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Ioannes Paulus PP. II Fides et ratio IntraText CT - Lettura del testo |
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Differenti stati della filosofia
Di più: anche quando è lo stesso discorso teologico ad avvalersi di concetti e argomenti filosofici, l'esigenza di corretta autonomia del pensiero va rispettata. L'argomentazione sviluppata secondo rigorosi criteri razionali, infatti, è garanzia del raggiungimento di risultati universalmente validi. Si verifica anche qui il principio secondo cui la grazia non distrugge, ma perfeziona la natura: l'assenso di fede, che impegna l'intelletto e la volontà, non distrugge ma perfeziona il libero arbitrio di ogni credente che accoglie in sé il dato rivelato. Da questa corretta istanza si allontana in modo netto la teoria della cosiddetta filosofia «separata», perseguita da parecchi filosofi moderni. Più che l'affermazione della giusta autonomia del filosofare, essa costituisce la rivendicazione di una autosufficienza del pensiero che si rivela chiaramente illegittima: rifiutare gli apporti di verità derivanti dalla rivelazione divina significa infatti precludersi l'accesso a una più profonda conoscenza della verità, a danno della stessa filosofia.
Due sono, pertanto, gli aspetti della filosofia cristiana: uno soggettivo, che consiste nella purificazione della ragione da parte della fede. Come virtù teologale, essa libera la ragione dalla presunzione, tipica tentazione a cui i filosofi sono facilmente soggetti. Già san Paolo e i Padri della Chiesa e, più vicino a noi, filosofi come Pascal e Kierkegaard l'hanno stigmatizzata. Con l'umiltà, il filosofo acquista anche il coraggio di affrontare alcune questioni che difficilmente potrebbe risolvere senza prendere in considerazione i dati ricevuti dalla Rivelazione. Si pensi, ad esempio, ai problemi del male e della sofferenza, all'identità personale di Dio e alla domanda sul senso della vita o, più direttamente, alla domanda metafisica radicale: «Perché vi è qualcosa?». Vi è poi l'aspetto oggettivo, riguardante i contenuti: la Rivelazione propone chiaramente alcune verità che, pur non essendo naturalmente inaccessibili alla ragione, forse non sarebbero mai state da essa scoperte, se fosse stata abbandonata a sé stessa. In questo orizzonte si situano questioni come il concetto di un Dio personale, libero e creatore, che tanto rilievo ha avuto per lo sviluppo del pensiero filosofico e, in particolare, per la filosofia dell'essere. A quest'ambito appartiene pure la realtà del peccato, così com'essa appare alla luce della fede, la quale aiuta a impostare filosoficamente in modo adeguato il problema del male. Anche la concezione della persona come essere spirituale è una peculiare originalità della fede: l'annuncio cristiano della dignità, dell'uguaglianza e della libertà degli uomini ha certamente influito sulla riflessione filosofica che i moderni hanno condotto. Più vicino a noi, si può menzionare la scoperta dell'importanza che ha anche per la filosofia l'evento storico, centro della Rivelazione cristiana. Non a caso, esso è diventato perno di una filosofia della storia, che si presenta come un nuovo capitolo della ricerca umana della verità. Tra gli elementi oggettivi della filosofia cristiana rientra anche la necessità di esplorare la razionalità di alcune verità espresse dalla Sacra Scrittura, come la possibilità di una vocazione soprannaturale dell'uomo ed anche lo stesso peccato originale. Sono compiti che provocano la ragione a riconoscere che vi è del vero e del razionale ben oltre gli stretti confini entro i quali essa sarebbe portata a rinchiudersi. Queste tematiche allargano di fatto l'ambito del razionale. Speculando su questi contenuti, i filosofi non sono diventati teologi, in quanto non hanno cercato di comprendere e di illustrare le verità della fede a partire dalla Rivelazione. Hanno continuato a lavorare sul loro proprio terreno e con la propria metodologia puramente razionale, ma allargando la loro indagine a nuovi ambiti del vero. Si può dire che, senza questo influsso stimolante della parola di Dio, buona parte della filosofia moderna e contemporanea non esisterebbe. Il dato conserva tutta la sua rilevanza, pur di fronte alla deludente constatazione dell'abbandono dell'ortodossia cristiana da parte di non pochi pensatori di questi ultimi secoli.
E proprio nel senso di un apporto indispensabile e nobile che la filosofia fu chiamata fin dall'età patristica ancilla theologiae. Il titolo non fu applicato per indicare una servile sottomissione o un ruolo puramente funzionale della filosofia nei confronti della teologia. Fu utilizzato piuttosto nel senso in cui Aristotele parlava delle scienze esperienziali quali «ancelle» della «filosofia prima». L'espressione, oggi difficilmente utilizzabile in forza dei principi di autonomia a cui si è fatto cenno, è servita nel corso della storia per indicare la necessità del rapporto tra le due scienze e l'impossibilità di una loro separazione. Se il teologo si rifiutasse di avvalersi della filosofia, rischierebbe di far filosofia a sua insaputa e di rinchiudersi in strutture di pensiero poco adatte all'intelligenza della fede. Il filosofo, da parte sua, se escludesse ogni contatto con la teologia, si sentirebbe in dovere di impadronirsi per conto proprio dei contenuti della fede cristiana, come è avvenuto con alcuni filosofi moderni. In un caso come nell'altro, si profilerebbe il pericolo della distruzione dei principi basilari di autonomia che ogni scienza giustamente vuole garantiti. Lo stato della filosofia qui considerato, per le implicanze che comporta nell'intelligenza della Rivelazione, si colloca insieme alla teologia più direttamente sotto l'autorità del Magistero e del suo discernimento, come ho precedentemente esposto. Dalle verità di fede, infatti, derivano determinate esigenze che la filosofia deve rispettare nel momento in cui entra in rapporto con la teologia.
79. Esplicitando ulteriormente i contenuti del Magistero precedente, intendo in questa ultima parte indicare alcune esigenze che la teologia — anzi, prima ancora la parola di Dio — pone oggi al pensiero filosofico e alle filosofie odierne. Come già ho rilevato, il filosofo deve procedere secondo le proprie regole e fondarsi sui propri principi; la verità, tuttavia, non può essere che una sola. La Rivelazione, con i suoi contenuti, non potrà mai umiliare la ragione nelle sue scoperte e nella sua legittima autonomia; per parte sua, però, la ragione non dovrà mai perdere la sua capacità d'interrogarsi e di interrogare, nella consapevolezza di non potersi ergere a valore assoluto ed esclusivo. La verità rivelata, offrendo pienezza di luce sull'essere a partire dallo splendore che proviene dallo stesso Essere sussistente, illuminerà il cammino della riflessione filosofica. La Rivelazione cristiana, insomma, diventa il vero punto di aggancio e di confronto tra il pensare filosofico e quello teologico nel loro reciproco rapportarsi. E auspicabile, quindi, che teologi e filosofi si lascino guidare dall'unica autorità della verità così che venga elaborata una filosofia in consonanza con la parola di Dio. Questa filosofia sarà il terreno d'incontro tra le culture e la fede cristiana, il luogo d'intesa tra credenti e non credenti. Sarà di aiuto perché i credenti si convincano più da vicino che la profondità e genuinità della fede è favorita quando è unita al pensiero e ad esso non rinuncia. Ancora una volta, è la lezione dei Padri che ci guida in questa convinzione: «Lo stesso credere null'altro è che pensare assentendo [...]. Chiunque crede pensa, e credendo pensa e pensando crede [...]. La fede se non è pensata è nulla».95 Ed ancora: «Se si toglie l'assenso, si toglie la fede, perché senza assenso non si crede affatto».96
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95 S. Agostino, De praedestinatione sanctorum, 2,5: PL 44, 963.
96 Id., De fide, spe et caritate, 7: CCL 64, 61.
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