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Ioannes Paulus PP. II Fides et ratio IntraText CT - Lettura del testo |
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Il dramma della separazione tra fede e ragione
Insomma, ciò che il pensiero patristico e medievale aveva concepito e attuato come unità profonda, generatrice di una conoscenza capace di arrivare alle forme più alte della speculazione, venne di fatto distrutto dai sistemi che sposarono la causa di una conoscenza razionale separata dalla fede e alternativa ad essa.
Nell'ambito della ricerca scientifica si è venuta imponendo una mentalità positivista che non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del mondo, ma ha anche, e soprattutto, lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale. La conseguenza di ciò è che certi scienziati, privi di ogni riferimento etico, rischiano di non avere più al centro del loro interesse la persona e la globalità della sua vita. Di più: alcuni di essi, consapevoli delle potenzialità insite nel progresso tecnologico, sembrano cedere, oltre che alla logica del mercato, alla tentazione di un potere demiurgico sulla natura e sullo stesso essere umano. Come conseguenza della crisi del razionalismo ha preso corpo, infine, il nichilismo. Quale filosofia del nulla, esso riesce ad esercitare un suo fascino sui nostri contemporanei. I suoi seguaci teorizzano la ricerca come fine a se stessa, senza speranza né possibilità alcuna di raggiungere la meta della verità. Nell'interpretazione nichilista, l'esistenza è solo un'opportunità per sensazioni ed esperienze in cui l'effimero ha il primato. Il nichilismo è all'origine di quella diffusa mentalità secondo cui non si deve assumere più nessun impegno definitivo, perché tutto è fugace e provvisorio.
Quanto sia pericoloso assolutizzare questa strada l'ho fatto osservare fin dalla mia prima Lettera enciclica quando scrivevo: «L'uomo di oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà. I frutti di questa multiforme attività dell'uomo, troppo presto e in modo spesso imprevedibile, sono non soltanto e non tanto oggetto di 'alienazione', nel senso che vengono semplicemente tolti a colui che li ha prodotti; quanto, almeno parzialmente, in una cerchia conseguente e indiretta dei loro effetti, questi frutti si rivolgono contro l'uomo stesso. Essi sono, infatti, diretti, o possono essere diretti contro di lui. In questo sembra consistere l'atto principale del dramma dell'esistenza umana contemporanea, nella sua più larga e universale dimensione. L'uomo, pertanto, vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti, naturalmente non tutti e non nella maggior parte, ma alcuni e proprio quelli che contengono una speciale porzione della sua genialità e della sua iniziativa, possano essere rivolti in modo radicale contro lui stesso».53 Sulla scia di queste trasformazioni culturali, alcuni filosofi, abbandonando la ricerca della verità per se stessa, hanno assunto come loro unico scopo il raggiungimento della certezza soggettiva o dell'utilità pratica. Conseguenza di ciò è stato l'offuscamento della vera dignità della ragione, non più messa nella condizione di conoscere il vero e di ricercare l'assoluto.
Non sembri fuori luogo, pertanto, il mio richiamo forte e incisivo, perché la fede e la filosofia recuperino l'unità profonda che le rende capaci di essere coerenti con la loro natura nel rispetto della reciproca autonomia. Alla parresia della fede deve corrispondere l'audacia della ragione.
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53 Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 15: AAS 71 (1979), 286.
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