20. L'importanza dei sindacati
Sulla base di tutti questi diritti, insieme con la necessità
di assicurarli da parte degli stessi lavoratori, ne sorge ancora un altro: vale
a dire, il diritto di associarsi, cioè di formare associazioni o unioni,
che abbiano come scopo la difesa degli interessi vitali degli uomini impiegati
nelle varie professioni. Queste unioni hanno il nome di sindacati. Gli
interessi vitali degli uomini del lavoro sono fino ad un certo punto comuni per
tutti; nello stesso tempo, però, ogni tipo di lavoro, ogni professione possiede
una propria specificità, che in queste organizzazioni dovrebbe trovare il suo
proprio riflesso particolare.
I sindacati trovano la propria ascendenza, in un certo
senso, già nelle corporazioni artigianali medioevali, in quanto queste
organizzazioni univano tra di loro uomini appartenenti allo stesso mestiere e,
quindi, in base al lavoro che effettuavano. Al tempo stesso, però, i
sindacati differiscono dalle corporazioni in questo punto essenziale: i moderni
sindacati sono cresciuti sulla base della lotta dei lavoratori, del mondo del
lavoro e, prima di tutto, dei lavoratori industriali, per la tutela dei loro giusti
diritti nei confronti degli imprenditori e dei proprietari dei mezzi di
produzione. La difesa degli interessi esistenziali dei lavoratori in tutti i
settori, nei quali entrano in causa i loro diritti, costituisce il loro
compito. L'esperienza storica insegna che le organizzazioni di questo tipo sono
un indispensabile elemento della vita sociale, specialmente nelle
moderne società industrializzate. Ciò, evidentemente, non significa che
soltanto i lavoratori dell'industria possano istituire associazioni di questo
tipo. I rappresentanti di ogni professione possono servirsene per assicurare i
loro rispettivi diritti. Esistono, quindi, i sindacati degli agricoltori e dei
lavoratori di concetto; esistono pure le unioni dei datori di lavoro. Tutti,
come già è stato detto, si dividono ancora in successivi gruppi o sottogruppi,
secondo le particolari specializzazioni professionali.
La dottrina sociale cattolica non ritiene che i sindacati
costituiscano solamente il riflesso della struttura «di classe» della società e
che siano l'esponente della lotta di classe, che inevitabilmente governa la
vita sociale. Sì, essi sono un esponente della lotta per la giustizia
sociale, per i giusti diritti degli uomini del lavoro a seconda delle
singole professioni. Tuttavia, questa «lotta» deve essere vista come un normale
adoperarsi «per» il giusto bene: in questo caso, per il bene che corrisponde
alle necessità e ai meriti degli uomini del lavoro, associati secondo le
professioni; ma questa non è una lotta «contro» gli altri. Se nelle
questioni controverse essa assume anche un carattere di opposizione agli altri,
ciò avviene in considerazione del bene della giustizia sociale, e non per «la
lotta», oppure per eliminare l'avversario. Il lavoro ha come sua caratteristica
che, prima di tutto, esso unisce gli uomini, ed in ciò consiste la sua forza
sociale: la forza di costruire una comunità. In definitiva, in questa comunità
devono in qualche modo unirsi tanto coloro che lavorano, quanto coloro che
dispongono dei mezzi di produzione, o che ne sono i proprietari. Alla luce
di questa fondamentale struttura di ogni lavoro - alla luce del fatto che,
in definitiva, in ogni sistema sociale il «lavoro» e il «capitale» sono le
indispensabili componenti del processo di produzione - l'unione degli uomini
per assicurarsi i diritti che loro spettano, nata dalle necessità del lavoro,
rimane un fattore costruttivo di ordine sociale e di solidarietà, da
cui non è possibile prescindere.
I giusti sforzi per assicurare i diritti dei lavoratori, che
sono uniti dalla stessa professione, devono sempre tener conto delle
limitazioni che impone la situazione economica generale del paese. Le richieste
sindacali non possono trasformarsi in una specie di «egoismo» di gruppo o di
classe, benché esse possano e debbano tendere pure a correggere - per
riguardo al bene comune di tutta la società - anche tutto ciò che è difettoso
nel sistema di proprietà dei mezzi di produzione o nel modo di gestirli e di
disporne. La vita sociale ed economico-sociale è certamente come un sistema di
«vasi comunicanti», ed a questo sistema deve pure adattarsi ogni attività
sociale, che ha come scopo quello di salvaguardare i diritti dei gruppi
particolari.
In questo senso l'attività dei sindacati entra indubbiamente
nel campo della «politica», intesa questa come una prudente
sollecitudine per il bene comune. Al tempo stesso, però, il compito dei
sindacati non è di «fare politica» nel senso che comunemente si dà oggi a
questa espressione. I sindacati non hanno il carattere di «partiti politici»
che lottano per il potere, e non dovrebbero neppure essere sottoposti alle
decisioni dei partiti politici o avere dei legami troppo stretti con essi.
Infatti, in una tale situazione essi perdono facilmente il contatto con ciò che
è il loro compito specifico, che è quello di assicurare i giusti diritti degli
uomini del lavoro nel quadro del bene comune dell'intera società, e diventano,
invece, uno strumento per altri scopi.
Parlando della tutela dei giusti diritti degli uomini del
lavoro a seconda delle singole professioni, occorre naturalmente aver sempre
davanti agli occhi ciò che decide circa il carattere soggettivo del lavoro in
ogni professione, ma al tempo stesso, o prima di tutto, ciò che condiziona la
dignità propria del soggetto del lavoro. Qui si dischiudono molteplici
possibilità nell'operato delle organizzazioni sindacali, e ciò anche nel loro impegno
di carattere istruttivo, educativo e di promozione dell'auto-educazione. Benemerita
è l'opera delle scuole, delle cosiddette «università operaie» e «popolari», dei
programmi e corsi di formazione, che hanno sviluppato e tuttora sviluppano
proprio questo campo di attività. Si deve sempre auspicare che, grazie
all'opera dei suoi sindacati, il lavoratore possa non soltanto «avere» di più,
ma prima di tutto «essere» di più: possa, cioè, realizzare più pienamente la
sua umanità sotto ogni aspetto.
Adoperandosi per i giusti diritti dei loro membri, i
sindacati si servono anche del metodo dello «sciopero», cioè del blocco
del lavoro, come di una specie di ultimatum indirizzato agli organi competenti
e, soprattutto, ai datori di lavoro. Questo è un metodo riconosciuto dalla
dottrina sociale cattolica come legittimo alle debite condizioni e nei giusti
limiti. In relazione a ciò i lavoratori dovrebbero avere assicurato il diritto
allo sciopero, senza subire personali sanzioni penali per la partecipazione
ad esso. Ammettendo che questo è un mezzo legittimo, si deve contemporaneamente
sottolineare che lo sciopero rimane, in un certo senso, un mezzo estremo. Non
se ne può abusare; non se ne può abusare specialmente per giochi
«politici». Inoltre, non si può mai dimenticare che, quando trattasi di servizi
essenziali alla convivenza civile, questi vanno, in ogni caso, assicurati
mediante, se necessario, apposite misure legali. L'abuso dello sciopero può
condurre alla paralisi di tutta la vita socio-economica, e ciò è contrario alle
esigenze del bene comune della società, che corrisponde anche alla natura
rettamente intesa del lavoro stesso.
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