17. Diritti dell'uomo: «lettera» o «spirito»
Il nostro secolo è stato finora un secolo di grandi calamità
per l'uomo, di grandi devastazioni non soltanto materiali, ma anche morali,
anzi forse soprattutto morali. Certamente, non è facile paragonare sotto questo
aspetto epoche e secoli, poiché ciò dipende anche dai criteri storici che
cambiano. Nondimeno, senza stabilire questi paragoni, bisogna pur constatare
che finora questo secolo è stato un secolo in cui gli uomini hanno preparato a
se stessi molte ingiustizie e sofferenze. Questo processo è stato decisamente
frenato? In ogni caso, non si può qui non ricordare, con stima e con profonda
speranza per il futuro, il magnifico sforzo compiuto per dare vita
all'Organizzazione delle Nazioni Unite, uno sforzo che tende a definire e
stabilire gli oggettivi ed inviolabili diritti dell'uomo, obbligandosi
reciprocamente gli Stati-membri ad una rigorosa osservanza di essi. Questo
impegno è stato accettato e ratificato da quasi tutti gli Stati del nostro
tempo, e ciò dovrebbe costituire una garanzia perché i diritti dell'uomo
diventino, in tutto il mondo, principio fondamentale dell'azione per il bene
dell'uomo.
La Chiesa non ha bisogno di confermare quanto questo
problema sia strettamente collegato con la sua missione nel mondo
contemporaneo. Esso, infatti, sta alle basi stesse della pace sociale e
internazionale, come hanno dichiarato al riguardo Giovanni XXIII, il Concilio
Vaticano II e poi Paolo VI in particolareggiati documenti. In definitiva, la
pace si riduce al rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo - opera di
giustizia è la pace -, mentre la guerra nasce dalla violazione di questi
diritti e porta con sé ancor più gravi violazioni di essi. Se i diritti
dell'uomo vengono violati in tempo di pace, ciò diventa particolarmente
doloroso e, dal punto di vista del progresso, rappresenta un incomprensibile
fenomeno della lotta contro l'uomo, che non può in nessun modo accordarsi con
un qualsiasi programma che si autodefinisca «umanistico». E quale programma
sociale, economico, politico, culturale potrebbe rinunciare a questa
definizione? Nutriamo la profonda convinzione che non c'è nel mondo di oggi
alcun programma in cui, perfino sulla piattaforma di opposte ideologie circa la
concezione del mondo, non venga messo sempre in primo piano l'uomo.
Ora, se malgrado tali premesse, i diritti dell'uomo vengono
in vario modo violati, se in pratica siamo testimoni dei campi di
concentramento, della violenza, della tortura, del terrorismo e di molteplici
discriminazioni, ciò deve essere una conseguenza delle altre premesse che
minano, o spesso annientano quasi l'efficacia delle premesse umanistiche di
quei programmi e sistemi moderni. S'impone allora necessariamente il dovere di
sottoporre gli stessi programmi ad una continua revisione dal punto di vista
degli oggettivi ed inviolabili diritti dell'uomo.
La Dichiarazione di questi diritti, unitamente
all'istituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, non aveva certamente
soltanto il fine di distaccarsi dalle orribili esperienze dell'ultima guerra
mondiale, ma anche quello di creare una base per una continua revisione dei
programmi, dei sistemi, dei regimi, proprio da quest'unico fondamentale punto
di vista, che è il bene dell'uomo - diciamo della persona nella comunità - e
che, come fattore fondamentale del bene comune, deve costituire l'essenziale
criterio di tutti i programmi, sistemi, regimi. In caso contrario, la vita
umana, anche in tempo di pace, è condannata a varie sofferenze e, nello stesso
tempo, insieme con esse si sviluppano varie forme di dominio, di totalitarismo,
di neocolonialismo, di imperialismo, che minacciano anche la convivenza tra le
nazioni. Invero, è un fatto significativo e confermato a più riprese dalle
esperienze della storia, come la violazione dei diritti dell'uomo vada di pari
passo con la violazione dei diritti della nazione, con la quale l'uomo è unito
da legami organici, come con una più grande famiglia.
Già fin dalla prima metà di questo secolo, nel periodo in
cui si stavano sviluppando vari totalitarismi di Stato, i quali - come è noto -
portarono all'orribile catastrofe bellica, la Chiesa aveva chiaramente
delineato la sua posizione di fronte a questi regimi, che apparentemente
agivano per un bene superiore, qual è il bene dello Stato, mentre la storia
avrebbe invece dimostrato che quello era solo il bene di un determinato
partito, identificatosi con lo Stato111. In realtà, quei regimi avevano
coartato i diritti dei cittadini, negando loro il riconoscimento proprio di
quegli inviolabili diritti dell'uomo che, verso la metà del nostro secolo,
hanno ottenuto la loro formulazione in sede internazionale. Nel condividere la
gioia di questa conquista con tutti gli uomini di buona volontà, con tutti gli
uomini che amano veramente la giustizia e la pace, la Chiesa, consapevole che
la sola «lettera» può uccidere, mentre soltanto «lo spirito dà
vita»112, deve insieme con questi uomini di buona volontà domandare
continuamente se la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e l'accettazione della
loro «lettera» significhino dappertutto anche la realizzazione del loro
«spirito». Sorgono, infatti, timori fondati che molto spesso siamo ancora lontani
da questa realizzazione, e che talvolta lo spirito della vita sociale e
pubblica si trova in una dolorosa opposizione con la dichiarata «lettera» dei
diritti dell'uomo. Questo stato di cose, gravoso per le rispettive società,
renderebbe particolarmente responsabili, di fronte a queste società ed alla
storia dell'uomo, coloro che contribuiscono a determinarlo.
Il senso essenziale dello Stato, come comunità politica,
consiste nel fatto che la società o chi la compone, il popolo, è sovrano della
propria sorte. Questo senso non viene realizzato, se, al posto dell'esercizio
del potere con la partecipazione morale della società o del popolo, assistiamo
all'imposizione del potere da parte di un determinato gruppo a tutti gli altri
membri di questa società. Queste cose sono essenziali nella nostra epoca, in
cui è enormemente aumentata la coscienza sociale degli uomini ed insieme con
essa il bisogno di una corretta partecipazione dei cittadini alla vita politica
della comunità, tenendo conto delle reali condizioni di ciascun popolo e del
necessario vigore dell'autorità pubblica113. Questi sono, quindi,
problemi di primaria importanza dal punto di vista del progresso dell'uomo
stesso e dello sviluppo globale della sua umanità.
La Chiesa ha sempre insegnato il dovere di agire per il bene
comune e, così facendo, ha educato altresì buoni cittadini per ciascuno Stato.
Essa, inoltre, ha sempre insegnato che il dovere fondamentale del potere è la
sollecitudine per il bene comune della società; da qui derivano i suoi
fondamentali diritti. Proprio nel nome di queste premesse attinenti all'ordine
etico oggettivo, i diritti del potere non possono essere intesi in altro modo
che in base al rispetto dei diritti oggettivi e inviolabili dell'uomo. Quel
bene comune, che l'autorità serve nello Stato, è pienamente realizzato solo
quando tutti i cittadini sono sicuri dei loro diritti. Senza questo si arriva
allo sfacelo della società, all'opposizione dei cittadini all'autorità, oppure
ad una situazione di oppressione, di intimidazione, di violenza, di terrorismo,
di cui ci hanno fornito numerosi esempi i totalitarismi del nostro secolo. È
così che il principio dei diritti dell'uomo tocca profondamente il settore
della giustizia sociale e diventa metro per la sua fondamentale verifica nella
vita degli Organismi politici.
Fra questi diritti si annovera, e giustamente, il diritto
alla libertà religiosa accanto al diritto alla libertà di coscienza. Il
Concilio Vaticano II ha ritenuto particolarmente necessaria l'elaborazione di
una più ampia Dichiarazione su questo tema. E il documento che s'intitola Dignitatis
Humanae114, nel quale è stata espressa non soltanto la concezione
teologica del problema, ma anche la concezione dal punto di vista del diritto
naturale, cioè dalla posizione «puramente umana», in base a quelle premesse
dettate dall'esperienza stessa dell'uomo, dalla sua ragione e dal senso della
sua dignità. Certamente, la limitazione della libertà religiosa delle persone e
delle comunità non è soltanto una loro dolorosa esperienza, ma colpisce
innanzitutto la dignità stessa dell'uomo, indipendentemente dalla religione
professata o dalla concezione che esse hanno del mondo. La limitazione della
libertà religiosa e la sua violazione contrastano con la dignità dell'uomo e
con i suoi diritti oggettivi. Il sunnominato documento conciliare dice con
bastante chiarezza che cosa sia una tale limitazione e violazione della libertà
religiosa. Indubbiamente, ci troviamo in questo caso di fronte a una
ingiustizia radicale riguardo a ciò che è particolarmente profondo nell'uomo,
riguardo a ciò che è autenticamente umano. Difatti, perfino lo stesso fenomeno
dell'incredulità, areligiosità e ateismo, come fenomeno umano, si comprende
soltanto in relazione al fenomeno della religione e della fede. È pertanto
difficile, anche da un punto di vista «puramente umano», accettare una
posizione, secondo la quale solo l'ateismo ha diritto di cittadinanza nella
vita pubblica e sociale, mentre gli uomini credenti, quasi per principio, sono
appena tollerati, oppure trattati come cittadini di categoria inferiore, e
perfino - il che è già accaduto - sono del tutto privati dei diritti di
cittadinanza.
Occorre, pur se brevemente, trattare anche questo tema,
perché anch'esso rientra nel complesso delle situazioni dell'uomo nel mondo
attuale, perché anch'esso testimonia quanto questa situazione sia gravata da
pregiudizi e da ingiustizie di vario genere. Se ci asteniamo dall'entrare nei
particolari proprio in questo campo, in cui avremmo uno speciale diritto e
dovere di farlo, ciò è soprattutto perché, insieme con tutti coloro che
soffrono i tormenti della discriminazione e della persecuzione per il nome di
Dio, siamo guidati dalla fede nella forza redentrice della croce di Cristo.
Tuttavia, in virtù del mio ufficio, desidero a nome di tutti i credenti del
mondo intero, rivolgermi a coloro da cui, in qualche modo, dipende
l'organizzazione della vita sociale e pubblica, domandando ad essi ardentemente
di rispettare i diritti della religione e dell'attività della Chiesa. Non si
chiede alcun privilegio, ma il rispetto di un elementare diritto. L'attuazione
di questo diritto è una delle fondamentali verifiche dell'autentico progresso
dell'uomo in ogni regime, in ogni società, sistema o ambiente.
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