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Ioannes Paulus PP. II Redemptionis donum IntraText CT - Lettura del testo |
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13. Cristo, «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,6-8).
Tocchiamo qui, in queste parole della lettera di Paolo ai Filippesi, l'essenza stessa della redenzione. In questa realtà è inscritta in modo primario e costitutivo l'obbedienza di Gesù Cristo. Confermano tale dato anche le altre parole dell'apostolo, tratte questa volta dalla lettera ai Romani: «Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,19).
Il consiglio evangelico dell'obbedienza è la chiamata che scaturisce da questa obbedienza di Cristo «fino alla morte». Coloro che accolgono questa chiamata, espressa con la parola «seguimi», decidono - come dice il Concilio - di seguire Cristo, «che redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza fino alla morte di croce» («Perfectae Caritatis», 1). Nell'attuare il consiglio evangelico dell'obbedienza, essi raggiungono l'essenza profonda dell'intera economia della redenzione. Nell'adempiere questo consiglio, essi desiderano conseguire una speciale partecipazione all'obbedienza di quell'«uno solo», mediante l'obbedienza del quale tutti «saranno costituiti giusti».
Si può dire, dunque, che coloro che decidono di vivere secondo il consiglio dell'obbedienza, si collocano in modo singolare tra il mistero del peccato e il mistero della giustificazione e della grazia salvifica. Si trovano in questo «luogo» con tutto il sottofondo peccaminoso della propria natura umana, con tutta l'eredità «della superbia della vita», con tutta l'egoistica tendenza a dominare e non a servire, e proprio mediante il voto di obbedienza si decidono a trasformarsi a somiglianza di Cristo, il quale «redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza». Nel consiglio dell'obbedienza essi desiderano trovare il proprio ruolo nella redenzione di Cristo e la propria via di santificazione.
È questa la via che Cristo ha tracciato nel Vangelo, parlando molte volte del compimento della volontà di Dio, dell'incessante ricerca di essa. «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato a compiere la sua opera». «Perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato». «Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite». «Perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato». Questo compimento costante della volontà del Padre fa pensare anche a quella confessione messianica del salmista dell'antica alleanza: «Sul rotolo del libro di me è scritto: che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore» (Gv 4,34; 5,30; 6,38).
Tale obbedienza del Figlio - piena di gioia - raggiunge il suo zenit di fronte alla passione e alla croce: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia, non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Sin dalla preghiera nel Getsemani la disponibilità di Cristo a compiere la volontà del Padre si riempie fino all'orlo di sofferenza, diventa quell'obbedienza «fino alla morte e alla morte di croce», di cui parla san Paolo.
Mediante il voto di obbedienza le persone consacrate decidono di imitare con umiltà in modo particolare l'obbedienza del Redentore. Benché, infatti, la sottomissione alla volontà di Dio e l'obbedienza alla sua legge siano per ogni stato condizione di vita cristiana, tuttavia nello «stato religioso», nello «stato di perfezione», il voto di obbedienza stabilisce nel cuore di ciascuno e di ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, il dovere di uno speciale riferimento a Cristo «obbediente fino alla morte». E poiché questa obbedienza di Cristo costituisce il nucleo essenziale dell'opera della redenzione, come risulta dalle parole sopra citate dell'Apostolo, perciò anche nell'adempiere il consiglio evangelico dell'obbedienza si deve scorgere un momento particolare di quell'«economia della redenzione», che pervade tutta la vostra vocazione nella Chiesa.
Di qui scaturisce quella «disponibilità totale allo Spirito Santo», che agisce innanzitutto nella Chiesa, come si esprime il mio predecessore Paolo VI nell'esortazione apostolica «Evangelica Testificatio», ma che si manifesta, altresì, nelle costituzioni dei vostri istituti. Di qui scaturisce quella religiosa sottomissione, che in spirito di fede le persone consacrate dimostrano ai propri superiori legittimi, che tengono il posto di Dio. Nella lettera agli Ebrei troviamo su questo tema un'indicazione molto significativa: «Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano per le vostre anime, come chi ha da renderne conto». E l'autore della lettera aggiunge: «Obbedite, perché facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe vantaggioso per voi» (Eb 13,17).
I superiori, d'altra parte, memori di dover esercitare in spirito di servizio la potestà loro conferita per il tramite del ministero della Chiesa, si mostreranno disponibili all'ascolto dei propri fratelli per discernere meglio quanto il Signore richiede da ciascuno, ferma restando l'autorità loro propria di decidere e di comandare ciò che riterranno opportuno.
Di pari passo con la sottomissione-obbedienza così concepita va l'atteggiamento di servizio, che informa tutta la vostra vita ad esempio del Figlio dell'uomo, il quale «non venne per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). E la sua Madre, nel momento decisivo dell'annunciazione-incarnazione, penetrando sin dall'inizio in tutta l'economia salvifica della redenzione, disse: «Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38).
Ricordate anche, cari fratelli e sorelle, che l'obbedienza a cui vi siete impegnati, consacrandovi senza riserva a Dio mediante la professione dei consigli evangelici, è una particolare espressione della libertà interiore, così come definitiva espressione della libertà di Cristo fu la sua obbedienza «fino alla morte»: «Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso» (Gv 10,17-18).