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Ioannes Paulus PP. II Centesimus annus IntraText CT - Lettura del testo |
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II - Verso le «cose nuove» di oggi
Ciò è confermato, in particolare, dagli avvenimenti degli ultimi mesi dell'anno 1989 e dei primi del 1990. Essi e le conseguenti trasformazioni radicali non si spiegano se non in base alle situazioni anteriori, le quali, in certa misura, avevano cristallizzato o istituzionalizzato le previsioni di Leone XIII ed i segnali, sempre più inquieti, avvertiti dai suoi successori. Papa Leone, infatti, previde le conseguenze negative sotto tutti gli aspetti, politico, sociale ed economico, di un ordinamento della società quale proponeva il «socialismo», che allora era allo stadio di filosofia sociale e di movimento più o meno strutturato. Qualcuno potrebbe meravigliarsi del fatto che il Papa cominciava dal «socialismo» la critica delle soluzioni che si davano della «questione operaia», quando esso non si presentava ancora — come poi accadde — sotto la forma di uno Stato forte e potente con tutte le risorse a disposizione. Tuttavia, egli valutò esattamente il pericolo che rappresentava per le masse l'attraente presentazione di una soluzione tanto semplice quanto radicale della questione operaia di allora. Ciò risulta tanto più vero, se vien considerato in relazione con la paurosa condizione di ingiustizia in cui giacevano le masse proletarie nelle Nazioni da poco industrializzate. Occorre qui sottolineare due cose: da una parte, la grande lucidità nel percepire, in tutta la sua crudezza, la reale condizione dei proletari, uomini, donne e bambini; dall'altra, la non minore chiarezza con cui si intuisce il male di una soluzione che, sotto l'apparenza di un'inversione delle posizioni di poveri e ricchi, andava in realtà a detrimento di quegli stessi che si riprometteva di aiutare. Il rimedio si sarebbe così rivelato peggiore del male. Individuando la natura del socialismo del suo tempo nella soppressione della proprietà privata, Leone XIII arrivava al nodo della questione. Le sue parole meritano di essere rilette con attenzione: «Per rimediare a questo male (l'ingiusta distribuzione delle ricchezze e la miseria dei proletari), i socialisti spingono i poveri all'odio contro i ricchi, e sostengono che la proprietà privata deve essere abolita ed i beni di ciascuno debbono essere comuni a tutti ...; ma questa teoria, oltre a non risolvere la questione, non fa che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi, giacché contro i diritti dei legittimi proprietari snatura le funzioni dello Stato e scompagina tutto l'ordine sociale».39 Non si potrebbero indicar meglio i mali indotti dall'instaurazione di questo tipo di socialismo come sistema di Stato: quello che avrebbe preso il nome di «socialismo reale».
Al contrario, dalla concezione cristiana della persona segue necessariamente una visione giusta della società. Secondo la Rerum novarum e tutta la dottrina sociale della Chiesa, la socialità dell'uomo non si esaurisce nello Stato, ma si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno — sempre dentro il bene comune — la loro propria autonomia. È quello che ho chiamato la «soggettività» della società che, insieme alla soggettività dell'individuo, è stata annullata dal «socialismo reale».40 Se ci si domanda poi donde nasca quell'errata concezione della natura della persona e della «soggettività» della società, bisogna rispondere che la prima causa è l'ateismo. È nella risposta all'appello di Dio, contenuto nell'essere delle cose, che l'uomo diventa consapevole della sua trascendente dignità. Ogni uomo deve dare questa risposta, nella quale consiste il culmine della sua umanità, e nessun meccanismo sociale o soggetto collettivo puo’ sostituirlo. La negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e, di conseguenza, induce a riorganizzare l'ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità della persona. L'ateismo di cui si parla, del resto, è strettamente connesso col razionalismo illuministico, che concepisce la realtà umana e sociale in modo meccanicistico. Si negano in tal modo l'intuizione ultima circa la vera grandezza dell'uomo, la sua trascendenza rispetto al mondo delle cose, la contraddizione ch'egli avverte nel suo cuore tra il desiderio di una pienezza di bene e la propria inadeguatezza a conseguirlo e, soprattutto, il bisogno di salvezza che ne deriva.
14. Dalla medesima radice ateistica scaturisce anche la scelta dei mezzi di azione propria del socialismo, che è condannato nella Rerum novarum. Si tratta della lotta di classe. Il Papa, beninteso, non intende condannare ogni e qualsiasi forma di conflittualità sociale: la Chiesa sa bene che nella storia i conflitti di interessi tra diversi gruppi sociali insorgono inevitabilmente e che di fronte ad essi il cristiano deve spesso prender posizione con decisione e coerenza. L'Enciclica Laborem exercens, del resto, ha riconosciuto chiaramente il ruolo positivo del conflitto, quando esso si configuri come «lotta per la giustizia sociale»;41 e già la Quadragesimo anno scriveva: «La lotta di classe, infatti, quando si astenga dagli atti di violenza e dall'odio vicendevole, si trasforma a poco a poco in una onesta discussione, fondata nella ricerca della giustizia».42 Ciò che viene condannato nella lotta di classe è, piuttosto, l'idea di un conflitto che non è limitato da considerazioni di carattere etico o giuridico, che si rifiuta di rispettare la dignità della persona nell'altro (e, di conseguenza, in se stesso), che esclude, perciò, un ragionevole accomodamento e persegue non già il bene generale della società, bensì un interesse di parte che si sostituisce al bene comune e vuol distruggere ciò che gli si oppone. Si tratta, in una parola, della ripresentazione — sul terreno del confronto interno tra i gruppi sociali — della dottrina della «guerra totale», che il militarismo e l'imperialismo di quell'epoca imponevano nell'ambito dei rapporti internazionali. Tale dottrina alla ricerca del giusto equilibrio tra gli interessi delle diverse Nazioni sostituiva quella dell'assoluto prevalere della propria parte mediante la distruzione del potere di resistenza della parte avversa, distruzione attuata con ogni mezzo, non esclusi l'uso della menzogna, il terrore contro i civili, le armi di sterminio (che proprio in quegli anni cominciavano ad essere progettate). Lotta di classe in senso marxista e militarismo, dunque, hanno le stesse radici: l'ateismo e il disprezzo della persona umana, che fan prevalere il principio della forza su quello della ragione e del diritto.
15. La Rerum novarum si oppone alla statalizzazione degli strumenti di produzione, che ridurrebbe ogni cittadino ad un «pezzo» nell'ingranaggio della macchina dello Stato. Non meno decisamente essa critica la concezione dello Stato che lascia il settore dell'economia totalmente al di fuori del suo campo di interesse e di azione. Esiste certo una legittima sfera di autonomia dell'agire economico, nella quale lo Stato non deve entrare. Questo, però, ha il compito di determinare la cornice giuridica, al cui interno si svolgono i rapporti economici, e di salvaguardare in tal modo le condizioni prime di un'economia libera, che presuppone una certa eguaglianza tra le parti, tale che una di esse non sia tanto più potente dell'altra da poterla ridurre praticamente in schiavitù.43 A questo riguardo, la Rerum novarum indica la via delle giuste riforme, che restituiscano al lavoro la sua dignità di libera attività dell'uomo. Esse implicano un'assunzione di responsabilità da parte della società e dello Stato, diretta soprattutto a difendere il lavoratore contro l'incubo della disoccupazione. Ciò storicamente si è verificato in due modi convergenti: o con politiche economiche, volte ad assicurare la crescita equilibrata e la condizione di piena occupazione; o con le assicurazioni contro la disoccupazione e con politiche di riqualificazione professionale, capaci di facilitare il passaggio dei lavoratori da settori in crisi ad altri in sviluppo. Inoltre, la società e lo Stato devono assicurare livelli salariali adeguati al mantenimento del lavoratore e della sua famiglia, inclusa una certa capacità di risparmio. Ciò richiede sforzi per dare ai lavoratori cognizioni e attitudini sempre migliori e tali da rendere il loro lavoro più qualificato e produttivo; ma richiede anche un'assidua sorveglianza ed adeguate misure legislative per stroncare fenomeni vergognosi di sfruttamento, soprattutto a danno dei lavoratori più deboli, immigrati o marginali. Decisivo in questo settore è il ruolo dei sindacati, che contrattano i minimi salariali e le condizioni di lavoro. Infine, bisogna garantire il rispetto di orari «umani» di lavoro e di riposo, oltre che il diritto di esprimere la propria personalità sul luogo di lavoro, senza essere violati in alcun modo nella propria coscienza o nella propria dignità. Anche qui è da richiamare il ruolo dei sindacati non solo come strumenti di contrattazione, ma anche come «luoghi» di espressione della personalità dei lavoratori: essi servono allo sviluppo di un'autentica cultura del lavoro ed aiutano i lavoratori a partecipare in modo pienamente umano alla vita dell'azienda.44 Al conseguimento di questi fini lo Stato deve concorrere sia direttamente che indirettamente. Indirettamente e secondo il principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero esercizio dell'attività economica, che porti ad una offerta abbondante di opportunità di lavoro e di fonti di ricchezza. Direttamente e secondo il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti all'autonomia delle parti, che decidono le condizioni di lavoro, ed assicurando in ogni caso un minimo vitale al lavoratore disoccupato.45 L'Enciclica ed il Magistero sociale, ad essa collegato, ebbero una molteplice influenza negli anni tra il XIX e il XX secolo. Tale influenza si riflette in numerose riforme introdotte nei settori della previdenza sociale, delle pensioni, delle assicurazioni contro le malattie, della prevenzione degli infortuni, nel quadro di un maggiore rispetto dei diritti dei lavoratori.46
Le stesse riforme furono anche il risultato di un libero processo di auto-organizzazione della società, con la messa a punto di strumenti efficaci di solidarietà, atti a sostenere una crescita economica più rispettosa dei valori della persona. È da ricordare qui la multiforme attività, con un notevole contributo dei cristiani, nella fondazione di cooperative di produzione, di consumo e di credito, nel promuovere l'istruzione popolare e la formazione professionale, nella sperimentazione di varie forme di partecipazione alla vita dell'impresa e, in generale, della società. Se dunque, guardando al passato, c'è motivo di ringraziare Dio perché la grande Enciclica non è rimasta priva di risonanza nei cuori ed ha spinto ad una fattiva generosità, tuttavia bisogna riconoscere che l'annuncio profetico, in essa contenuto, non è stato compiutamente accolto dagli uomini di quel tempo, e proprio da ciò sono derivate assai gravi sciagure.
17. Leggendo l'Enciclica in connessione con tutto il ricco Magistero leoniano,47 si nota come essa indichi, in fondo, le conseguenze sul terreno economico-sociale di un errore di più vasta portata. L'errore — come si è detto — consiste in una concezione della libertà umana che la sottrae all'obbedienza alla verità e, quindi, anche al dovere di rispettare i diritti degli altri uomini. Contenuto della libertà diventa allora l'amore di sé fino al disprezzo di Dio e del prossimo, amore che conduce all'affermazione illimitata del proprio interesse e non si lascia limitare da alcun obbligo di giustizia.48 Proprio questo errore giunse alle estreme conseguenze nel tragico ciclo delle guerre che sconvolsero l'Europa ed il mondo tra il 1914 e il 1945. Furono guerre derivanti dal militarismo e dal nazionalismo esasperato e dalle forme di totalitarismo, ad essi collegate, e guerre derivanti dalla lotta di classe, guerre civili ed ideologiche. Senza la terribile carica di odio e di rancore, accumulata a causa delle tante ingiustizie sia a livello internazionale che a quello interno ai singoli Stati, non sarebbero state possibili guerre di tale ferocia, in cui furono investite le energie di grandi Nazioni, in cui non si esitò davanti alla violazione dei diritti umani più sacri, e fu pianificato ed eseguito lo sterminio di interi popoli e gruppi sociali. Ricordiamo qui, in particolare, il popolo ebreo, il cui terribile destino è divenuto simbolo dell'aberrazione cui puo’ giungere l'uomo, quando si volge contro Dio. Tuttavia, l'odio e l'ingiustizia si impossessano di intere Nazioni e le spingono all'azione solo quando vengono legittimati ed organizzati da ideologie che si fondano su di essi piuttosto che sulla verità dell'uomo.49 La Rerum novarum combatteva le ideologie dell'odio ed indicava le vie per distruggere la violenza ed il rancore mediante la giustizia. Possa il ricordo di quei terribili avvenimenti guidare le azioni di tutti gli uomini e, in particolare, dei reggitori dei popoli nel nostro tempo, in cui altre ingiustizie alimentano nuovi odi e si delineano all'orizzonte nuove ideologie che esaltano la violenza.
Una folle corsa agli armamenti assorbe le risorse necessarie per lo sviluppo delle economie interne e per l'aiuto alle Nazioni più sfavorite. Il progresso scientifico e tecnologico, che dovrebbe contribuire al benessere dell'uomo, viene trasformato in uno strumento di guerra: scienza e tecnica sono usate per produrre armi sempre più perfezionate e distruttive, mentre ad un'ideologia, che è perversione dell'autentica filosofia, si chiede di fornire giustificazioni dottrinali per la nuova guerra. E questa non è solo attesa e preparata, ma è anche combattuta con enorme spargimento di sangue in varie parti del mondo. La logica dei blocchi, o imperi, denunciata nei Documenti della Chiesa e di recente nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis,50 fa sì che le controversie e discordie insorgenti nei Paesi del Terzo Mondo siano sistematicamente incrementate e sfruttate per creare difficoltà all'avversario. I gruppi estremisti, che cercano di risolvere tali controversie con le armi, trovano facilmente appoggi politici e militari, sono armati ed addestrati alla guerra, mentre coloro che si sforzano di trovare soluzioni pacifiche ed umane, nel rispetto dei legittimi interessi di tutte le parti, rimangono isolati e spesso cadono vittima dei loro avversari. Anche la militarizzazione di tanti Paesi del Terzo Mondo e le lotte fratricide che li hanno travagliati, la diffusione del terrorismo e di mezzi sempre più barbari di lotta politico-militare trovano una delle loro principali cause nella precarietà della pace che è seguita alla seconda guerra mondiale. Su tutto il mondo, infine, grava la minaccia di una guerra atomica, capace di condurre all'estinzione dell'umanità. La scienza, usata a fini militari, pone a disposizione dell'odio, incrementato dalle ideologie, lo strumento decisivo. Ma la guerra puo’ terminare senza vincitori né vinti in un suicidio dell'umanità, ed allora bisogna ripudiare la logica che conduce ad essa, l'idea che la lotta per la distruzione dell'avversario, la contraddizione e la guerra stessa siano fattori di progresso e di avanzamento della storia.51 Quando si comprende la necessità di questo ripudio, devono necessariamente entrare in crisi sia la logica della «guerra totale» sia quella della «lotta di classe».
In alcuni Paesi e sotto alcuni aspetti si assiste ad uno sforzo positivo per ricostruire, dopo le distruzioni della guerra, una società democratica e ispirata alla giustizia sociale, la quale priva il comunismo del potenziale rivoluzionario costituito da moltitudini sfruttate e oppresse. Tali tentativi in genere cercano di mantenere i meccanismi del libero mercato, assicurando mediante la stabilità della moneta e la sicurezza dei rapporti sociali le condizioni di una crescita economica stabile e sana, in cui gli uomini col loro lavoro possano costruire un futuro migliore per sé e per i propri figli. Al tempo stesso, essi cercano di evitare che i meccanismi di mercato siano l'unico termine di riferimento della vita associata e tendono ad assoggettarli ad un controllo pubblico, che faccia valere il principio della destinazione comune dei beni della terra. Una certa abbondanza delle offerte di lavoro, un solido sistema di sicurezza sociale e di avviamento professionale, la libertà di associazione e l'azione incisiva del sindacato, la previdenza in caso di disoccupazione, gli strumenti di partecipazione democratica alla vita sociale, in questo contesto dovrebbero sottrarre il lavoro alla condizione di «merce» e garantire la possibilità di svolgerlo dignitosamente. Ci sono, poi, altre forze sociali e movimenti ideali che si oppongono al marxismo con la costruzione di sistemi di «sicurezza nazionale», miranti a controllare in modo capillare tutta la società per rendere impossibile l'infiltrazione marxista. Esaltando ed accrescendo la potenza dello Stato, essi intendono preservare i loro popoli dal comunismo; ma, ciò facendo, corrono il grave rischio di distruggere quella libertà e quei valori della persona, in nome dei quali bisogna opporsi ad esso. Un'altra forma di risposta pratica, infine, è rappresentata dalla società del benessere, o società dei consumi. Essa tende a sconfiggere il marxismo sul terreno di un puro materialismo, mostrando come una società di libero mercato possa conseguire un soddisfacimento più pieno dei bisogni materiali umani di quello assicurato dal comunismo, ed escludendo egualmente i valori spirituali. In realtà, se da una parte è vero che questo modello sociale mostra il fallimento del marxismo di costruire una società nuova e migliore, dall'altra, negando autonoma esistenza e valore alla morale, al diritto, alla cultura e alla religione, converge con esso nel ridurre totalmente l'uomo alla sfera dell'economico e del soddisfacimento dei bisogni materiali.
Posta questa situazione, a molti sembra che il marxismo possa offrire come una scorciatoia per l'edificazione della Nazione e dello Stato, e nascono perciò diverse varianti del socialismo con un carattere nazionale specifico. Si mescolano così nelle molte ideologie, che vengono a formarsi in misura di volta in volta diversa, legittime esigenze di riscatto nazionale, forme di nazionalismo ed anche di militarismo, principi tratti da antiche tradizioni popolari, talvolta consonanti con la dottrina sociale cristiana, e concetti del marxismo-leninismo.
21. È da ricordare, infine, come dopo la seconda guerra mondiale ed anche per reazione ai suoi orrori, si è diffuso un sentimento più vivo dei diritti umani, che ha trovato riconoscimento in diversi Documenti internazionali52 e nell'elaborazione, si direbbe, di un nuovo «diritto delle genti», a cui la Santa Sede ha dato un costante contributo. Perno di questa evoluzione è stata l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Non solo è cresciuta la coscienza del diritto dei singoli, ma anche quella dei diritti delle Nazioni, mentre si avverte meglio la necessità di agire per sanare i gravi squilibri tra le diverse aree geografiche del mondo che, in un certo senso, hanno trasferito il centro della questione sociale dall'ambito nazionale al livello internazionale.53 Nel prendere atto con soddisfazione di tale processo, non si puo’ tuttavia tacere il fatto che il bilancio complessivo delle diverse politiche di aiuto allo sviluppo non è sempre positivo. Alle Nazioni Unite, inoltre, non è riuscito fino ad ora di costruire strumenti efficaci per la soluzione dei conflitti internazionali alternativi alla guerra, e sembra esser questo il problema più urgente che la comunità internazionale deve ancora risolvere.
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39 Lett. enc. Rerum novarum: I.c., 99.
40 Cf lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 15, 28: l.c., 530; 548 ss.
41 Cf lett. enc. Laborem exercens, 11-15: l.c., 602-618.
42 Pio XI, lett. enc. Quadragesimo anno, III: l.c., 213.
43 Cf lett. enc. Rerum novarum: l.c., 121-125.
44 Cf lett. enc. Laborem exercens, 20: l.c., 629-632; Discorso all’Organizzazione internazionale del lavoro (O.I.T.) a Ginevra (15 giugno 1982): Insegnamenti V/2 (1982), 2250-2266; Paolo VI, Discorso alla medesima Organizzazione (10 giugno 1969): AAS 61 (1969), 491-502.
45 Cf lett. enc. Laborem exercens, 8: l.c., 594-598.
46 Cf Pio XI, lett. enc. Quadragesimo anno: l.c., 178-181.
47 Cf epist. enc. Arcanum divinae sapientiae (10 febbraio 1880): Leonis XIII P.M. Acta, II, Romae 1882, 10-40; epist. enc. Diuturnum illud (29 giugno 1881): Leonis XIII P.M. acta, II, Romae 1882, 269-287; epist. enc. Immortale Dei (1° novembre 1885): Leonis XIII P.M. Acta, V, Romae 1886, 118-150; lett. enc. Sapientiae Christiane (10 gennaio 1890): Leonis XIII P.M. Acta, X, Romae 1891, 10-41; epist. enc. Quod apostolici muneris (28 dicembre 1878): Leonis XIII P.M. Acta, I, Romae 1881, 170-183; lett. enc, Libertas praestantissimum (20 giugno 1888): Leonis XIII P.M. Acta, VIII, Romae 1889, 212-246.
48 Cf Leone XIII, lett. enc. Libertas praestantissimum: l.c., 224-226.
49 Cf Messaggio per la Giornata mondiale della pace 1980: AAS 71 (1979), 1572-1580.
50 Cf lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 20: l.c., 536 s.
51 Cf Giovanni XXIII, lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), III: AAS 55 (1963), 286-289.
52 Cf Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del 1948; Giovanni XXIII, lett. enc. Pacem in terris, IV: l.c., 291-296; «Atto Finale» della Conferenza sulla sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE), Helsinki 1975.
53 Cf Paolo VI, lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 61- 65: AAS 59 (1967), 287-289.
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