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Ioannes Paulus PP. II Redemptionis donum IntraText CT - Lettura del testo |
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5. La vocazione porta in sé la risposta all'interrogativo: perché essere uomo e come esserlo? Questa risposta dà una nuova dimensione a tutta la vita e stabilisce il suo senso definitivo. Tale senso emerge nell'orizzonte del paradosso evangelico circa la vita che si perde volendo salvarla, e che, al contrario, si salva perdendola «a causa di Cristo e del Vangelo», come leggiamo in Marco.
Alla luce di questa parola acquista piena evidenza la chiamata di Cristo: «Va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Tra questo «va'» e il successivo «vieni e seguimi» si stabilisce uno stretto rapporto. Si può dire che queste ultime parole determinino l'essenza stessa della vocazione. Si tratta, infatti, di seguire le orme di Cristo («sequi», da cui la «sequela Christi»). I termini «va' - vendi - dallo» sembrano definire la condizione che precede la vocazione. D'altra parte, però, questa condizione non sta «all'esterno» della vocazione, ma si trova già «all'interno» di essa. Infatti, l'uomo fa la scoperta del nuovo senso della propria umanità non solo per «seguire» Cristo, ma in tanto in quanto lo segue. Quando egli «vende ciò che possiede» e «lo dà ai poveri», allora scopre che quei beni e quelle agiatezze, che già possedeva, non erano il tesoro accanto a cui rimanere: il tesoro sta nel suo cuore, reso capace da Cristo di «dare» agli altri, dando se stesso. Ricco non è colui che possiede, ma colui che dà, colui che è capace di dare.
In questo punto il paradosso evangelico acquista una particolare espressività. Diventa un programma dell'essere: essere povero, nel senso dato dal Maestro di Nazaret a un tale «essere», significa diventare nella propria umanità un dispensatore di bene. Ciò parimenti vuol dire scoprire «il tesoro». Questo tesoro è indistruttibile. Esso passa insieme con l'uomo nella dimensione dell'eternità, appartiene all'escatologia divina dell'uomo. Grazie a questo tesoro l'uomo ha il suo definitivo futuro in Dio. Cristo dice: «Avrai un tesoro nel cielo». Questo tesoro non è tanto «un premio» dopo la morte per le opere compiute sull'esempio del divino Maestro, quanto piuttosto è il compimento escatologico di ciò che si nascondeva dietro queste opere già qui, sulla terra, nel «tesoro» interiore del cuore. Lo stesso Cristo, infatti, invitando nel discorso della montagna ad accumulare tesori nel cielo, ha aggiunto: «Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,20). Queste parole indicano il carattere escatologico della vocazione cristiana e, ancor più, il carattere escatologico della vocazione che si realizza sulla via delle nozze spirituali con Cristo mediante la pratica dei consigli evangelici.
6. La struttura di questa vocazione, quale si desume dalle parole rivolte al giovane nei Vangeli sinottici, si delinea man mano che si scopre il tesoro fondamentale della propria umanità nella prospettiva di quel «tesoro», che l'uomo «ha nel cielo». In questa prospettiva il tesoro fondamentale della propria umanità si collega al fatto di «essere donando se stessi». Il punto diretto di riferimento in una tale vocazione è la persona viva di Gesù Cristo. La chiamata alla via della perfezione prende forma da lui e per lui nello Spirito Santo il quale a sempre nuove persone, uomini e donne, in diversi momenti della loro vita e prevalentemente nella giovinezza, «ricorda» tutto ciò che Cristo «ha detto» e, in particolare, ciò che «disse» al giovane che gli chiedeva: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». Attraverso la risposta di Cristo, il quale «fissa con amore» il suo interlocutore, l'intenso fermento del mistero della redenzione penetra la coscienza, il cuore e la volontà di un uomo che cerca con verità e sincerità.
In questo modo la chiamata alla via dei consigli evangelici ha sempre il suo inizio in Dio: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga». La vocazione, nella quale l'uomo scopre fino in fondo la legge evangelica del dono iscritta nella propria umanità, è essa stessa un dono! È un dono ricolmo del contenuto più profondo del Vangelo, un dono nel quale si riflette il profilo divino-umano del mistero della redenzione del mondo. «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione» (1Gv 4,10).