla quale tutti i credenti
devono concordemente ubbidire (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31,653a-656c).
La divisione delle Chiese è quindi un fatto così nettamente
e direttamente anti-cristologico e anti-biblico, che secondo Basilio la via per
la ricomposizione dell'unità può essere soltanto la ri-conversione di tutti al
Cristo e alla sua parola (cfr. S.Basilii «De iudicio»: PG 31,660b-661a).
Nel multiforme esercizio del suo ministero Basilio si fece
dunque, come prescriveva per tutti gli annunciatori della parola, «apostolo e
ministro di Cristo, dispensatore dei misteri di Dio, araldo del regno, modello
e regola di pietà, occhio del corpo della Chiesa, pastore delle pecore di
Cristo, medico pietoso, padre e nutrice, cooperatore di Dio, agricoltore di
Dio, costruttore del tempio di Dio» (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,12-21: PG
31,864b-868b).
E in tale opera e tale lotta - ardua, dolorosa, senza
respiro - Basilio offrì la sua vita (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,18: PG
31,865c) e si consumò come olocausto.
Morì non ancora cinquantenne, consumato dalle fatiche e
dall'ascesi.
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